Perché il Senato della Repubblica utilizza Zoom ed altre piattaforme di società private per le videoconferenze del personale amministrativo e per le audizioni delle Commissioni parlamentari e non una soluzione tecnologica di Stato con un progetto open source?
A questa e ad altre domande contenute nel nostro articolo “Zoom si inchina a Pechino e censura (fuori dalla Cina) 2 videoconferenze. Può accadere anche al Senato in Italia? ha risposto l’ufficio stampa del Senato, che ha scelto di comunicarci le informazioni oralmente, perché la risposta scritta ha bisogno di tempi maggiori, ci è stato riferito, aggiungendo tuttavia che non è possibile virgolettare il testo.
Per cui trascriviamo noi le risposte, esprimendo eventualmente un commento o rivolgendo ulteriori domande.
Il contesto
Il Senato della Repubblica, ci ha detto l’ufficio stampa, si è trovato a gestire un’esigenza nuova ed imprevedibile come le videoconferenze da remoto a causa del Covid-19 e, avendo dovuto far fronte a una situazione di emergenza, non ha avuto il tempo di valutare approfonditamente tutte le opzioni disponibili, tantomeno le soluzioni open source, che per loro natura, sottolinea l’ufficio stampa, richiedono sempre un impegno notevole per l’implementazione e personalizzazione. Ed il Senato in merito ha una sua esperienza, ci è stato precisato, perché in passato sono state adottate piattaforme open source da Palazzo Madama.
Zoom
Zoom, continua l’ufficio stampa del Senato, è considerata una delle principali piattaforme globali per le videoconferenze ed è stata preferita anche da altri Parlamenti, ad esempio da quello britannico. Prima di fare la scelta, l’amministrazione di Palazzo Madama, ci viene detto, ha osservato sul web come si sono mossi gli altri Parlamenti.
- Key4biz. Perché il Senato italiano ha seguito il modello Uk e non quello della Francia che utilizza, invece, “WebConférence de l’État”, una piattaforma open source per le videoconferenze di Stato basata proprio sul progetto open source Jitsi Meet?
Il Governo spagnolo usa Jitsi Meet per le conferenze stampa e i giornalisti che possono rivolgere le domande non sono selezionati dagli uffici stampa governativi, ma da un sorteggio che viene effettuato in tempo reale con i numeri casuali di Google (come mostra eldiarios.net)
Perché il Senato della Repubblica ha scelto Zoom
Il Senato ha scelto Zoom, ci ha risposto l’ufficio stampa, perché è una delle principali piattaforme a livello mondiale per le videoconferenze: è quella che è stata e viene utilizzata maggiormente tuttora, ma non è l’unica utilizzata da Palazzo Madama e da alcune Commissioni parlamentari, quest’ultime scelgono in autonomia. Le altre piattaforme sono: TIM IntoucHD, Cisco Webex, Google Meet eMicrosoft Teams, quest’ultima è inclusa nel pacchetto Office, quindi senza spendere soldi aggiuntivi a quelli delle licenze già in possesso del Senato, ci viene detto.
Zoom, continua l’ufficio stampa, questa volta con voce più alta, è stata utilizzata, prevalentemente, per riunioni interne del personale dell’amministrazione.
- Key4biz. Il personale dell’amministrazione del Senato ha un account Microsoft con il piano di licenza appropriato per Teams? Se sì, perché non ha usato lo stesso Teams per le riunioni interne?
Privacy e sicurezza delle videoconferenze
Dal punto di vista dello storage non è cambiato nulla rispetto al periodo pre Covid-19, afferma l’ufficio stampa, perché le videoconferenze trasmesse in streaming e quindi pubbliche sono presenti nell’archivio della web tv del Senato e sul cloud usato dal Senato. Zoom è stata utilizzata, non in maniera esclusiva, ma prevalentemente, per le riunioni amministrative, ci è stato ribadito. A livello parlamentare Zoom è stato usato da alcune Commissioni del Senato solo per le audizioni degli ‘esterni’, i cosiddetti auditi.
I file delle audizioni realizzate con Zoom sono anche nel cloud dell’azienda?
Noi non possiamo fare controlli sui server di Zoom, risponde l’ufficio stampa, spiegando che l’amministrazione del Senato ha solo sottoscritto con l’azienda 30 abbonamenti “business”: 18,99 euro al mese ciascuno per un totale di 6.836 l’anno.
In totale, per tutte le piattaforme e i sistemi di videoconferenze l’amministrazione di Palazzo Madama spende 10.000 euro l’anno.
- Key4biz. Nell’informativa privacy di Zoom si legge che “Quando la riunione viene registrata, è, a scelta dell’host, memorizzata localmente sul computer dell’host o nel nostro Zoom cloud”.
Ripetiamo la domanda: nel cloud di Zoom sono archiviate registrazioni di riunioni o audizioni organizzate dal Senato?
Zoom è stata scelta senza una gara pubblica
Le gare pubbliche non si possono indire in 5 giorni, dichiara l’ufficio stampa, mentre ci comunica che la piattaforma Zoom è stata scelta senza una gara pubblica, aggiungendo che nessuno fa gare per importi pari a 10mila euro. Dopo aver esaminato le 3-4 piattaforme principali del mondo, continua, si è deciso in modo rapido con una scelta amministrativa per Zoom.
Se vogliamo metterci a fare l’esame di idoneità democratica, ci viene detto, credo non ne uscirebbe bene nessuna e poi anche se volessimo fare questo test in 2-3 giorni non sarebbe possibile.
Zoom e la protezione dei dati del Senato
Non ci sono evidenze, dichiara l’ufficio stampa, che Zoom abbia violato la privacy nel nostro caso e qualora dovessero essere accertate avvieremo un’azione legale contro la società. Nell’accordo di licenza, Zoom garantisce che non utilizzerà i dati e gli unici dati forniti dal Senato a Zoom sono le email di chi può organizzare le riunioni con la piattaforma, ci viene detto.
- Key4biz. Zoom raccoglie, in modo lecito, l’indirizzo IP di un utente, i dettagli del sistema operativo e del dispositivo e attraverso i metadati è in grado anche di localizzare utenti, come è accaduto su richiesta del governo cinese quando ha censurato (fuori dalla Cina) 2 videoconferenze per la commemorazione dell’anniversario del massacro di piazza Tiananmen e ha sospeso l’account di un attivista per la democrazia a Hong Kong.
- Potrebbe accadere anche al Senato in Italia, che usa la stessa piattaforma, per le audizioni di auditi, eventualmente, non ‘graditi’ a Pechino?
Perché Zoom e non una piattaforma open source
Innanzitutto, ci viene spiegato, il Senato ha fatto una scelta “cloud”, seguendo le indicazioni di Agid “Cloud first”, anche per questo motivo, continua l’ufficio stampa, è stato preferito Zoom e le altre due piattaforme Teams e Tim IntoucHD a una soluzione open source o in house. Quelle open source erano improponibili soprattutto durante il lockdown con l’elevato numero di device e utenti connessi alla Rete in Italia. E poi è stato scelto Zoom per la facilità di utilizzo rispetto alle altre, basta un link per partecipare o scaricare un software, sottolinea l’ufficio stampa.
La decisione del Senato
La decisione dell’amministrazione del Senato è stata presa in un momento di emergenza e senza pregiudizio di favore verso specifiche piattaforme di cui sono state valutate anche le condizioni di privacy, tiene a sottolineare l’ufficio stampa, che ripete le Commissioni parlamentari di Palazzo Madama non hanno usato esclusivamente Zoom, che, invece, è utilizzata quasi esclusivamente per le riunioni interne.
Perché no a una piattaforma open source (per il momento)
Non c’era il tempo di valutare piattaforme open source, ci viene ridetto, perché richiedono sempre maggiori tempi per sviluppo e adattamento. In futuro ben venga l’adozione di queste piattaforme, si augura l’ufficio stampa, a cui proponiamo una piattaforma iorestoacasa.work: è made in Italy e più precisamente made in Fabriano che utilizza come progetto open source sia Jitsi sia Multiparty Meeting e come server anche quelli di Enti pubblici. Ed è di facile utilizzo.
Sicuramente i suggerimenti di Key4biz saranno presi in considerazione, afferma l’ufficio stampa, che si augura attraverso il lavoro del servizio informatico del Senato ed eventualmente anche di partner tecnologici esterni, di poter utilizzare in futuro piattaforme open source per le videoconferenze.