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Plastica, ne produciamo 300 milioni di tonnellate all’anno e gli oceani sono zuppe di polimeri sintetici

Plastica, una storia lunga 150 anni

La plastica è stata inventata molto tempo fa, intorno al 1870, quando i fratelli americani Hyatt brevettano la formula della celluloide. Inizialmente pensano a questo nuovo materiale per produrre palle da biliardo più economiche (al posto del più raro e costoso avorio), ma poi le richieste aumentarono da più parti (dai dentisti al mondo del cinema, fino all’aeronautica).

Bisognerà comunque aspettare ancora qualche anno, per arrivare alla plastica come la conosciamo noi, più o meno il 1910, quando sarà sviluppata la bakelite (per molti anni la plastica più utilizzata nell’edilizia), a cui seguirà (1913) il cellophane, che farà la storia degli imballaggi.

Il resto è una storia che quasi tutti noi conoscono molto bene, fatta di grandi successi all’indomani della fine della Seconda guerra mondiale e di applicazioni diffuse, con l’affermarsi della plastica come materiale industriale principe, vera leva della crescita economica e di comune utilizzo nella vita di tutti i giorni (a casa, in ufficio, a scuola, a livello commerciale e per l’intrattenimento).

Dalla macro alla microplastica

È stato proprio il suo incredibile successo a determinare quella che oggi, sotto diversi punti di vista, è la sua condanna (e la nostra) definitiva. Ogni anno produciamo più di 300 milioni di tonnellate di plastica, che non sappiamo più dove mettere una volta utilizzata. Gran parte di questa, circa 140 milioni di tonnellate, è infatti monouso, cioè una volta impiegata in qualche attività è poi buttata via.

Cumuli di rifiuti di plastica che regolarmente, ogni giorno, fluiscono drammaticamente verso i mari e gli oceani di tutto il mondo, dopo aver riempito i fiumi e i canali sulla terraferma.

È così che sono nate le grandi isole di plastica che ormai caratterizzano tutti gli oceani del mondo. Come il Great Pacific Garbage Patch nel Pacifico, dove galleggia alla deriva un ammasso di rifiuti di plastica (bottiglie, sacchetti, cannucce, bicchieri, piatti, posate, cotton fioc, imballaggi vari) grande due volte lo Stato americano del Texas.

Microplastiche, nanopalstiche, sostanze chimiche e batteri

E questa è la dimensione “macro” del problema plastica, poi c’è quella “micro”. Sotto queste isole di rifiuti ci sono infatti trilioni e trilioni di frammenti (se ne stimano 170 trilioni in totale), le “microplastiche”, e di microframmenti, le “nanoplastiche”.

Ogni singola macroplastica, come un bicchiere o un piatto, oppure il classico sacchetto della spesa, può disintegrarsi in un numero teoricamente infinito di micro e nanoplastiche nel corso della sua infinita esistenza, e il processo inizia da subito, incontrando semplicemente l’acqua o una qualsiasi fonte di calore.

Mari e oceani, insomma, stanno diventando una zuppa di polimeri sintetici, un brodo di micro e nanoplastiche, che avvelena gli ecosistemi e mette in serio pericolo la vita di animali e vegetali per come la conosciamo noi.

Per garantirgli flessibilità, resistenza, lucidità e tutte le altre caratteristiche che rendono questo materiale facile da impiegare in tutti gli ambiti industriali ed economici, sono impiegate circa 10 mila sostanze chimiche.

Una volta che la plastica finisce in mare poi essa si può legare con altre sostanze, tra cui metalli pesanti, pesticidi, fertilizzanti, le polveri sottili Pm2,5 o anche più piccole, fino agli agenti patogeni, come virus e batteri soprattutto.

I pericolo crescenti per la salute umana (e per gli ecosistemi)

Tutte queste micro e nanoplastiche, infine, hanno ricoperto i terreni, inquinato le falde acquifere e si sono inserite ormai da anni nella catena alimentare naturale, perché gli animali se ne nutrono, le piante le integrano, i venti le trasportano ovunque, fino alla nostra tavola.

La scienza da tempo è impegnata nello studio degli effetti di questi frammenti di rifiuti sul nostro organismo (e su quello degli animali e le piante). Sappiamo ad esempio che le microplastiche danneggiano le cellule umane e possono in alcuni casi causarne la morte. Possono indebolire pesantemente il nostro sistema immunitario, possono favorire infezioni batteriche anche gravi, con particolare riferimento ai pericoli che questo stato di cose comporta per la salute dei bambini e dei neonati.

Secondo stime Ocse, entro il 2060 i rifiuti in plastica accumulati in tutto il mondo supereranno il miliardo di tonnellate, con un tasso di riciclo di appena il 17%, inferiore alla plastica che si stima finirà negli inceneritori (18%) e di quella che sarà buttata in discarica (50%).

Nazioni Unite in campo e negli Stati Uniti c’è chi vuole fare la guerra alla plastica monouso

Le Nazioni Unite hanno avviato l’anno passato un nuovo negoziato con 175 Paesi di tutto il mondo proprio per porre fine all’inquinamento da plastica. Il documento, che conterrà degli accordi vincolanti, si pone come obiettivo la messa al bando globale della plastica monouso, con nuove tasse sulla produzione e sui consumi, seguendo il principio “chi inquina paga”.

Si spesa che già nel 2024 si arrivi ad un documento condiviso finale all’interno delle Nazioni Unite.

Negli Stati Uniti si cerca di anticipare queste politiche contro la plastica monouso, per il suo riciclo e riuso diffusi, per evitare nuovi rifiuti e per sfruttare nuovi cicli di vita dei prodotti, ricavandone ulteriore valore economico.

La California ha recentemente approvato la SB54, una legge che impone il riciclo o il compostaggio del 100% degli imballaggi di plastica entro la fine del 2023. Altri quattro stati (Colorado, Maine, Oregon e sempre la California,) hanno approvato altre leggi sulla responsabilità estesa del produttore nella celta delle soluzioni di fine vita di un prodotto, incentivandone così il riciclaggio e il compostaggio.

Grande attenzione, infine, sta ricevendo il Break Free From Plastic Pollution Act, provvedimento federale per la riduzione della produzione e l’utilizzo di plastica monouso.

La strada è segnata, ma la strada è lunga. L’industria della plastica vale una fortuna a livello globale, ma anche il mercato del riciclo inizia a crescere e nel 2026 potrebbe valere 65 miliardi di dollari.

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