Questa mattina, alla Casa del Cinema di Roma, a Villa Borghese, affollata conferenza stampa delle “Giornate degli Autori”, giunte alla 16ª edizione.
Come accade dal 2004, nell’ambito della Mostra Internazionale del Cinema di Venezia si svolgono le “Giornate degli Autori” (che si sviluppano dal 28 agosto al 7 settembre), dirette da Giorgio Gosetti (che è anche il Direttore della Casa del Cinema di Roma), e quest’anno per la prima volta presiedute dallo sceneggiatore, giornalista e conduttore televisivo Andrea Purgatori (Consigliere di Gestione Siae e già Presidente del Consiglio di Sorveglianza fino al novembre 2018): 11 i film in concorso, 8 gli eventi speciali compresi i “Miu Miu Women’s Tales” e il film di chiusura “Les chevaux voyageurs”, dedicato al “Re dei cavalli”, il poliedrico Bartabas, 7 le “Notti Veneziane” alla Villa degli Autori, cui si aggiungono gli incontri, gli omaggi, i progetti speciali promossi dalle due maggiori associazioni dei creativi del settore, Anac e 100autori. Insomma, una kermesse (le Giornate degli Autori) all’interno di una kermesse (il Festival di Venezia).
Per i non “addetti ai lavori”, è necessaria una “legenda”. Nel rutilante mondo dei “cinematografari”, esiste una dimensione particolare della sociologia culturale, qual è l’attività festivaliera. Sia ben chiaro, esistono anche, in tutta Italia, centinaia di festival e festivalini anche nel settore cosiddetto dello “spettacolo dal vivo”, ovvero teatro, musica, danza, multimedialità, ma è nello specifico cinematografico che esiste una particolare fauna sociologica: i festivalieri, ovvero i frequentatori assidui, talvolta maniacali, di festival.
Si tratta prevalentemente di critici e giornalisti cinematografici (le due categorie sembrano simili, ma non lo sono), ma anche di cinefili appassionati e di studenti universitari di cinema… Un universo di qualche centinaia di persone, che spesso si incontrano, e si riconoscono, da un festival all’altro, in una sorta di compagnia di giro. Fatti salvi i pochi giornalisti professionisti sostenuti dalle rispettive testate, la passione consente loro di sostenere le spese di viaggio e di alloggio, anche se talvolta alcuni festival, quelli di “serie A”, sono così ben sovvenzionati da poter offrire ospitalità gratuita.
All’interno dei festival di “serie A”, rientra naturalmente la Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia: che queste “vetrine” abbiano avuto un senso, nel corso dei decenni, è indubbio, come occasioni per accendere i riflettori su opere innovative, spesso su film che non erano stati accolti nei cosiddetti circuiti commerciali.
Nel corso degli ultimi anni, indebolitasi la frequentazione delle sale cinematografiche ed essendo esplosa la fruizione parallela, su altri media (prima le televisioni, poi le videocassette, poi i dvd, infine internet), queste occasioni festivaliere di proposta della “diversità” (rispetto al “mainstream” del marketing commerciale) hanno finito per perdere la loro primaria funzione innovativa.
Una riflessione attenta ed accurata sui festival cinematografici, e sulla loro funzione nell’economia semantica e politica del sistema audiovisivo, non è mai stata realizzata in Italia.
Servono ancora? Non servono?! A chi servono?!
Basterebbe analizzare quale “ricaduta” concreta ha una vetrina di alta qualità, qual il Festival di Venezia: quanti dei film proiettati durante la kermesse veneziana hanno poi beneficiato di una concreta distribuzione nelle sale cinematografiche?!
Nessuno si è mai preso la briga di realizzare uno studio in materia, forse anche perché i risultati non sarebbero entusiasmanti. Spesso anche il Premio per il Miglior Film assegnato a Venezia non determina lo stimolo affinché un distributore abbia il coraggio di proporlo concretamente nelle sale cinematografiche. Anche perché non raramente si tratta di film che possono essere classificati come “difficili”, ovvero destinati prevalentemente a target culturalmente evoluti.
È già molto se un film premiato al Festival di Venezia viene trasmesso da un’emittente televisiva: quasi escluse “a priori” le reti generaliste (servizio pubblico Rai incluso, purtroppo).
La domanda resta la stessa: servono questi benedetti festival? Senza dubbio un contributo all’estensione del pluralismo dell’offerta lo producono, e già questa potrebbe essere la ragione sufficiente per giustificare la loro esistenza, e soprattutto il sostegno della “mano pubblica” nel sistema culturale.
Crediamo però che si dovrebbe procedere ad una mappatura di queste iniziative, ad una analisi valutativa delle ricadute concrete (socio-culturali) che producono, o non producono, nel tessuto del sistema cinematografico ed audiovisivo: l’obiettivo dovrebbe essere la stimolazione di una nuova audience, l’attrazione di spettatori – soprattutto giovani – che comprendano il senso, la qualità, l’unicità di un “film cinematografico” e della sua fruizione in una “sala cinematografica”. Tutto questo in opposizione (culturale) al flusso infinito della tv e, peggio ancora, di internet.
Eppure, chi frequenta questi festival?! Non sono state sviluppate indagini sociologiche in materia, ma è sufficiente un occhio minimamente attento per comprendere che si tratta di iniziative spesso “autoreferenziali”: sono funzionali al mantenimento di “macchine culturali” (tale può essere definito un festival) la cui funzione strategica diviene sempre più evanescente, ovvero sono funzionali alla sopravvivenza (paradossalmente burocratica) di chi le promuove, di chi le organizza, di chi “questo” fa di lavoro.
Assistendo questa mattina alla presentazione delle Giornate degli Autori abbiamo maturato questa impressione: autoreferenzialità, compiacimento, narcisismo. Da un lato, sul tavolo di presidenza, i promotori, intellettuali raffinati ed organizzatori culturali di provata esperienza; dall’altro, in platea, la succitata fauna di giornalisti specializzati, di cinefili, di appassionati, insomma di… “festivalieri di professione” (o festivalieri per diletto). Una sorta di gioco di specchi e rispecchiamenti. Autoreferenzialità allo stato puro.
La presentazione, organizzata in modo accurato, tra proiezioni di brevi anticipazioni dei film selezionati e brevi interventi dei relatori, è durata un paio di ore, che sono volate via piacevolmente, perché la regia dell’iniziativa è stata ben curata, e certamente sono stati stimolanti i tanti “estratti” delle opere selezionate. Impressiona osservare che i selezionatori hanno visto, nel corso dell’anno, ben 1.000 film (!), prima di addivenire alla scelta finale: un enorme carico di lavoro (oltre che di visione: 3 film al giorno!) per le due giovani responsabili della “ricerca, selezione e programmazione” delle Giornate degli Autori, Gaia Furrer e Renata Santoro.
Questa mattina, abbiamo quindi senza dubbio goduto di una succosa anticipazione di opere cinematografiche, provenienti da tutto il mondo, che i privilegiati frequentatori della kermesse veneziana potranno vedere. E poi?! Cioè, che percorso hanno queste opere nella concretezza del mercato cinematografico?! Fatte salve eccezioni, si tratta di proiezioni in esclusiva per una eletta schiera di intellettuali ed appassionati.
Si tratta di iniziative sganciate – arriveremmo a sostenere completamente sganciate – dal mercato cinematografico.
Come dire?! Un’offerta di alta arte culinaria per palati raffinatissimi. Siamo però anni-luce dalla concretezza della sala cinematografica (e dai suoi… pop-corn), siamo in una sorta di mondo parallelo. Da un lato, ostriche e champagne, dall’altro gazzose e pop-corn…
Il Direttore delle Giornate (anzi Delegato Generale, nella nomenclatura dell’organizzazione) Giorgio Gosetti, a fine conferenza, ha onestamente segnalato che questa elegante “macchina organizzativa” ha un budget di 600mila euro. Tanti?! Pochi?! Chi può dirlo?!
A rendere possibili le Giornate degli Autori, sono anche quest’anno anzitutto la Direzione Cinema del Mibac (nel 2018, la Direzione ha assegnato 230mila euro alle Giornate, nella categoria “festival” – a fronte dei 220mila dell’anno 2017), il “main sponsor” Banca Nazionale del Lavoro – Gruppo Bnp Paribas, con rinnovato impegno della Siae e Miu Miu per le giornate di “Women’s Tales”; la Commissione Cultura del Parlamento europeo per il Lux Film Prize e il progetto “28 Times Cinema.
Un estratto del comunicato stampa delle Giornate degli Autori è sintomatico: “una selezione che conferma la voluta sobrietà di titoli a vantaggio di una speciale promozione della creatività più libera e indipendente da tutto il mondo. E se si volesse, fin dal programma, individuare un “filo rosso” capace di collegare la maggior parte delle scelte, parleremmo di uno scontro di culture che mette a nudo le fragilità del mondo contemporaneo, conteso tra una tendenza all’omologazione e la vitalità di radici ancestrali che non si piegano alla massificazione”. Oh, perbacco! E si continua: “l’altro elemento distintivo è una vocazione alla ricerca di linguaggi “pop” che stimolino la curiosità di pubblici diversi, convinti come siamo che il cinema debba oggi parlare a comunità distinte di spettatori, ma sempre avendo come stella polare la volontà di farsi capire, di suscitare emozioni e passioni, di ristabilire un dialogo diretto tra l’artista e lo spettatore a prescindere dai modi del consumo”. Oh, perbacco, bis! E viene posto come esempio emblematico l’esordio del giovanissimo sudanese Amjad Abu Alala, nel film “You Will Die at 20”, un autodidatta ventenne destinato – secondo i promotori delle Giornate – a stupire.
Nella selezione competitiva delle Giornate (20mila euro di premio per il miglior film giudicato da 28 giovani spettatori provenienti da tutti i paesi dell’Unione Europea), non mancano nomi cari “a chi ama il grande cinema” come Dominik Moll (il suo “Only the Animals” aprirà il programma mercoledì 28 agosto), Jayro Bustamante (con “La Llorona”, inedito esempio di cinema civile in cui fantasmi e morti viventi si prendono la scena), la star giapponese Jō Odagiri (con “They Say Nothing Stays the Same” alla sua prima prova nel lungometraggio), Fabienne Berthaud (che ritorna dopo “Sky” con un suggestivo viaggio iniziatico in Mongolia di Cécile de France in” Un monde plus grand”). E se è difficile leggere come un semplice esordio quello del maestro della “graphic novel” Igort (“5 è il numero perfetto” con Toni Servillo, Carlo Buccirosso, Valeria Golino), i promotori scommettono che non passerà inosservato (d’accordo, ma da “inosservato” da chi, cinefili a parte?!) “Mio fratello rincorre i dinosauri” di Stefano Cipani, dal romanzo di Giacomo Mazzariol…
A completare la selezione il polacco “Corpus Christi” di Jan Komasa (oggi interprete di temi cari al maestro Kieslowski), il norvegese “Beware of Children” di Dag Johan Haugerud (con una saga familiare che diventa spaccato sociale e politico), il travolgente “Un divan à Tunis” di Manele Labidi (commedia… “destinata a far innamorare”), il debutto del Laos alla Mostra con la ghost-story “The Long Walk” di Mattie Do, l’inedita coproduzione tra Usa e Filippine “Lingua Franca” di Isabel Sandoval (che riafferma i diritti del “gender” nell’America di Trump).
Un banchetto appetitoso, insomma, senza alcun dubbio, ma allestito a vantaggio di chi?!
Giorgio Gosetti, con il suo tono sempre pacato e sornione, ha sostenuto che gli organizzatori sarebbero dei… “corsari”: “Ciò che abbiamo disegnato con i film, i protagonisti, le iniziative di quest’anno è un mosaico di tessere strettamente intrecciate: uno sguardo sul mondo che se da un lato restituisce speranza per la forza – che è propria del miglior cinema – di interpretare la realtà, dall’altro dipinge una terra assediata da crudeli memorie, fantasmi inquietanti, deserti fisici e ideali. Questo mare in tempesta abbiamo voluto attraversare come moderni corsari alla ricerca del tesoro”. Narcisismo a parte… tutto molto bello (come direbbe Rovazzi), ma poi?! Concretamente, nelle sale, quali di questi (verosimilmente) gran bei film avrà chance di vedere lo spettatore cinematografico italiano?!
Il Presidente uscente delle “Giornate degli Autori”, il già Presidente della Commissione Cultura del Parlamento Europeo Roberto Barzanti (ritenuto “il padre” della famosa fondamentale indimenticata Direttiva “Tv Senza Frontiere”) ha riaffermato le ragioni genetiche dell’iniziativa: estendere l’offerta, stimolare il pluralismo. E come dargli torto?! Il bisogno c’è, eccome se c’è. La questione è se questa estensione e questa stimolazione vengono significativamente attivate da iniziative come queste, che alla fin fine sono riservate ad un’élite di intellettuali privilegiati.
In prima fila, sedeva un’altra europarlamentare, Silvia Costa, anch’essa “Past President” della Commissione Cultura del Parlamento Europeo.
Sia Barzanti sia Costa sono politici che hanno fatto del loro meglio – con serietà e con passione – per promuovere le ragioni delle culture nazionali nell’Unione Europea, per stimolare la creatività e lo sviluppo delle industrie culturali, ma lo stato dell’arte non è entusiasmante, anche rispetto alla deriva della Direttiva “Servizi Media Audiovisivi”.
La quota di mercato del cinema europeo nei singoli Paesi dell’Unione non cresce, le “quote obbligatorie” imposte ai broadcaster sono spesso state interpretate in modo lasco assai, gli “over-the-top” ignorano le normative…
Lo scenario è sconfortante.
E questa mattina è giunto anche un video messaggio del neo Presidente del Parlamento Europeo, David Sassoli, un po’ deludente ed in verità piuttosto rituale. Un collega giornalista ha commentato ironicamente, “Antonio Tajani avrebbe detto esattamente le stesse cose”; e, anzi forse le ha dette, due o tre anni fa….
Crediamo che in verità una riflessione seria, autoanalitica e – se del caso – autocritica, su queste tematiche dovrebbe essere avviata, e magari dopo una fase di studio approfondito della “fenomenologia” festivaliera italica, con adeguate valutazioni di impatto.
Ci limitiamo qui a ricordare (ne abbiamo già scritto, più volte, anche su queste colonne), che nemmeno il titolare del Ministero per i Beni e le Attività Culturali (né le due direzioni ministeriali più competenti, ovvero la Direzione Generale Cinema e la Direzione Generale Spettacolo dal Vivo) dispone di un censimento accurato, di un monitoraggio aggiornato, di analisi valutative comparative dei… mille e più festival che attraversano tutto lo Stivale.
Si ricordi che nel 2018 il Mibac ha distribuito complessivamente ben 50 milioni di euro, a favore di festival, rassegne cinematografiche ed iniziative varie ed eventuali per “lo sviluppo della cultura cinematografica”. Una fetta significativa della “torta” va a vantaggio di Istituto Luce Cinecittà (ben 11 milioni), del Centro Sperimentale di Cinematografia (8 milioni), della Biennale di Venezia (7 milioni)…
Ai festival, rassegne e premi cinematografici vanno 4 milioni di euro.
Non sarebbe opportuno promuovere finalmente queste analisi e questi studi, anche per evitare la continua perdurante dispersione di risorse pubbliche?!
Clicca qui, per vedere il programma delle “Giornate degli Autori”, che si terranno a Venezia dal 28 agosto al 7 settembre 2019, presentato il 23 luglio 2019 a Roma alla Casa del Cinema.