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Privacy: ecco come veniamo spiati nei negozi grazie allo smartphone

privacy e smartphone

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Immaginate di essere in un negozio, di aver già provato una giacca e di averla poi riposta indecisi se comprarla o meno. Immaginate poi di tornare indietro per riprovarla e di trovare il prezzo scontato o abbinata al capo un’offerta tre per due.

“Bello!” starete pensando. Io almeno lo penserei, se non fosse che dietro simili cose si cela uno scenario di invasione della privacy non indifferente, perpetrata grazie alla connessione Wi-Fi dello smartphone.

L’allarme lo ha lanciato il Garante privacy britannico (ICO) riferendosi a una tecnologia in circolazione già da qualche anno che consente di tracciare i movimenti del telefonino (e quindi di chi ce l’ha in tasca o in borsa) usando l’indirizzo MAC del dispositivo che può, in molti casi, essere collegato a un individuo specifico.

Il group manager for technology dell’ICO, Simon Rice ha spiegato che sempre più negozi stanno iniziando ad adottare la tecnologia, già ampiamente diffusa in luoghi pubblici come le stazioni o gli aeroporti per generare statistiche sul numero di visitatori giornalieri o per creare un avviso di sicurezza nel caso una data area sia eccessivamente  affollata.

Questi ultimi casi, spiega Rice, sono coperti da chiare raccomandazioni del Garante affinché l’uso delle tecnologie di tracking avvenga nel pieno rispetto della privacy: assicurando, ad esempio, che vi siano chiare indicazioni fisiche o digitali per informare gli utenti dell’attività di controllo o facendo in modo che l’indirizzo MAC non sia riconducibile al device cui è associato.

Diverso è il discorso per gli usi emergenti di queste tecnologie, capaci di identificare le persone attraverso il loro smartphone e di seguirne i movimenti: pensiamo ad esempio, spiega Rice, ai più moderni display pubblicitari che sono in grado di memorizzare quando e per quanto tempo stiamo a guardarli, oltre che di conoscere nostri dati personali come l’età e il sesso. Una miniera d’oro per il marketing mirato: se di fronte al cartellone c’è un uomo, via alla pubblicità del dopobarba, se c’è una donna vai con borse e scarpe, insomma.

Anche se lo scopo di chi utilizza queste tecnologie non è quello di identificare gli individui, “le implicazioni del cosiddetto ‘intelligent video analytics’ per la privacy, la protezione dei dati personali e i diritti umani, sono significative”.

Non per forza negative, se fosse usata per ‘perseguire’ chi non raccoglie i bisogni del cane dal marciapiede o chi parcheggia a un posto per disabili.

Un po’ più inquietante, invece, se pensiamo che ogni nostro passo all’interno di un centro commerciale viene seguito e scandagliato per vendere di più. Il tutto a nostra insaputa, senza che noi si possa sapere quali dati vengono raccolti e con quale scopo.

Come già nel caso del tracking Wi-Fi, informa Rice, l’ICO sta lavorando a delle raccomandazioni sull’uso ‘privacy-friendly’ delle tecnologie video, nell’ambito di un gruppo di lavoro internazionale sulla protezione dei dati nelle telecomunicazioni.

Tra queste l’obbligo per i negozianti di informare gli utenti dell’utilizzo do tecnologie di monitoraggio della posizione o di riconoscimento facciale, simili ai cartelli che già sono visibili nelle aree videosorvegliate.

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