Il Tribunale delle Imprese di Roma con sentenza 9026/16 di ieri 5 maggio ha condannato la piattaforma digitale francese “Kewego” gestita da KIT DIGITAL FRANCE a risarcire Mediaset a titolo di “concorso nella violazione dei diritti di sfruttamento economico vantati” dal noto broadcaster italiano, rinviando la quantificazione del danno ad un ulteriore accertamento tecnico.
I giudici romani hanno posto alla base della loro decisione il consolidato orientamento della Corte di Giustizia UE in base al quale l’attività di ottimizzazione e di promozione di dati e di informazioni agli utenti di Internet fanno perdere al provider il necessario gradiente di neutralità perché siano applicabili le limitazioni di responsabilità previste dalla direttiva e-commerce.
Sulla base dell’analisi delle sentenze emesse dalla Corte UE in relazione ai noti casi Google France, L’Oréal, Scarlet, Netlog e Telekabel, il Tribunale di Roma ha riconosciuto che, anche volendo prescindere dalla distinzione della ricostruzione della figura del provider in termini di hosting passivo e di hosting attivo, esso dovrà certamente rispondere dell’attività illecita posta in essere dall’utente tutte le volte in cui, opportunamente informato dal titolare dei diritti, in violazione di quanto stabilito dall’articolo 14 della Direttiva 2000/31/CE, ometta di attivarsi immediatamente per impedire il protrarsi dell’attività illecita.
Onere di attivazione che si pone in piena sintonia con i principi di diligenza e ragionevolezza che è giusto attendersi da tali operatori (di video-sharing). Onere di attivazione che prescinde totalmente dall’esistenza di un preventivo ordine dell’autorità civile o amministrativa di rimozione e che sorge in capo all’ISP automaticamente non appena a conoscenza dell’illecito.
La Corte romana ha quindi accertato la responsabilità della Kit Digital France perché era “a conoscenza o poteva essere a conoscenza dell’illiceità commessa dall’utente”; conoscenza che deve ritenersi sussistente in presenza di notifiche stragiudiziali che contenevano la denominazione di alcuni programmi Mediaset in quanto “idonee a consentire con sufficiente puntualità i singoli contenuti multimediali [….] avuto riguardo alla notorietà dei programmi in questione e alla agevole attività di reperimento di tali contenuti richiesta al provider a seguito della diffida”.
Informazioni che in corso di causa erano state ulteriormente integrate con la specifica indicazione anche degli URL per la localizzazione dei video e che, ciò nonostante, sono rimaste accessibili agli utenti di Internet per “alcuni mesi”.
Un ritardo, questo, secondo i giudici, “non giustificabile” considerato che l’attività richiesta ai provider in tali circostanze necessita di “un breve lasso temporale” incompatibile con il protrarsi dell’inerzia riscontrata nel caso di specie.