Nuovi guai per Facebook sul fronte privacy. La notizia arriva dall’Austria dove oggi è partita una class action da un gruppo da 25 mila utenti contro il social network, accusato di utilizzare illegalmente i loro dati personali.
Il provvedimento è stato depositato presso il Tribunale civile di Vienna che ora dovrà decidere se accettare o meno il ricorso.
Giusto qualche giorno fa, il gruppo era stato travolto dalla notizia di un’indagine da parte di un gruppo di Garanti privacy europei, per le informazioni private raccolte incrociando i dati dei diversi servizi offerti, oltre a Facebook anche WhatsApp e Instagram.
Tra i Paesi che indagano, come ha poi appreso Key4biz, non c’è l’Italia dove comunque il Garante resta vigile sulla questione.
E non è la prima volta che sul social network più polare del mondo, 1,2 miliardi di utenti, si accende il faro della Ue.
Adesso però a Vienna ad agire sono direttamente gli utenti.
Questa mattina l’avvocato austriaco Max Schrems, che sta seguendo questa class action, ha depositato formalmente il ricorso, seguito con grande attenzione dall’azienda di Mark Zuckerberg.
Questo procedimento è al momento uno dei più importanti che riguardano Facebook. E già altri 55 mila utenti hanno manifestato la loro volontà di aderire alla class action.
Nell’atto si chiede a Facebook di risarcire con 500 euro ciascuno dei 25 mila ricorrenti che accusano in particolare il social di partecipare al programma di sorveglianza Prism della NSA, National Security Agency.
“Chiediamo a Facebook di fermare la sua sorveglianza massiva, di avere una policy per la tutela della privacy comprensibile e di non raccogliere dati di persone che non hanno nemmeno un account Facebook”, ha detto in un’intervista l’avvocato Schrems, 27 anni, che da anni sta conducendo una battaglia contro il social network.
Pronta la replica dei legali di Facebook, secondo i quali “questo caso è inammissibile nella forma e nella sostanza”.
Aggiungendo che “in Austria non è giuridicamente previsto il ricorso collettivo di tipo americano”.
Ma ciò non corrisponde al vero per l’avvocato Schrems, convinto che “grazie alle leggi europee, i consumatori non hanno bisogno di arrivare fino in California per perseguire i giganti hi-tech, possono farlo nel loro paese di residenza”.
Ha anche detto di essere stato incoraggiato ad agire dalla sentenza della Corte di Giustizia Ue del maggio 2014 che chiede ai motori di ricerca il rispetto del diritto all’oblio (scheda) degli utenti.
“La questione centrale – ha concluso l’avvocato – è se le aziende di internet devono rispettare le regole o se vivono in una sorta di Far West dove possono fare ciò che vogliono”.