Il giornalista appassionato, il ricercatore specializzato, ma forse anche il semplice cittadino (che paga il canone ormai in modo… ineludibile) che crede ancora nella “funzione pubblica” della Rai vorrebbero ricevere da Viale Mazzini segnalazioni delle ricerche che la radiotelevisione pubblica italiana produce e mette in qualche modo pubblicamente a disposizione della comunità (professionale, politica, civile): il che purtroppo non accade quasi mai, e non si comprendono le ragioni di questa… discrezione (riservatezza?!).
Qualche mese fa è stata pubblicata sul sito web della Rai la seconda edizione del “bilancio sociale”, relativo all’esercizio 2018 (vedi “Key4biz” del 5 luglio 2019: “La Rai pubblica il ‘Bilancio Sociale’ 2018 senza avvisare nessuno”): poteva essere una occasione di dibattito pubblico, aperto e plurale. Invece…silenzio tombale.
In effetti, Rai non ha dedicato al proprio “bilancio sociale” alcuna attenzione promozionale, sebbene ne avesse enfatizzato l’importanza nel comunicato stampa del 9 maggio 2019, in occasione dell’approvazione del consuntivo dell’anno 2018 (vedi “Key4biz” del 9 maggio 2019, “Tempi di bilanci in Rai, approvato quello di esercizio e quello sociale. Quello che non torna”).
Eppure il documento, pur con tutte le sue pecche, meritava (merita ancora) almeno un convegno, di confronto accademico, politico, civile.
Segnalavamo su queste colonne che uno dei punti deboli del “Bilancio Sociale Rai 2018” era la debolezza delle metodiche utilizzate per misurare la “coesione sociale”, che pure dovrebbe essere elemento caratterizzante giustappunto il servizio pubblico radio-televisivo.
Scrivevamo che nel “Bilancio Sociale” Rai non veniva fornita una minima descrizione metodologica su come la “coesione sociale” fosse stata interpretata, e quindi misurata: veniva fatto riferimento ad un generico “monitoraggio quantitativo” nell’economia del controverso (e costoso assai) “Qualitel”, e si leggeva di “un’analisi dei contenuti, condotta da ricercatori specializzati su un campione di programmi Rai.
Tale monitoraggio, attraverso l’analisi di variabili determinanti come quelle del rispetto della dignità della persona e della capacità di promuovere inclusione/ diversità sociale, è in grado di misurare la capacità di Rai di contribuire alla creazione di coesione sociale”.
Premesso che forse la Rai deve “stimolare” e non “creare” “coesione sociale”, non veniva specificato come quali fossero le “variabili determinanti”, né come fossero state misurate e pesate. E chi erano “i ricercatori specializzati” (anonimi) che hanno effettuato questa “analisi di contenuto”, e come è stata effettuata? Totale assenza di apparato di descrizione metodologica. Mistero.
Tutto ciò premesso, la Rai si auto-assegnava comunque un bel 7,5 di voto (punteggio su scala 0-10), anche se le metodiche utilizzate restavano del tutto occulte.
E – in assenza di descrizione metodologica – non si poteva che prendere per buona la “auto-valutazione” secondo la quale il 99,7 % delle 1.100 trasmissioni analizzate “sono rispettose della dignità della persona”.
Di grazia, almeno l’elenco, a corpo grafico piccolo, dovrebbe essere proposto in allegato: quali sono e con quale criterio sono state scelte queste trasmissioni?!
Da ricercatori specializzati, da topi di biblioteca (digitale), da cultori delle fonti aperte, abbiamo… scavato oltre nel web. E, scavando in profondità sul sito web della Rai, il mistero è stato svelato: è stato pubblicato il rapporto di ricerca, non in sordina ma nel più totale silenzio, curiosamente non nella sezione “Rai per la Trasparenza” (che ha una sotto-sezione intitolata giustappunto “Bilancio sociale”), bensì nella sotto-sezione “Corporate reputation e Qualitel” dell’area “Il Gruppo Rai. La Struttura Aziendale” della sezione “Corporate”.
La ricerca
Al di là delle incomprensibili ragioni di questa allocazione sul sito web della Rai (sito che richiederebbe peraltro una revisione radicale, globale, strategica), il documento – che pure reca la data “febbraio 2019” nella copertina – risulta creato in data 6 giugno 2019, e recita il titolo “Monitoraggio del contributo alla creazione di Coesione Sociale 2018”.
“Key4biz” lo pubblica, linkato in calce al presente articolo: il documento ha registrato una pubblicità (e – temiamo – una diffusione) tendente a zero, se è vero che, cercando il titolo sui motori di ricerca (Google in primis), risulta 1 risultato uno.
Ci auguriamo che la nostra segnalazione possa stimolare il pubblico dibattito.
Si ricordi che l’articolo 2 del “Contratto di Servizio 2018-2022” riporta i principi generali cui deve essere improntata l’offerta di “servizio pubblico”: il comma 3, in particolare, stabilisce che “la Rai è tenuta a promuovere la crescita della qualità della propria offerta complessiva, da perseguire attraverso i seguenti obiettivi: a) raggiungere i diversi pubblici attraverso una varietà della programmazione complessiva, con particolare attenzione alle offerte che favoriscano la coesione sociale”.
È questo il quadro di riferimento essenziale nel cui ambito devono essere inserite le previsioni di cui al successivo articolo 25, comma 1, lett. o), che impegna la “Rai a dotarsi di un sistema di analisi e monitoraggio della programmazione che sia in grado di misurare l’efficacia dell’offerta complessiva in relazione agli obiettivi di coesione sociale di cui all’articolo 2, comma 3, lettera a)”. Lo stesso articolo 2, comma 1, lettera b) specifica inoltre che la Rai deve assicurare un’offerta di servizio pubblico che abbia “cura di raggiungere le diverse componenti della società, prestando attenzione alla sua articolata composizione in termini di genere, generazioni, identità etnica, culturale e religiosa, nonché alle minoranze e alle persone con disabilità, al fine di favorire lo sviluppo di una società inclusiva, equa, solidale e rispettosa delle diversità”.
Si legge nel rapporto curato dall’Osservatorio di Pavia – Media Analysis and Research (Cares scrl) che Rai si è organizzata per rilevare l’efficacia del servizio pubblico nel contribuire a promuovere la coesione sociale attraverso 3 ricerche continuative sulla propria programmazione: (1.) un monitoraggio quantitativo sul pubblico, attraverso il Qualitel, in grado di produrre giudizi relativi al gradimento dei programmi, alla loro qualità e alla capacità di contribuire alla creazione di coesione sociale; (2.) un’analisi quali-quantitativa volta ad indagare il percepito del pubblico rispetto all’atteggiamento dei media in generale e della Rai come “media company” di servizio pubblico in particolare, nei confronti del rispetto dell’identità di genere e della dignità della persona, temi che determinano la capacità di Rai di contribuire a creare “coesione sociale” intesa come condivisione di valori e sentimenti comuni tra i diversi cluster della popolazione; (3.) un’analisi dei contenuti su un campione di programmi Rai condotta da ricercatori specializzati, i cui risultati sono riportati nel report curato dall’Osservatorio di Pavia.
Il monitoraggio di cui qui trattiamo, attraverso l’analisi di variabili come quelle del rispetto della “dignità della persona” e della capacità di “promuovere inclusione/diversità sociale”, si ritiene in grado di “misurare la capacità di Rai di creare un contributo alla coesione sociale”.
Analizzate 1.100 trasmissioni delle 3 reti Rai
Sono state analizzate 1.100 trasmissioni (il cui elenco non viene reso noto, ma è certamente riferito soltanto ai programmi di Rai 1, Rai 2 e Rai 3), che hanno restituito un “campione” di 20.412 persone fra conduttori e conduttrici, giornalisti e giornaliste, ospiti, intervistati, partecipanti ai diversi generi di programmi e personaggi delle fiction. Di questo “campione” di 20.412 persone, 12.843 sono “uomini”, 7.535 sono “donne” e 34 sono “transgender”.
Secondo l’Osservatorio di Pavia, sarebbero trasmissioni che “contribuiscono a promuovere la creazione di Coesione Sociale”:
- genere “Servizio”: “Chi l’ha visto?”
- genere “Attualità”: “La difesa della razza”, “La vita in diretta”
- genere “Tg”: “Tg1” (edizione 13:30), “Tg1” (edizione 20:00), “Tgr Puglia”
- genere “Approfondimento informativo”: “Amore criminale”, “#Cartabianca”, “Generazione Giovani”, “Night Tabloid”, “Report”
- genere “Cultura, Scienza, Ambiente”: “Re-Tv Talk”
- genere “Intrattenimento”: “Ballando con le stelle”, “La tv delle ragazze”, “Quelli che dopo il Tg”, “Gli sbandati”
- genere “Fiction”: “Don Matteo”, “Il confine”, “Il capitano Maria”, “Il Paradiso delle Signore”, “L’Ispettore Coliandro”
Non entriamo nel merito di questa “selezione” (ma ci domandiamo come mai non ci sono – esemplificativamente – né “PresaDiretta” né “Tg3 Mondo”?), né delle tassonomie utilizzate (non ben illustrate), né della quasi totale assenza di attenzione rispetto al tema dei migranti (che pure dovrebbe essere centrale, nell’economia della “coesione sociale”).
Rispetto ad alcuni dati proposti nel rapporto di ricerca, ci limitiamo a segnalare tre dati che emergono:
- in relazione al “gender”, emergerebbe una sotto-rappresentazione delle donne, che costituiscono poco più di un terzo del campione, ovvero un 37 %, a fronte di un’incidenza femminile sulla popolazione reale del 51 %;
- le persone diversamente abili in tv risultano assai sotto-rappresentate rispetto alla loro incidenza sulla popolazione reale, con una quota dell’1,2 % a fronte del 6 %;
- ci sarebbe invece una sovra-rappresentazione degli omosessuali (e bisessuali) con una quota del 3,4 % in tv a fronte di una stima Istat (che risale al 2011) dell’orientamento sessuale dichiarato, che sarebbe del 2,7 %.
Ricordiamo che l’Osservatorio di Pavia – Cares ha curato anche l’edizione 2018 il “Monitoraggio sulla rappresentazione della figura femminile nella programmazione della Rai” (sviluppato sullo stesso campione di 1.100 programmi): anche questo rapporto di ricerca (che è costato a Rai 48.675 euro) è incredibilmente semi-clandestino, per ragioni che sfuggono al buon senso. Cares ha anche realizzato per 3 anni, dal 2016 al 2018, il monitoraggio del pluralismo politico nei programmi televisivi a diffusione nazionale e regionale (costato a Rai 882.000 euro).
Qui si è voluto semplicemente segnalare all’attenzione del pubblico – ovvero delle comunità professionali di riferimento – che la ricerca sulla “coesione sociale” citata tra le fonti del “Bilancio Sociale 2018” è disponibile online, e può essere oggetto di analisi da parte di tutti coloro che sono interessati.
Si segnala anche che l’11 settembre 2019 è scaduto il termine per la presentazione delle offerte della nuova gara promossa per la consulenza sul “Bilancio Sociale”, cui Rai ha assegnato un budget di 200.000 euro per un periodo di 24 mesi (“per servizi a supporto del percorso di sostenibilità del Gruppo Rai”). Ma Viale Mazzini non è proprio in grado di realizzare internamente il proprio “bilancio sociale”?
La Rai deve disseminare le ricerche che promuove
Ribadiamo quel che abbiamo sostenuto in relazione al “Bilancio Sociale”: questi strumenti di autocoscienza dovrebbero essere oggetto di adeguata disseminazione nella comunità, e non pubblicati in sordina.
Queste ricerche dovrebbero essere oggetto di dibattito, discussione, convegni, stimolando approfonditi pubblici confronti. Anche se talvolta queste ricerche producono risultati non proprio entusiasmanti per Rai.
Si segnala, per esempio, che secondo l’“indice sintetico di Corporate Reputation”, nella tabella “Rai vs Competitor Tv”, del monitoraggio che la tv pubblica affida a Gfk (“campione” di 2.948 intervistati nel dicembre 2018) si legge un dato inquietante: in relazione al quesito “Favorisce e promuove l’integrazione culturale e sociale”, l’indice è di 5,9 per Rai (sempre su scala 0-10), a fronte di 6,0 di Mediaset e La7 (si veda pag. 62 del report “Rai Corporate Reputation”, edizione 2° semestre 2018).
Alla luce di simili dati, qualcuno potrebbe addirittura manifestare perplessità sull’allocazione del canone a favore esclusivamente della Rai.
Anche questo rapporto di ricerca non è stato oggetto di alcun pubblico dibattito (e non è stato degno nemmeno di un comunicato stampa). Eppure costa a Rai svariate centinaia di migliaia di euro ogni anno. E sulle spese di Viale Mazzini in consulenze milionarie, torneremo presto, a partire dai 3 milioni di euro tre assegnati a Boston Consulting Group e E&Y, tra il 2019 e 2020, per attività da svilupparsi nell’arco di 3 anni (2019-2021), per “servizi di consulenza strategica nello sviluppo di progetti industriali del Gruppo Rai” e “servizi di consulenza per l’esecuzione operativa di progetti strategici del Gruppo Rai”. Ma questa è appunto… “un’altra storia”.
Sull’argomento “coesione sociale”, segnaliamo infine che, in occasione di un seminario promosso dalla Cgil (Sindacato Lavoratori della Comunicazione – Slc) e dal Centro per la Riforma dello Stato (Crs) il 16 e 17 ottobre a Roma, intitolato “Intelligenza artificiale applicata alla creatività, al lavoro e alla fruizione del cineaudiovisivo”, il mediologo Francesco Siliato (titolare dello Studio Frasi, laboratorio di eccellenza nell’analisi delle audience) ha proposto – in una relazione intitolata “Strumenti di misurazione degli obiettivi non economici delle performance” – alcune elaborazioni originali dell’“indice di coesione sociale” che ha costruito sperimentalmente, insieme a Piero De Chiara (ideatore del seminario Cgl): sarebbe interessante confrontare i suoi risultati con quelli dell’Osservatorio di Pavia. Sull’argomento, si rimanda anche all’intervento di Andrea Melodia, già dirigente Rai e Presidente Ucsi (l’Unione Cattolica della Stampa Italiana), su queste colonne (vedi “Key4biz” del 9 maggio 2019, “Coesione sociale Rai, un punto di partenza per far ritornare competitivo il servizio pubblico”).
Rai dovrebbe promuovere un pubblico dibattito su queste tematiche delicate e sensibili, coinvolgendo l’accademia ed aprendosi alla società civile: ci si augura che il novello Ufficio Studi diretto da Andrea Montanari lavori in sintonia e sinergia con la Direzione Marketing diretta da Roberto Nepote e finanche con Roberto Natale, titolare del settore Responsabilità Sociale della Rai, anche rispetto all’esigenza della massima disseminazione pubblica delle ricerche promosse da Rai (che, anche in questo, è e deve essere “servizio pubblico” appunto). Si serba bella memoria della storica collana editoriale della Rai “Vqpt” (“Verifica Qualitativa Programmi Trasmessi”), nata nel 1984, e della sua evoluzione, nel 2005, in “Zone – Collana di studi e ricerche sui media” (Rai Eri). Negli anni Novanta, la responsabilità della collana passò dalla Segreteria del Consiglio di Amministrazione alla Direzione Analisi, Studi e Ricerche di Mercato.
Nel 1999, la collana confluì all’interno della struttura “Studi e ricerche di mercato” della Direzione Marketing Strategico, Offerta e Palinsesti. Dopo altri passaggi, nel 2004 fu inclusa nell’Ufficio Studi della Direzione Marketing.
Nel corso degli anni, la collana (che ha pubblicato ben 200 tomi, tra il 1978 ed il 2005, ed alla cui direzione si sono avvicendati Loredana Cornero, Bruno Somalvico, Giovanna Gatteschi) allargò il suo raggio d’orizzonte: furono pubblicate monografie sui generi televisivi, sulle strategie di coinvolgimento dello spettatore, sulla rappresentazione della quotidianità da parte della televisione, sui nuovi formati.
Nel 2010, Viale Mazzini ha cancellato questa linea libraria – preziosa per le università e per tutti gli operatori del settore – per ragioni che restano incomprensibili, e peraltro si ricordi che soltanto nel 2019 la Rai ha ricostituito un proprio Ufficio Studi (vedi “Key4biz” del 3 agosto 2016, “Dossier Rai: l’unica Tv pubblica europea senza ufficio studi”)
Si parlerà anche di “coesione sociale” in occasione dell’incontro sulla Rai promosso per venerdì 8 novembre – finalmente – dal Movimento 5 Stelle, su iniziativa del Vice Presidente della Commissione di Vigilanza (nonché del Gruppo M5S al Senato) il senatore Primo Di Nicola? Ce lo auguriamo, anche per superare una qual certa confusione, contraddizione, erraticità del movimento 5 stelle sulla Rai.
Clicca qui, per leggere il “Monitoraggio del contributo alla creazione di Coesione Sociale 2018”, realizzato da Osservatorio di Pavia (Cares) per Rai