I primi spazi nei parcheggi riservati all’uso dei conducenti di sesso femminile – i “frauenparkplatz” – sono stati introdotti in Germania all’inizio degli Anni ’90. L’utilizzo nel Paese di questi spazi ‘rosa’ è abbastanza esteso – alcune regioni tedesche infatti richiedono che almeno il 30% degli spazi nei parcheggi sia tenuto a disposizione delle donne. All’infuori della Germania però, il concetto ha inciso più che altro in alcuni paesi asiatici: particolarmente in Cina, Sud Corea e Indonesia.
Ora, dopo 14 anni, il più importante esperimento coreano – nella città di Seoul, dove circa 2mila dei 16.640 posti auto nelle strutture pubbliche erano stati allocati alle donne – è stato cancellato. Gli spazi resi disponibili saranno ora trasformati in posti “family friendly”, senza riferimento al genere dell’autista dell’automobile.
In origine gli spazi rosa nei parcheggi – perlopiù situati vicini alle uscite o eventualmente agli ascensori – erano stati introdotti per combattere il fenomeno delle molestie e delle aggressioni sessuali nei parcheggi. Ciò anche se, secondo l’analisi statistica della Polizia federale tedesca, gli attacchi alle donne non erano più probabili nei parcheggi che altrove. La pratica è stata criticata anche dalle femministe, in quanto la tendenza – abbastanza comune – di fare questi spazi più larghi di quelli dedicati alla ‘massa’ lasciava intendere che le donne fossero invece meno abili nelle manovre di parcheggio.
In maniera del tutto prevedibile, una forte opposizione è arrivata anche da parte del pubblico maschile, che si sentiva invece discriminato – un’obiezione che, nel caso coreano, non sembra sia stata superata dall’infelice commento da parte delle autorità metropolitane di Seoul secondo cui lo scopo dell’esercizio sarebbe stato quello di ridurre le distanze che le donne devono percorrere in quanto le femmine – notoriamente – portano i tacchi alti…
È triste osservare come le società moderne siano spesso così attente ad assicurarsi che nessun gruppo possa avvantaggiarsi rispetto agli altri che, alla fine, un beneficio che non sia assolutamente ‘universale’ rischia di non passare, anche quando è semplice e sensato.