Pechino sostituirà con prodotti cinesi un totale di 20 milioni di computer, ma potrebbero arrivare a 30 milioni, di produzione straniera all’interno delle sue agenzie governative e di altri uffici pubblici. Il chiaro obiettivo di questo piano triennale, che rientra nel quadro della legge sulla Cybersecurity approvata nel 2017, è raggiungere un’indipendenza tecnologica e digitale definitiva da fornitori esteri entro tre anni, e rispondere così alle crescenti tensioni internazionali, in particolare nei rapporti con gli Stati Uniti.
Lo scrive il Financial Times, che cita una ricerca di China Securities secondo cui nel paese asiatico sono stati completati 100 progetti pilota per la realizzazione di prodotti tecnologici domestici. L’Ufficio Centrale del Partito Comunista, aggiunge il quotidiano finanziario, ha ordinato a tutti gli uffici pubblici di rottamare hardware e software straniero.
Da anni il governo sotto la presidenza di Xi Jinping sta tentando di sostituire la tecnologia prodotta all’estero, soprattutto quella made in Usa.
Bloomberg aveva riportato già nel 2014 che Pechino aveva l’obiettivo di rottamare tecnologie estere dalle banche, dal settore militare, dalle agenzie governative e dalle aziende di proprietà statale entro il 2020.
Il piano nazionale China 2025 aveva fissato tappe ben definite per l’indipendenza tecnologica. Un piano che ha ripreso quota dopo la campagna anti-Huawei del presidente Trump.
Fra le prime aziende che potrebbero subire la nuova posizione cinese ci sono IBM e Oracle nel settore bancario, mentre per quanto riguarda i produttori di semiconduttori come Nvidia e Intel sarebbero più difficilmente sostituibili con produttori cinesi. Lo stesso discorso vale per Microsoft e Apple.