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Pax mongolica

James Hansen

Le recenti e sorprendenti parole d’elogio di Papa Bergoglio per la ‘Grande Russia’ e la sua tradizione imperiale hanno messo in ombra gli ancora più curiosi commenti papali sulla ‘Pax Mongolica’, pronunciati qualche giorno dopo a Ulan Bator, in Mongolia. L’intenzione del Pontefice era quella di commemorare in maniera degna l’860° anniversario della nascita del Khagan dei Mongoli, Gengis Khan, che regnò sul più grande impero dell’intera storia umana, per l’appunto l’Impero mongolo. Partendo dalla costa asiatica del Pacifico, arrivò fino al Danubio in Europa e al Golfo Persico nel Medio Oriente.

La creazione del regno costò la vita a un immenso numero di vittime, con almeno quattro milioni di civili (altre stime vanno da quaranta a sessanta milioni) che persero la vita a causa delle campagne militari dei mongoli, condotte con una ferocia rimasta ancora oggi proverbiale. Resse poco però. L’Impero sopravvisse in forma unitaria per poco più di cinquant’anni: all’incirca dal 1206—passando per il decesso di Gengis stesso nel 1227—fino al 1259, quando la dissoluzione imperiale venne innescata dalla morte senza eredi designati del IV Khagan, Munke/Möngke. L’impero allora si frammentò in quattro khanati indipendenti e tendenzialmente in conflitto.

Torniamo alle parole del Papa all’appuntamento mongolo. Il Pontefice ha espresso la sua ammirazione soprattutto per: “La capacità dell’Impero nei secoli di abbracciare terre lontane e tanto diverse, mettendo in risalto la…capacità di riconoscere le eccellenze dei popoli che componevano l’immenso territorio imperiale e di porle al servizio dello sviluppo comune, un esempio da valorizzare e da riproporre ai nostri giorni. Voglia il Cielo che sulla Terra devastata da troppi conflitti si ricreino anche oggi, nel rispetto delle leggi internazionali, le condizioni di quella che un tempo fu la Pax Mongolica, cioè l’assenza di conflitti”.

Ora, non è che nei fatti non ci fossero “conflitti” nel regno mongolo. Ce n’erano eccome, e pure tanti: sanguinosi e quasi continui, soprattutto nei pressi dei confini interni ed esterni dell’Impero. Tuttavia, l’intervento del Papa sembrava puntare a un aspetto diverso della particolare Pax citata, quello invece che riguarda il rigidissimo controllo sociale: la stessa pace descritta anche da un cronista del Seicento, secondo cui  “una vergine con un piatto d’oro poteva girare indisturbata da un angolo all’altro dell’Impero”. Era una Pax che si poteva ottenere solo attraverso una repressione brutale—ma funzionava, ed era anche un modello ‘da esportazione’, la forma più classica del dispotismo orientale…e forse anche il tipo di pace più desiderato dalla gente semplice.

Il Khanato dell‘Orda d’Oro invase e poi dominò la Russia per quasi 250 anni, tra il 1240 e il 1481. È un periodo di cui il Paese oggi non va orgoglioso—i russi vogliono sentirsi superiori agli ‘asiatici’—e i libri scolastici tendono a minimizzare l’accaduto, descrivendolo in termini che richiamano più che altro una sorta di’raid’, un episodio temporaneo e ininfluente, che però durò due secoli e mezzo… Molti storici occidentali ipotizzano che la marcata tendenza della Russia ad abbracciare le soluzioni politiche autoritarie possa essere in effetti una sorta di eredità culturale dei Mongoli. È forse questa la somiglianza che accomuna i due discorsi del Papa?

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