In Cina i pc occidentali finiranno in discarica
Tutti vogliono rafforzare la propria autonomia tecnologica, per evitare di dipendere troppo dalle forniture estere, e questo vale anche per la Cina.
Il grande Paese asiatico ha deciso di togliere di mezzo tutti i computer stranieri, soprattutto quelli utilizzati nella Pubblica Amministrazione (PA) e dalle società a partecipazione statale.
Secondo stime Bloomberg, se ne sostituiranno almeno 50 milioni solo nella PA centrale, entro i prossimi due anni.
Già da questo mese di maggio Pechino dovrebbe aver disposto la sostituzione degli apparecchi di fabbricazione straniera con alternative nazionali.
Si tratta di una mossa con diverse motivazioni alla base, prima di tutto economiche e commerciali, perché rientra nel piano generale decennale di riduzione della dipendenza tecnologica da altri Paesi che ormai sono considerati dei rivali geopolitici, ma da inquadrare anche nell’ottica di una maggiore sicurezza informatica interna.
Nazionalismo tecnologico, cresce Lenovo
Il provvedimento potrebbe anche mettere in difficoltà molti giganti del settore, come HP e Dell (che hanno già iniziato a perdere il 2,5% nelle contrattazioni di venerdì a New York), a favore invece di brand locali molto popolari come Lenovo (che al contrario ha visto salire il valore del titolo del +5%), ovviamente Huawei e Inspur.
Lenovo controlla il 42% circa del mercato interno e nel 2021 le spedizioni nazionali sono cresciute del 7,7%, seguita dalle americane Dell e HP, rispettivamente con il 12,5% e il 9,2%, mentre le taiwanesi Asus e Acer si tendono un 5,5% a testa.
Spazio anche per il mercato software e sistemi operativi, con in pole position società cinesi come Kingsoft e Standard Software.
Sul sito di notizie economiche e finanziarie si spiega che Pechino sta incoraggiando la sostituzione dell’OS Windows con Linux.
La Cina alza gli scudi e la globalizzazione cambia pelle
Previste delle deroghe per alcune organizzazioni che potrebbero continuare ad acquistare attrezzature straniere avanzate al momento non facilmente sostituibili.
Pechino traccia la linea. Il processo di globalizzazione che abbiamo conosciuto fin qui è destinato a frammentarsi in poche grandi sacche di post globalizzazione.
La Cina costruirà la sua molto probabilmente in tutto il continente asiatico o quasi, dove non ci sarà più posto per le aziende occidentali.
La strategia geopolitica legata alla BRI
La Nuova Via della Seta o ‘Belt and Road Initiative‘ (BRI) “non è tanto e solo un progetto di sviluppo infrastrutturale (sia fisico sia digitale), ma include anche molte altre sfere di cooperazione, ivi comprese per esempio, oltre a quella energetica, anche quella sanitaria e quella finanziaria“, si legge in un articolo pubblicato dall’ISPI, l’Istituto per gli studi di politica internazionale.
Già nel mezzo della pandemia, nella primavera del 2020, la Cina aveva rilanciato la Nuova Via della Seta anche in chiave sanitaria, proprio “per mostrare come la rete di infrastrutture BRI potessero servire come meccanismo per la fornitura di servizi medici e aiuti umanitari“.
L’ordine di Pechino di sostituire 50 milioni di pc importati dall’estero è solo l’ultimo segnale forte di una volontà profonda di favorire l’autosufficienza economico-tecnologica, ma attraverso rigidi standard cinesi, che poi troveranno applicazione in tutta l’immensa area di influenza cinese, sostenuta da un parallelo processo di realizzazione di connessioni ed interconnessioni sempre più forti all’interno del continente asiatico.