La campagna elettorale gira a vuoto. I sondaggi danno un margine di consensi alla coalizione di centro-destra tale da rendere scontato l’esito dei duelli nei singoli collegi. Persino in quelle che un tempo si chiamavano le zone rosse.
Gli interrogativi nell’opinione pubblica sono concentrati sui risultati che otterranno il 25 settembre le singole formazioni politiche, e, nella fattispecie, sui rapporti di forza che emergeranno in seno al centrodestra, sul risultato del PD e dei suoi satelliti, su quello del Terzo Polo e del Movimento 5Stelle, sulle loro conseguenze nella formazione del prossimo governo. Nonché sul futuro dell’attuale inquilino a Palazzo Chigi che dopo essere stato brutalmente detronizzato sembra essere oggetto di lodi persino da coloro sinora hanno sempre votato contro il governo da lui presieduto.
Partiti pigliatutti, movimenti populisti e sovranisti, ma anche rivalità stringenti fra i sostenitori di Mario Draghi e chi ne vorrebbe ereditare l’operato, rispecchiano bene lo stato confusionale degli elettori italiani, del tutto smarriti di fronte ad un’offerta politica così lontana da quella proposta dalle famiglie politiche tradizionali della Prima Repubblica.
Non che gli italiani non percepiscano le differenze di fondo fra destra e sinistra, fra chi vuole applicare a tutti la flat tax e chi ritiene utile mantenere il dettato costituzionale che sancisce il principio della progressività dell’imposizione in base al reddito dei singoli cittadini. Ma dubitano sull’effettiva volontà politica di realizzare programmi politici precisi guardando oltre gli interessi immediati: prigionieri del presentismo, preoccupati unicamente dall’evitare di assumere comportamenti giudicati politicamente scorretti.
A colpi di Twitter i leader delle formazioni politiche si preoccupano di dare la linea ai propri candidati e di fidelizzare i propri elettori anziché elaborare programmi, fornire soluzioni e discuterle confrontandosi con i propri avversari interni o esterni alla loro coalizione lasciando ai giornalisti “amici” il compito di discettare sulle scelte migliori da adottare e sulle alleanze da perseguire.
L’esito appare scontato.
Di qui il sentimento di noia e di frustrazione per gli elettori. Che dovranno solo ratificare l’elezione di candidati eletti dai segretari seguendo l’ordine in cui si trovano nelle liste e non sembrerebbero nemmeno decisivi nell’eleggere il candidato vincente nel proprio collegio, stanti gli attuali rapporti di forza fra le due principali coalizioni.
Una grande occasione per la Rai di rivolgersi alle fasce deboli e meno informate
Anziché promuovere duelli o confronti fra i leader delle quattro principali coalizioni, assisteremo molto probabilmente a talk show televisivi rivolti a platee già convinte o comunque appartenenti alle classi sociali più informate con dibattiti – in taluni casi anche dotti fra politologi, esperti, intellettuali e storici – che eserciteranno con le loro analisi una funzione di supplenza rispetto a quella cui sono chiamate le forze politiche nel disegnare, a fronte della descrizione e dell’analisi dei problemi da affrontare, le soluzioni e i provvedimenti migliori per il bene della collettività, in parole povere, quello che un tempo si chiamavano i programmi politici con i quali le forze politiche si presentavano al vaglio degli elettori. Programmi del tutto scomparsi o quasi dai riflettori o comunque relegati agli addetti ai lavori
Per la Rai queste ultime tre settimane di campagna dovrebbero essere una grande occasione per assicurare sui canali lineari tradizionali e su Rai Play non solo un’autentica par condicio nel trattamento e nell’accesso garantito nei confronti di tutte le liste che si presentano, ma anche la coesione sociale nei confronti di tutti i cittadini-elettori. Attraverso programmi e formule in grado di interessare in primis quelli meno informati e soprattutto le fasce di popolazione meno istruite e a basso reddito, ovvero quelle categorie, come ha ben scritto su queste colonne Stefano Rolando, che concorrono maggiormente alla crescita del partito degli astenuti o che subiscono e sono preda facile soprattutto sui social network dei dispensatori di notizie false o di proposte propagandistiche irrealizzabili. Che i giornalisti con la schiena dritta dovrebbero sempre e comunque saper smascherare.