Quando l’Unione Europea stabilì il protettorato sul Kosovo nel 2008, c’era il problema di chi doveva gestirlo. Non potevano essere i tedeschi, amici dei croati, né i francesi, amici dei serbi. È toccato all’Italia insediarsi a Pristina con, beninteso, l’alta supervisione di Bruxelles. Doveva essere una vetrina, la prova della capacità di governo dell’Ue che avrebbe raddrizzato il paese balcanico in quattro e quattr’otto, preparando i kosovari alla veloce accessione all’Unione. Non se ne parla più.
Il primo degli strumenti scelti per governare la nuova provincia era la KFOR—la “Kosovo Force”, un esercito misto di soldati perlopiù di provenienza Nato—che avrebbe curato gli aspetti militari. Nei primi tempi contava 50mila uomini. Da allora, 17 paesi sono usciti. Altri rimangono con una presenza simbolica: Portogallo (4 soldati), Norvegia (4), Canada (5) e così via. Per il “cuore militare” europeo, la Francia, da 7mila uomini è scesa a zero, il Regno Unito da 7mila a 30 e la Germania da 8.500 a 250. È l’Italia a dominare la KFOR con un
battaglione di Carabinieri, un totale di 600 militari nel Paese. Gli ultimi cinque comandanti KFOR sono stati tutti italiani: i Generali Farina, Figliuolo, Miglietta, Fungo e Cuoci.
L’altro strumento è la missione Eulex, incaricata a ristabilire lo stato di diritto nel Paese “in accordo con le best practices Ue”. “Supporta e assiste” le strutture nazionali del sistema giudiziario, carcerario e doganale, agisce nella “normalizzazione” dei rapporti con la Repubblica Serba, nel controllo della polizia e dell’ordine pubblico, nella revisione dei processi della magistratura kosovara ed altro ancora.
Sfortunatamente, Eulex è stata scossa da ripetuti e pesanti scandali che—almeno secondo la stampa estera—hanno riguardato anche personale distaccato della Magistratura italiana.
Si tratta di malversazioni, di processi “aggiustati” e di pene ridotte in cambio di mazzette. Oltre alla corruzione, si citano altre pesanti ingerenze. Malcolm Simmons, un magistrato britannico che lavorava con la missione dal 2008 e che dal 2014 presiedeva l’assemblea dei suoi giudici, ha detto a Le Monde che Eulex: “Non promuove la legge e lo stato di diritto, è una missione politica. È ingenuo pensare il contrario”.
Se c’è un vuoto di controllo—non solo di Eulex ma del Kosovo stesso—da parte di Bruxelles, non mancano i candidati per sostituirla: soprattutto la Turchia e il suo Presidente “neo-ottomano”, Recep Tayyip Erdoğan—perché il Kosovo non è solo islamico al 90%, è di “osservanza” Ottomana. Erdoğan, ricordando la secolare presenza kosovara nell’Impero, ha dichiarato che “Kosovo è la Turchia e la Turchia è il Kosovo”. Ciò durante la cerimonia d’apertura del nuovo terminale dell’aeroporto di Pristina costruito da una società franco-turca. È turca la rete di distribuzione elettrica, un consorzio turcoamericano ha costruito la superstrada che collega il Kosovo all’Albania.
La TIKA, l’ente di cooperazione turco, è molto presente. Oltre ai programmi di sviluppo agricolo, di assistenza medica e la costruzione di scuole, restaura edifici d’epoca Ottomana, specialmente le Moschee. Il Capo della Comunità Islamica kosovara chiama Erdoğan “l’inviato di Allah”, che è forse un problema teologico per l’Islam, ma non per il Presidente turco.
L’anno scorso, con l’irrituale espulsione di sei cittadini turchi—un medico e cinque insegnanti, rispediti ad Ankara—il Kosovo è diventato il primo paese europeo a rispondere alle richieste turche di riavere dei “traditori” sospettati di essere seguaci di Fetullah Gulen, l’ex alleato di Erdoğan accusato di aver architettato il tentato golpe del 2016. Il Kosovo è un cerino che—inosservato—brucia ancora, sempre più corto. Cerca una mano dove finire…
*Nota Diplomatica ‘Il cerino Kosovo’ di James Hansen