È salva la privacy delle persone le cui intercettazioni telefoniche, telematiche e ambientali non sono rilevanti per le indagini. Questo è il principio cardine del decreto legislativo, approvato ieri dal Consiglio dei ministri, che interviene sulle disposizioni in materia di intercettazione di conversazioni o comunicazioni. “Si mette fine all’abuso” ha detto il premier Paolo Gentiloni. Infatti il testo prevede: “il divieto di trascrizione, anche sommaria, delle comunicazioni o conversazioni ritenute irrilevanti per le indagini, sia per l’oggetto che per i soggetti coinvolti, nonché di quelle che riguardano dati personali definiti sensibili dalla legge”.
Dunque il decreto attua una revisione della disciplina delle intercettazioni, fondamentale strumento di indagine, con l’obiettivo di rendere maggiormente equilibrata la salvaguardia fra interessi meritevoli di tutela a livello costituzionale, ovvero, da un lato, la libertà e la segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione e, dall’altro, il diritto all’informazione. Il tutto allo scopo di escludere, in tempi ragionevolmente certi e prossimi alla conclusione delle indagini, ogni riferimento a persone solo occasionalmente coinvolte nell’intercettazioni e quindi impedire l’indebita divulgazione di fatti e riferimenti a persone estranee all’oggetto dell’attività investigativa.
Il Pm è il garante della riservatezza del materiale irrilevante e inutilizzabile
La una nuova disciplina prevede prima il deposito delle conversazioni e delle comunicazioni, oltre che dei relativi atti, e solo successivamente l’acquisizione di quelle rilevanti e utilizzabili e il contestuale stralcio, con destinazione finale all’archivio riservato, di quelle irrilevanti e inutilizzabili. E il pubblico ministero viene individuato come garante della riservatezza della documentazione, poiché a lui spetta la custodia, in un apposito archivio riservato, del materiale irrilevante e inutilizzabile, con facoltà di ascolto ed esame, ma non di copia, da parte dei difensori e del giudice, fino al momento di conclusione della procedura di acquisizione. Inoltre si supera il precedente modello incentrato sulla cosiddetta “udienza stralcio”, caratterizzato dal fatto che tutto il materiale d’intercettazione era sin da subito nel fascicolo delle indagini preliminari.
Disciplinati per la prima volta i Trojan Horse, i captatori informatici installati in PC e cellulari
La nuova disciplina sulle intercettazioni, per la prima volta, norma l’utilizzo dei captatori informatici in dispositivi elettronici portatili (i cosiddetti trojan horse). In particolare, si prevede che tali dispositivi non possano essere attivi senza limiti di tempo o di spazio, ma debbano essere attivati da remoto secondo quanto previsto dal pubblico ministero nel proprio programma d’indagine e che, tra l’altro, debbano essere disattivati se l’intercettazione avviene in ambiente domiciliare, a meno che non vi sia prova che in tale ambito si stia svolgendo l’attività criminosa oggetto dell’indagine o che l’indagine stessa non riguardi i delitti più gravi, tra i quali mafia e terrorismo. Infine è prevista una semplificazione per le intercettazioni telefoniche e telematiche dei pubblici ufficiali quando si indaga per i reati contro la pubblica amministrazione.
Un nuovo reato penale punito fino a 4 anni di carcere
Il testo prevede l’introduzione nel Codice penale del delitto di “diffusione di riprese e registrazioni di comunicazioni fraudolente”. La norma prevede la reclusione fino a quattro anni per chiunque, al fine di recare danno all’altrui reputazione o immagine, diffonde con qualsiasi mezzo riprese audio o video, compiute fraudolentemente, di incontri privati o registrazioni, di conversazioni, anche telefoniche o telematiche, svolte in sua presenza o con la sua partecipazione. La punibilità è esclusa se la diffusione delle riprese o delle registrazioni avviene per esercitare il diritto di difesa o del diritto di cronaca. Il delitto è punibile con la presentazione della querela della persona offesa.
La reazione dei magistrati
I magistrati sono soddisfatti a metà. “Lo sforzo è apprezzabile. Centrato l’obiettivo di piena tutela della privacy e della riservatezza di chi con le indagini nulla c’entra. L’utilizzo dei captatori informatici è però la parte più debole della riforma, perché si rischia di danneggiare le indagini, non facendoci stare al passo tecnologico con i delinquenti”, ha detto Eugenio Albamonte, il presidente dell’Associazione nazionale magistrati. Attualmente i Trojan sono consentiti per le indagini su mafia, terrorismo e reati associativi, quest’ultimi sono stati eliminati dal decreto approvato dal Governo.
Il monito del Garante per la privacy: evitare sul web ‘il fine pena mai’
Il Garante per la privacy non ha commentato il decreto legislativo approvato dal Governo Gentiloni, ma Antonello Soro, nel mese di aprile, ha messo in guardia dai “processi mediatici sul web” scatenati dalle pubblicazioni di intercettazioni, di informazioni di garanzia “anticipate” dai giornali e rilanciate da un sito all’altro come fossero sentenze di condanna, foto di imputati, a volte addirittura in stato di detenzione, divulgati in Rete senza filtri. E i “coinvolti”, coloro che, né imputati né indagati, sono meramente citati negli atti d’indagine, ma ciò basta a darli in pasto all’indignazione collettiva, che non ha la cura di distinguere tra le diverse posizioni processuali.
Ecco il monito di Antonello Soro, Garante per la privacy: “Gli effetti sulla persona della mediatizzazione del processo sono, se possibile, ancora più gravi. Riversando in Rete atti d’indagine nella loro integralità si mettono a nudo l’indagato e i terzi, a qualsiasi titolo coinvolti nel processo, rivelando aspetti spesso privatissimi della loro vita, ininfluenti ai fini investigativi, con danni a volte irreparabili nella vita familiare e di relazione. Gran parte di queste notizie resta, poi, in Rete tendenzialmente per sempre, accessibile con i motori di ricerca anche solo digitando un nome. La persistenza di queste notizie sul web costituisce, così, un ‘fine pena mai’, a prescindere da come si concluda il processo, per la diversa risonanza che hanno le assoluzioni rispetto alle imputazioni. Un arresto fa molta più notizia di un proscioglimento, per quell’esigenza diffusa di dare nome e volto al ‘nemico pubblico’, ancor prima che il quadro probatorio si sia cristallizzato, quasi per placare un’ansia collettiva”.