Era il 1997 quando con un gruppetto di compagni di classe, a poco più di un mese della maturità, ci ritrovammo riuniti intorno al tavolo di una gelateria discutendo degli SMS e di internet. Alcuni di noi non erano ancora entrati in rete, ma per tutti era lampante il fatto che avessimo il privilegio di vivere proprio nel momento in cui la storia cambiava. Ci sentivamo pronti, preparati in qualche modo a promuovere quel cambiamento, con la presunzione di poter spiegare le nuove tecnologie ed i modelli di comunicazione che ne sarebbero derivati ai nostri genitori, ai professori, a tutti i vecchi della generazione precedente.
La rubrica AssetProtection, ovvero Riflessioni su sicurezza e terrorismo, a cura di Anthony Cecil Wright, presidente Anssaif (Associazione Nazionale Specialisti Sicurezza in Aziende di Intermediazione Finanziaria). Per consultare gli articoli precedenti clicca qui.Poi il ritmo del cambiamento si è fatto sempre più sostenuto, fino al momento in cui, incontrandoci dopo qualche anno, abbiamo dovuto ammettere che forse non era il caso di fare tanto gli spavaldi, perché a molte domande nessuno tra noi aveva più una risposta. E mentre a Scienze della comunicazione ancora si studiavano vecchie materie sui mass media, io cercavo di capire qualcosa in più su cinguettii, cerchie, post su mini-blog, mi piace e Pin it. Ma ancora non mi occupavo di sicurezza e tutto sembrava, con una buona dose di attrazione per l’ignoto, una grandissima opportunità.
Ho cercato di conservare sempre lo stesso atteggiamento e ammetto di essermi entusiasmato quando Twitter ha lanciato Periscope. Con un po’ di romanticismo mi è sembrato fantastico il motto pubblicato sul sito: ci siamo affascinati all’idea di scoprire il mondo attraverso gli occhi di qualcun altro. Effettivamente è questo che succede attivando lo streaming video: le immagini riprese dallo smartphone finiscono direttamente on line, senza neanche un click, mentre autore e spettatore si trovano insieme ad interpretare secondo per secondo quello che succede. Tra un cuoricino e l’altro – per esprimere il gradimento di un video è sufficiente toccare lo schermo e un cuore colorato vola dal basso verso l’alto – ho immaginato cadere le barriere di accesso ad eventi formativi e workshop, senza più il peso del canone mensile di quelle piattaforme che già rendono possibile la condivisione a distanza ma che, per i costi correlati, possono ancora risultare troppo onerose per privati e piccole organizzazioni.
Tra una connessione e l’altra, entrando nelle vite altrui, di gente che magari chiede solo compagnia mentre mangia una pizza o di simpatici personaggi già avvezzi al video (erano youtuber), mi imbatto in una ragazzina catanese di otto anni che, insieme alla sorella di dieci chiede aiuto per fare i compiti. Un brivido mi percorre la schiena, prima ancora che da persona informata sul rischio, da padre di una bimba poco più piccola.
Alla luce di quest’evento mi fa ironicamente sorridere, forse per incompletezza, forse per la presunzione nell’affermare che le Autorità hanno dato prova di riuscire a fronteggiare le sfide della società digitale (Intervento di Antonello Soro, Presidente del Garante per la protezione dei dati personali – Huffington Post, 24 aprile 2015), la considerazione che preoccupa l’Autorità per la Privacy, a pochi giorni dall’attivazione di Periscope. Se la questione sembra concentrarsi sull’immediatezza della comunicazione che, privata del momento della pubblicazione, non fornisce il tempo necessario per riflettere sulle conseguenze delle immagini che si stanno condividendo e sull’eventuale lesione della dignità delle persone riprese, in realtà è ben differente e più ampia.
A tal proposito ho qualche domanda alla quale non sono ancora riuscito a dare una risposta.
Chi è responsabile, e saprà farlo, di spiegare a quella bambina che sta correndo un rischio altissimo?
I genitori sono preparati per aiutarla?
E la scuola in che modo concorre alla sua educazione digitale?
Quale autorità è tenuta, e ancora una volta saprà farlo, a normare l’utilizzo di strumenti e tecnologie, fornendo soluzioni di supporto prima di prescrivere, proibire oppure ignorare definitivamente?
E’ una questione di cultura, di orientamento mentale, di capacità di saper vedere la realtà che ci circonda, senza pigrizia, disposti ancora una volta a rimetterci in discussione per gestire i rischi che individuiamo ma anche per non perdere mai l’aspirazione alle grandi opportunità.
E’ per questo che mi auguro che Periscope servirà a quella bambina solamente per studiare, senza che mai si trasformi nel mezzo che la condurrà, magari in modo brutale o con uno shock, a dover crescere di colpo.