I voli low cost non esistevano ancora nei nostri sogni più audaci quando venni a studiare in Italia, così presi un treno di notte. Prima che il vagone si muovesse, tirai su il collo del mio trench e accesi una sigaretta come lo avrebbe fatto Bogart, ma nei bagagli come a ognuno dei miei passaggi a Strasburgo, portai via con me una treccia fatta dalla mamma…
La sua ricetta :
Mettete 750gr di farina in una grande ciotola larga, scavate un pozzetto e sbriciolateci 20 gr di lievito di birra, aggiungete un pizzico di zucchero e un po’ di latte tiepido. Aspettate 20 minuti, poi aggiungete 125gr di zucchero, 125gr di burro morbido, (a temperatura ambiente), 3 uova, un pugno di uvetta sultanina, se volete un po’ di kirsch, (acquavite di ciliegia) e della scorza di limone grattugiata. Amalgamate, poi lavorate l’impasto finché si stacca dalla parete della ciotola. Coprite e lasciate lievitare in un posto caldo, finché l’impasto raddoppia di volume.
Dividete l’impasto in tre parti uguali e intrecciatele. Deponete la treccia su una teglia imburrata, poi lasciate lievitare una seconda volta. Spennellate la treccia con un rosso d’uovo e mettetela in un forno preriscaldato a 180 gradi per 45 minuti.
Se proprio volete fare una cosa soprafina, aggiungete delle mandorle negli intrecci e, una volta fuori dal forno spennellate la treccia con una glace al kirsch. Per la glace: un bicchierino di kisrch, 50 gr di zuchero a velo e della scorza di limone grattugiata.
Eh sì, la treccia di mia madre è la mia madeleine: ancora oggi quando me ne delizio nella mia cucina a Roma, mi ricorda le colazioni della mia infanzia, quelle che facevo di domenica insieme ai miei fratelli prima di andare alla ‘messa dei giovani’, alle dieci e mezza, in cui si cantava sulle note vibranti di un chitarrista rock o quasi, piuttosto che accompagnati dall’organo e in latino. Ci sedevamo al tavolo della cucina e bevevamo della cioccolata calda – ‘du chocolat Banania, bien sûr’ – in delle ciotole con le ‘orecchie’ sulle quali c’erano scritti i nostri nomi. Adoravamo queste tazze…
Comunque, in Alsazia, il dolce tradizionale è il kugelhopf ma era mia nonna che lo faceva. Finché non morì, il kugelhopf è stato ‘affar suo’. La vedo ancora lavorare l’impasto in una larga casseruola utilizzata ora da mia madre: è così che si forgiano le leggende!
Seduta di fronte a lei, aspettavo che l’impasto facesse ‘pffff…’ – come diceva – e si staccasse dai bordi: era segno che era pronto a lievitare bene. Il mio compito, invece, era quello di imburrare le forme di terra cotta di varie misura, alcune delle quali erano state della mia bisnonna, e poi di deporvi le mandorle in fondo… Noi bambini avevamo ognuno il proprio piccolo kugelhopf… poi c’era il grande di cui era severissimamente vietato ‘rubare’ le mandorle… ma, a volte capitava che qualcuna si staccasse da sola… comunque, in ogni caso, la nonna faceva finta di crederci…
Per merenda invece, durante la settimana, mangiavamo delle tartine con delle marmellate fatte in casa o del miele di abete o ancora con del burro cosparso di zucchero che non intingevo nella tazza perché non mi piacevano ‘gli occhi’ che si formavano in superficie. Hmm, com’era bello affondare i denti nella tartina, sentire prima la ruvidezza dei granuli di zucchero, poi la morbidezza del burro… Lo so, per voi, c’è già troppo burro in questa storia ma di questo parleremo un’altra volta, d’accordo?
Lo avrete indovinato, la colazione è da sempre per me un momento prezioso che preferisco tutt’ora fare da sola, leggendo una decina di minuti in santa pace prima che la casa si riempia di rumori e di agitazione. Immaginate, quindi, la mia faccia quando la mattina della prima domenica di Pasqua che passai a Perugia, intinsi un’enorme fetta di ‘torta di Pasqua’ comprata – per consolarmi di essere da sola dopo aver fatto la superiore e aver scritto a mia sorella che ero mooolto felice di poter sfuggire alle tre ore di pranzo in famiglia strasburghese – nel mitico bar Sandri sul corso Vannucci, nella mia tazza di caffè latte…
Ridete ? Eppure per la francesina che ero allora, somigliava proprio a una brioche ! Come potevo sapere che fosse una torta salata???
Per chi ancora non lo sapesse, consiglio di provare la ricetta.
In seguito, comunque, la feci scoprire ai miei amici di oltre Alpi perché ovunque e in ogni stagione, è fantastica per festeggiare il ritorno dei ‘guerrieri’ dopo una mattinata di jogging o una passeggiata nei boschi, degustata con un buon salame e un bel bicchiere di Trebbiano Spoletino, magari bevuto in un’enoteca di Assisi per esempio, e poi… somiglia molto alla versione salata del kugelhopf…! Scherzo!