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PMI, tre modi per innovarsi e sopravvivere al mercato

Non è la specie più forte che sopravvive, ne quella più intelligente ma quella più reattiva ai cambiamenti dell’ambiente

Quando Charles Darwin nella seconda metà del secolo diciannovesimo, elaborando la sua teoria sull’evoluzione della specie enunciò tale principio, non poteva certo immaginare che la sua affermazione decontestualizzata dall’ambito   scientifico in cui era nata, avrebbe potuto trovare perfetta applicazione nella realtà economica del nostro tempo.

La globalizzazione impone infatti alle imprese, quale condizione di sviluppo e sempre più spesso di sopravvivenza, di  innovare profondamente il proprio modello di business cercando di adattarlo ad una nuova realtà dove avrà sempre meno senso parlare di mercato domestico e mercati internazionali, nella crescente consapevolezza che è ormai progressiva e inarrestabile l’affermazione di un unico mercato: quello globale.

Cerchiamo di meglio mettere a fuoco come l’applicazione del principio darwiniano al contesto economico si addica alle PMI che operano nel nostro Paese ed in particolare a quelle la cui attività produttiva e commerciale è confinata ai mercati regionali o tutt’al più al mercato nazionale.

E’ un indiscutibile dato di fatto che le aziende che sicuramente stanno meglio fronteggiando l’interminabile crisi in atto, sono quelle che da tempo hanno internazionalizzato la struttura produttiva e le vendite.

Le centinaia di migliaia di piccole imprese che compongono il tessuto produttivo del nostro Paese le cui vendite sono da sempre concentrate nel mercato domestico si trovano da tempo a subire una concorrenza di origine straniera sempre più aggressiva soprattutto nelle lavorazioni labour intensive.

Da ormai molti anni si è affermata una nuova ecologia della competizione, caratterizzata da un inasprimento dei meccanismi di selezione e basata in molti casi su una price competition  che vede perdenti le piccole imprese italiane le  quali pensavano di poter fronteggiare a lungo (come fatto in passato) questa concorrenza di origine straniera – ottenendo al tempo stesso un premium price – continuando a puntare su un continuo miglioramento degli standard qualitativi dei beni prodotti.

A causa di una migliorata qualità delle produzioni dei Paesi emergenti e di una progressiva diminuzione del potere di acquisto dei consumatori, questi ultimi stanno sempre più orientando le loro scelte verso prodotti non autoctoni ma in grado di garantire un rapporto qualità/prezzo di gran lunga più favorevole di quanto avvenga nei prodotti domestici.

Il fenomeno in questione interessa se pur in diversa misura quasi tutti i settori economici, anche quelli come ad esempio l’agroalimentare dove notoriamente l’origine e la qualità dei prodotti costituiscono driver molto importanti nell’orientare la scelta dei consumatori.

In questo scenario le piccole imprese le cui vendite hanno da sempre dimensione regionale o nazionale, abituate ad operare in mercati dove negli anni passati non esisteva concorrenza di origine straniera, avvertono da molto tempo una crescente difficoltà non solo ad aumentare il proprio giro di affari ma anche a mantenere le proprie quote di mercato.

Queste ultime appaiano sempre più minacciate dalle produzioni di Paesi emergenti e di quelle multinazionali dei Paesi avanzati che da alcuni decenni hanno delocalizzato la produzione in aree che garantiscono loro, prodotti di buona qualità a costi notevolmente inferiori a quelli realizzati nei Paesi di origine.

Assistere passivamente a quanto sta accadendo significa correre il rischio di compromettere non solo il proprio sviluppo ma addirittura la propria esistenza.

Ne e’ giusto pensare che gli equilibri del passato torneranno a ricomporsi automaticamente o all’adozione di misure protezionistiche che vanno contro la storia. E‘ bene comprendere  che la globalizzazione con tutto ciò che comporta nel bene e nel male, rappresenta un processo irreversibile.

Non è realistico proporre alle più piccole PMI, sul modello di quanto fatto dalle imprese più grandi, di realizzare progetti di delocalizzazione produttiva spostando le produzioni, labour intensive nei Paesi dove i costi di mano d’opera ma anche di gestione sono sensibilmente inferiori. Sembra più logico invece spingerle ad avvicinarsi a quelle importanti nicchie di mercato sempre meno presenti in Italia ma in forte crescita nei Paesi emergenti dove il made in Italy nell’immaginario collettivo rappresenta ancora uno status symbol e dove sicuramente il prezzo svolge un ruolo secondario rispetto alla qualità e al made in.

Ecco dunque che le piccole imprese devono  reagire dotandosi di una forte proattività e ponendo in essere strategie che passano attraverso i seguenti aspetti:

Perchè è importante internazionalizzarsi?

E’ evidente che per qualsiasi impresa sara’ sempre più difficile se non impossibile crescere puntando unicamente sul mercato domestico, i cui confini non sono più impermeabili come un tempo ma anzi dove la presenza commerciale straniera acquista sempre più spazio e quote.

L’internazionalizzazione delle vendite diventa dunque un percorso obbligato per chi voglia espandere la propria attività.

Perché è necessario che le imprese introducano all’interno della propria azienda dosi sempre più importanti di innovazione?

E’ fondamentale rivedere il proprio modello di business, assumendo consapevolezza che per crescere occorrerà sempre più espandersi all’estero puntando sulla qualità ed evitando di misurarsi sulla price competition che vedrebbe le nostre piccole aziende perdenti.

La capacità innovativa che l’azienda è in grado di esprimere sarà un aspetto sempre più importante per decretare il suo successo.

Una capacità innovativa che deve esprimersi non solo nell’innovazione di prodotto o di  processo ma anche nel ridefinire e migliorare le tecniche di vendita, l’assistenza after sale e tutti gli altri aspetti che svolgono un importante ruolo nel  catturare e fidelizzare il consumatore.

 

Quanto è importante oggi conoscere i mercati esteri?

Per garantire alla propria impresa crescita e sviluppo in un mercato che come si è già detto è sempre più globale, e’ importante cercare di capire oggi che cosa importeranno tra dieci anni, Cina, India e Brasile le nuove economie emergenti situate nella sponda meridionale del Mediterraneo, come si evolveranno i gusti delle popolazioni di quei Paesi, come occorrerà  confezionare i prodotti, quali politiche di marketing occorrerà adottare.

E’ necessario cercare di individuare tutte quelle nicchie di mercato dove la sfida si gioca sulla qualità dei prodotti, sulla loro origine, su quel concetto di made in Italy che ancora svolge un ruolo cosi  importante nell’immaginario collettivo delle popolazioni dei Paesi emergenti il cui potere di acquisto è in forte crescita.

Sotto questo punto di vista la conoscenza approfondita dei mercati che si può ottenere con l’aiuto delle banche e delle istituzioni ma ovviamente con un alto tasso di proattività da parte dell’imprenditore è mai come ora un fondamentale fattore di successo.

Perché è importante aggregarsi?

Per poter procedere con successo nei difficili sentieri dell’internazionalizzazione per poter esprimere quella capacita’ innovativa che il posizionamento internazionale richiede, per una piccola impresa la via obbligata e’ l’aggregazione, il che significa affrancarsi da quell’individualismo in cui le imprese italiane sono da sempre arroccate essendo convinti che uniti forse si procede più lentamente ma si va molto più lontano.

Bisogna dunque credere nella filosofia dell’unione, che per funzionare deve essere un unione vera e concreta, fatta di rispetto delle parti e di condivisione assoluta degli obiettivi e delle strategie, di intenti comuni di perseveranza e serieta’.

La forza di un gruppo insieme alle innegabili qualità di versatilità e competenza che le PMI italiane sono in grado di esprimere possono dar vita ad un circolo virtuoso e di potenza commerciale.

Alle imprese viene chiesto di compiere un salto soprattutto culturale adottando un modo di pensare globale, indipendentemente dalle dimensioni aziendali. Per crescere ed essere competitivi in un economia globale bisogna essere internazionali e innovativi nel senso più pieno del termine e non solo limitarsi a tentare di vendere i propri prodotti all’estero.

La propensione al cambiamento e a rimettere in discussione modelli di business che hanno decretato il successo dell’azienda in passato ma che ormai appaiono sempre più anacronistici rappresenta oggi in molti casi la premessa indispensabile per garantire alle imprese la loro sopravvivenza e il loro sviluppo.

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