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Platform to business: perché AgCom deve usare la tecnica degli specchi ustori

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Nella regolazione del digitale è in corso un tentativo di accentramento dei poteri in Europa ed una totale sottrazione della nostra sovranità. Un'interversione del principio di sussidiarietà che sta portando ad un deterioramento dei rapporti tra Stati Membri e Unione. 

Nella regolazione del digitale è in corso un tentativo di accentramento dei poteri in Europa ed una totale sottrazione della nostra sovranità. Un’interversione del principio di sussidiarietà che sta portando ad un deterioramento dei rapporti tra Stati Membri e Unione. 

Secondo l’avvocato generale Maciej Szpunar, il diritto dell’Unione e la direttiva sul commercio elettronico, impediscono l’imposizione di obblighi generali e astratti ad un fornitore di servizi online stabilito in un altro Stato membro. 

Si parla a nuora perchè suocera intenda. La Corte si rivolge al Governo italiano ma il destinatario è sicuramente l’AgCom anche se ha fatto davvero un ottimo lavoro. Uno Stato membro può raccogliere informazioni solo se pertinenti ai suoi obblighi ai sensi di un regolamento. Tuttavia, i difetti rilevati sono meramente procedurali e dunque possono essere sanati adempiendo semplicemente alle dovute formalità richieste.

Non può essere l’esecuzione di un regolamento direttamente applicabile come il Platform to Business (P2B), l’occasione per mettere nuovi oneri generali su soggetti (tipicamente americani) che offrono servizi di intermediazione in Italia ed hanno sede in un diverso Stato Membro (che guarda caso è stato storicamente quello fiscalmente più vantaggioso). Ed in ogni caso ogni decisione deve essere proporzionale, precisamente indirizzata e va normata e notificata a Bruxelles. 

Ma tutto questo è sanabile. Se il giudice del rinvio dovesse giungere alla conclusione che esiste un collegamento tra l’obiettivo del regolamento P2B ed i provvedimenti nazionali di cui trattasi, spetterà al giudice nazionale verificare se essi siano appropriati e necessari. E certamente, secondo me, lo sono. A quel punto basterà fare le cose come chiede l’avvocato Szpunarche e proseguire con la corretta applicazione del regolamento Platform To Business.

Ma che cosa ci chiede davvero l’Europa? Che ci sia un atto primario giustificato dai corretti richiami europei e che sia notificato a Bruxelles. Bene, facciamolo. Servono inoltre misure necessarie e proporzionali e che esse siano distinte per destinatari. Infine occorre trattare in maniera disgiunta i motori di ricerca rispetto alle piattaforme di intermediazione. 

Ora è anche chiaro perchè tutto questo “Bruxelles-effect” sta creando una certa sfiducia nel mercato, ma soprattutto in chi lavora ogni giorno per combattere gli abusi delle piattaforme. Come può vincere un gruppo di meno di 10 persone contro un esercito di centinaia di avvocati e lobbisti? Occorre usare la tecnica degli specchi ustori e ribaltare la potenza di fuoco restituendola, raddoppiata, ma su soggetti esattamente determinati. Più facile a farsi che a dirsi.

I giganti che offrono servizi di intermediazione online possono disporre di centinaia di avvocati, professori, associazioni costituite ad hoc, ed hanno l’esercito più forte d’Europa fatto di lobbisti e professionisti di primo ordine. 

AgCom dal canto suo dispone solo di un personale numericamente limitato, anche se eccellente e di grande qualità. L’obiettivo è contribuire al corretto funzionamento del mercato interno creando un ambiente equo, prevedibile, sostenibile e affidabile per le transazioni commerciali online nel mercato interno.  E questo va fatto come dice Szpunar.

Del resto il regolamento P2B di suo aveva già dei limiti evidenti che sono emersi tutti, ed infatti è in corso di revisione. Ma non è oggi il momento di gridare alla disfatta.

RIF:  PARERE https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/HTML/?uri=CELEX:62022CC0662

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