Riaprire o non riaprire la scuola? Al ministro dell’Istruzione, Patrizio Bianchi, il difficile compito di superare il dilemma. Da una parte c’è chi dice, dati alla mano, che le scuole sono sicure, anzi, i posti più sicuri in Italia in termini di possibilità di essere contagiati dal Covid-19, dall’altra chi, dati alla mano, solleva il problema delle nuove varianti, più aggressive delle precedenti e che colpiscono anche i più giovani e i bambini.
Scuola aperta o chiusa? Lo studio
Un team di ricerca italiano composto da epidemiologi, medici, biologi e statistici, tra cui Sara Gandini, dello Ieo di Milano, ha analizzato i dati del ministero dell’Istruzione, dell’università e della ricerca (Miur) incrociandoli con quelli delle Ats e della Protezione civile relativi ad un campione di 7,3 milioni di studenti e 770 mila insegnanti.
Risultato: “Il rischio zero non esiste, ma sulla base dei dati raccolti possiamo affermare che la scuola è uno dei luoghi più sicuri rispetto alle possibilità di contagio”, ha dichiarato sul corriere.it la Gandini.
“I numeri dicono che l’impennata dell’epidemia osservata tra ottobre e novembre non può essere imputata all’apertura delle scuole: il tasso di positività dei ragazzi rispetto al numero di tamponi eseguito è inferiore all’1%”, si legge nell’articolo.
I focolai di Covid-19 si sono verificati in meno del 7% di tutte le scuole d’Italia, con una frequenza di contagio tra giovani e insegnanti considerata insignificante (molto più alto il numero di contagi tra professori, con un tasso di frequenza quattro volte più alto)
“Di più: la loro chiusura totale o parziale, ad esempio in Lombardia e Campania, non influisce minimamente sui famigerati indici Kd e Rt”, ha precisato la studiosa, con un comportamento della curva dei contagi che sembra indipendente dalla variabile scuole.
Le scuole della Capitale sono state aperte 10 giorni prima di Napoli, ad esempio, ma i contagi sono iniziati a comparire 12 giorni dopo l’incremento dei casi di Napoli.
Altra informazione molto rilevante, soprattutto in relazione al momento che stiamo vivendo, è che i giovani contagiano il 50% in meno rispetto agli adulti e che tale dato è confermato anche con la variante inglese.
In conclusione, la ricercatrice ha spiegato nell’articolo, che “alla riapertura delle scuole non è corrisposta una crescita della curva pandemica: i contagi salgono prima di tutto per le classi di età 20-59 anni, come si vede ad esempio chiaramente in Veneto, e solo dopo due o tre settimane tra gli adolescenti. I ragazzi non possono quindi in nessun modo essere definiti responsabili o motore della curva”.
In piazza contro la dad: “torni a suonare la campanella in classe”
E poi c’è la piazza. Una piazza che è contro la didattica a distanza (dad), che vuole tornare a scuola, che ritiene fondamentale il rapporto diretto “in presenza” tra insegnanti e studenti, che vede la chiusura delle aule scolastiche come un errore gravissimo, dalle conseguenze pesantissime per il futuro dei ragazzi e per il futuro di questo Paese.
In 34 città d’Italia, raccogliendo l’appello della Rete Scuola, studenti, professori, famiglie e cittadini sono scesi in piazza ieri per chiedere il rientro in classe e lo stop alla dad.
“Basta dad”, o “la campanella torni a suonare” e “la scuola si fa in presenza”, alcuni degli slogan più ricorrenti.
Il ministro Bianchi, ospite di una nota trasmissione serale su Rai Uno, ha assicurato il pubblico a casa, affermando: “Da settembre inizierà un anno costituente, dedicato a riportare la scuola al centro del nostro paese“.
Un’informazione utile, una speranza, un po’ di ottimismo da infondere agli italiani, ma che fa tornare alla mente le tante promesse fatte nell’ultimo anno dal precedente Governo, di una scuola al centro delle preoccupazioni del Governo e delle Istituzioni che poi invece è stata abbandonata come una zavorra insopportabile.
“Abbiamo deciso di dare alla scuola 150 milioni per permettere a giugno di organizzare l’orientamento e il recupero degli alunni. Lo faremo con i Comuni e con le Province”, ha dichiarato il ministro parlando del Decreto Sotegni.
“Al fine di agevolare le istituzioni scolastiche nella gestione della situazione emergenziale e nello sviluppo di attività volte a potenziare l’offerta formativa extracurriculare – ha spiegato Bianchi – il recupero delle competenze di base, il consolidamento delle discipline, la promozione di attività per il recupero della socialità degli studenti, avverranno anche nel periodo che intercorre fra la fine dell’anno scolastico 2020/2021 e l’inizio dell’anno scolastico 2021/2022”.
Riaprire la scuola, tra urgenza e cautela
Per un anno intero la scuola è sembrato più un problema di cui liberarsi temporaneamente, che un tema delicato da affrontare con urgenza e la dovuta cautela.
Le scuole sono state chiuse per paura dei contagi e ora si assicura che torneranno ad essere aperte già a giugno, al di fuori del periodo canonico, dando per scontato che la pandemia sarà sotto controllo entro pochi mesi, magari grazie al piano vaccinale (che al momento, come tutti sanno, è portato avanti a singhiozzo, per scarsa capacità organizzativa delle regioni, per dubbi sulla sicurezza dei vaccini e per mancanza delle dosi da somministrare).
Urgenza perché la democrazia si basa anche sull’istruzione, sulla scuola come luogo centrale della fase di maturazione dei più giovani e allo stesso tempo luogo privilegiato per conoscere ai ragazzi la nostra società.
Cautela perché la pandemia è ancora sconosciuta, è da tenere sempre sotto controllo e il virus Sars-Cov2 è un patogeno ignoto, da cui ancora ci possiamo attendere nuove minacciose evoluzioni.
Di fatto, dopo un anno, siamo ancora qui a parlare di scuola aperta o scuola chiusa, dad si, dad no (con tutto il peso delle scelte, prese e non prese, a livello di Governo che ricadono sulle famiglie), mentre bambini, ragazzi e adolescenti si trovano a vivere sospesi tra l’incapacità e l’irresponsabilità degli adulti e le grandi sfide storiche poste dai cambiamenti climatici, dall’emergenza sanitaria, dalla crisi economica e sociale e da quella che la Presidente della Commissione europea ha definito pochi giorni fa “la nuova era delle pandemie”.
Vale la pena ricordare, infine, che la scuola è un simbolo di civiltà, prima ancora che un problema. Spesso la scuola è l’unico poso sicuro per migliaia di ragazzini e ragazzi, che da Nord a Sud vivono in contesti socialmente ed economicamente difficili, criminali e violenti, dove a regnare è la legge del più forte e l’ignoranza elevata a valore.
Pensiamoci bene prima di affermare con certezza che le scuole vanno chiuse, perchè parliamo della vita (e del futuro) di milioni di giovani cittadini italiani.