Due giorni fa i ribelli del gruppo yemenita Huthi hanno attaccato con droni armati Buqayq in Arabia Saudita, una delle più grandi raffinerie del mondo. Un secondo attacco ha preso di mira l’impianto di Khurais. Oltre all’infrastruttura, le bombe hanno colpito anche il grande giacimento petrolifero della compagnia Saudi Aramco.
Dei 17 attacchi che complessivamente sono stati portati a segno in Arabia Saudita, nella giornata di sabato, nessuno è ancora stato chiarito in termini di responsabilità reali. I media americani puntano il dito sull’Iran e il Presidente Donald Trump ha già annunciato la possibilità di una risposta militare.
Altri hanno addossato la responsabilità all’Iraq.
Secondo stime tecniche preliminari, gli attacchi agli impianti potrebbero aver colpito duramente la capacità di produzione saudita di barili di petrolio. Possibile la perdita di 5-6 milioni di barili di greggio al giorno, con prime conseguenze sui mercati energetici mondiali e possibili ulteriori turbolenze improvvise nei prossimi giorni.
Come spiegato sul Sole 24 Ore: “I future del greggio in nottata hanno registrato rialzi tra il 12% e il 18%”, mentre le incognite geopolitiche potrebbero avere riflessi indiretti e di più lungo periodo, con una crisi di fiducia che andrebbe ad investire aziende, investitori e consumatori.
Se gli Stati Uniti hanno abbastanza riserve da superare indenni la possibile crisi, diverso è il discorso per il resto del mondo, con i Paesi importatori che potrebbero pagare un rialzo dei prezzi molto elevato, tra cui Cina, Giappone e anche Italia.
All’apertura dei mercati, si legge su ilpost.it, “è stato registrato il più grande aumento nel corso di una sola giornata del prezzo del petrolio, che è salito a 71 dollari al barile”, mentre “il Brent, l’indice del petrolio alla borsa di Londra, dove si vende e compra il petrolio nel bacino atlantico settentrionale, è salito di 12 dollari al barile nell’istante stesso in cui sono iniziate le contrattazioni”.
Di solito, in una situazione del genere, le conseguenze reali per il mercato energetico italiano si traducono in un aumento dei prezzi dell’energia elettrica, dei carburanti e dei sottoprodotti del petrolio, con una depressione dell’industria dei consumi, dovuto ai contraccolpi possibili sull’industria della moda, dei trasporti e del turismo.
Uno contesto che generalmente porta ad una perdita di punti di Pil.
Con un aumento del prezzo del petrolio si può determinare anche un rialzo generale dei prezzi.
Per valutare a pieno se ci sarà o no un impatto sulla nostra economia e quali saranno le sue dimensioni, bisogna considerare alcuni fattori chiave, tra cui: misura del fenomeno, la sua durata e persistenza, il livello di dipendenza di un’economia regionale dalle forniture di greggio (quanto un Paese è più o meno energy-intensive), capacità di risposta in termini di politiche monetarie/fiscali.
Altro elemento critico che in questi giorni sta creando ulteriori preoccupazioni sul fronte del mercato energetico è l’indagine in corso su 58 centrali nucleari francesi condottada Edf, l’Autorità per la sicurezza nucleare (Asn) e Framatome, da cui è emersa “una deviazione dagli standard tecnici di produzione dei componenti dei reattori nucleari”.
La deviazione dagli standard, si legge nel comunicato Adf riportato dall’Ansa, “riguarda il mancato rispetto del range di escursione delle temperature in alcune aree, in particolare nelle operazioni di produzione dette di trattamento termico di detensionamento realizzate su alcune saldature dei generatori di vapore”.
Anche questa situazione, oltre il livello di pericolo per la sicurezza pubblica e ambientale, ha come conseguenze dirette per l’Italia la concreta possibilità di un aumento dei prezzi dell’energia, che si traduce in bollette più pesanti per imprese, industrie, amministrazione pubblica e famiglie.
Secondo gli analisti di Solar Power Network (Spn), la vera batosta per gli italiani potrebbe arrivare nel momento in cui le indagini avviate in Francia evidenzieranno la necessità di sostituire i componenti difettosi nei reattori nucleari.
Lo scenario si profila ancora più drammatico rispetto alla situazione che l’Italia visse sul finire del 2016 ed inizio 2017, “quando la temporanea chiusura di alcune centrali nucleari in Francia portò ad un sorprendente aumento dei prezzi dell’energia sulla borsa elettrica italiana (indice PUN), passando dai 56,44 euro di dicembre 2016 ai 72,24 euro di gennaio 2017: +28% in un solo mese“.
In quell’occasione, il prezzo dell’energia in alcune zone del Nord Italia superò addirittura i 78 euro, con un’impennata del +34% in un solo mese.