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In 4 anni le passività (+26,2%) crescono più delle attività (+6,7%). Sale il debito
Gli ultimi dati sul patrimonio pubblico dell’Italia, aggiornati dalla Ragioneria Generale dello Stato, evidenziano bene il peggioramento dei conti finanziari italiani e spiegano anche perché il Governo sia intenzionato a effettuare privatizzazioni per un valore complessivo di 20 miliardi nei prossimi anni per finanziare le spese (o le mancate entrate) previste dalla manovra del 2022.
Tornano le privatizzazioni
Così come accaduto al deficit anche per quanto riguarda il patrimonio pubblico stanno diventando più grandi le cifre con il segno meno davanti, ovvero le passività dello Stato che sono cresciute nel 2022 del 5,88%, arrivando a 3.636 miliardi e 163 milioni di euro. Le attività sono aumentate meno, del 4,02%, superando di poco i mille miliardi, e fermandosi a quota 1.041 miliardi e 305 milioni. Di conseguenza è peggiorato il saldo, che era già negativo, e che ora ammonta a 2.594 miliardi e 858 milioni di euro, il 6,6% in più che nel 2021 e soprattutto il 36,4% in più che nel 2018.
È infatti il trend di medio e lungo periodo quello più preoccupante: se, appunto, prendiamo come termine di confronto il 2018, osserviamo come questo peggioramento importante del saldo sia il risultato di un incremento quadriennale delle passività del 26,3%, a fronte di uno di solo il 6,6% delle attività.
Anche lo Stato presenta un bilancio con uno Stato patrimoniale
Perché parliamo di patrimonio pubblico italiano? Il motivo è che da un punto di vista contabile e meramente ragionieristico lo Stato può anche essere trattato come un’azienda, molto più grande e complessa di una privata, ma pur sempre un’azienda. Ha, infatti, entrate, uscite, perdite, disavanzi, e naturalmente un patrimonio. Diviso, appunto, tra attività e passività.
Le passività del patrimonio pubblico italiano
Le passività, come accade anche in gran parte delle aziende, sono formate soprattutto da debiti. In particolare quelli a medio-lungo termine, che costituiscono ben 2.395 miliardi e 158 milioni sui 3.636 miliardi e 163 milioni di euro di passività. Quelli a breve termine, invece, ammontano a 1.145 miliardi e 762 milioni. Ed è, però, in particolare su quest’ultima voce che si nota l’impatto della crisi economica scatenata dalla pandemia.
Più debiti a breve termine per lo Stato
I debiti a breve sono cresciuti di ben il 12,2% tra 2022 e 2021, aumentando di più di 121 miliardi, mentre quelli a medio-lungo termine hanno visto un incremento di solo il 2,4%, ovvero circa 56 miliardi di euro. In quattro anni, inoltre, i primi hanno subito una crescita di ben il 48,9%, contro una del 15,4% dei secondi.
Si tratta dell’effetto dell’espansione improvvisa della spesa pubblica dello Stato, che per rispondere all’emergenza pandemica degli scorsi anni si è indebitato a un ritmo molto superiore a quello del periodo precedente. Le maggiori uscite sono coincise con le minori entrate, causate proprio dalla crisi e dal blocco delle attività. Il molto più grande gap tra spese e gettito è stato colmato con il debito pubblico. E il debito pubblico, appunto, è nella sua quasi totalità incluso nelle passività del patrimonio pubblico, assieme ad altre componenti minori.
L’andamento del debito pubblico negli anni
Già prima della pandemia in realtà le voci passive erano cresciute più di quelle attive nel bilancio dello Stato, anche se con minore velocità. Anzi, l’attivo tra il 2016 e il 2019 era addirittura diminuito di quasi 5 miliardi, passando da 986 miliardi e 983 milioni a 982 miliardi e 129 milioni di euro. Nello stesso periodo, invece, le passività erano salite di più di 113 miliardi, principalmente a causa del costante aumento dei debiti. Erano stati quelli a medio-lungo termine, in questo caso, a vedere l’incremento maggiore, di 105 miliardi.
Patrimonio pubblico dell’Italia, tra le attività nelle Fs e Rai
Anche le attività si possono distinguere in diverse categorie, nello specifico in attività finanziarie e non. E tra le prime a loro volta vi sono quelle di breve e di medio-lungo termine. Nel caso delle attività finanziarie a breve troviamo biglietti, monete, depositi, crediti, come, per esempio, le imposte da riscuotere, mentre tra quelle a media e lunga scadenza una voca importante è rappresentata dalle partecipazioni azionarie dello Stato.
Per esempio quelle nelle Ferrovie dello Stato, che valgono 39 miliardi e 204 milioni, o in Enel spa, per 2 miliardi e 398 milioni. Ancora, del patrimonio pubblico dell’Italia fanno parte le quote detenute dal Ministero dell’economia e delle Finanze in Leonardo S.p.a, che hanno un valore di 768 milioni, nell’Agenzia nazionale per l’attrazione degli investimenti e lo sviluppo (più nota come Invitalia), per 836 milioni e nella Rai, per 241 milioni.
Quanto vale la Rai? E’ in carico per 241 milioni di euro
Complessivamente tutte le partecipazioni azionarie ammontano a 92 miliardi e 452 milioni di euro. E negli ultimi quattro anni sono cresciute di 9 miliardi e 788 milioni. in crescita anche le partecipazioni agli organismi internazionali, ovvero l’insieme delle risorse destinate al finanziamento di Onu, Fondo Monetario, ecc, che sono aumentate tra 2018 e 2022 di più di 12 miliardi.
In totale le attività finanziarie di medio-lungo termine valgono 346 miliardi e 375 milioni, mentre quelle di breve 351 miliardi e 461 milioni, e sono cresciute rispettivamente di più di 10 e di poco meno di 31 miliardi.
Il patrimonio immobiliare pubblico vale 63 miliardi
Parte del patrimonio pubblico italiano sono anche gli oggetti d’arte, il cui valore è cresciuto di circa 22 miliardi e 739 milioni dal 2018. Questi rappresentano la parte più consistente delle attività non finanziarie, ben 202 miliardi e 139 milioni su 339 miliardi e 152 milioni di euro.
Tra gli oggetti d’arte ritroviamo in particolare i beni pubblici archivistici, la cui stima arriva a 175miliardi e 032 milioni, il 13,1% in più rispetto al 2019. A dimostrazione dell’enorme importanza dell’arte e della cultura nel nostro Paese, anche dal punto di vista economico.
Le opere d’arte pubbliche valgono 164 miliardi
Gli immobili posseduti dallo Stato costituiscono un’altra voce, ma di consistenza inferiore. Secondo i dati del 2020 valgono complessivamente 64 miliardi e 808 milioni. Si tratta sia di abitazioni che, soprattutto, di fabbricati civili adibiti a fini istituzionali, che di beni immobili di valore culturale, per esempio beni pubblici archeologici.
La Ragioneria Generale dello Stato vi dedica particolare attenzione nel suo report, a dispetto della quota relativamente piccola di patrimonio pubblico italiano che rappresentano. Probabilmente perché da anni si parla una dismissione di quella parte del patrimonio pubblico che consiste in edifici inutilizzati e non messi a reddito, così da ripagare una parte dello stock di debito pubblico e farlo rientrare entro livelli più accettabili.
I beni immobili disponibili per la vendita valgono poco più di 2 miliardi
Il problema è che secondo i dati ufficiali dei 64,8 miliardi di beni immobili solo 2 miliardo e 6 milioni è il valore di quelli che la Ragioneria Generale definisce “beni disponibili per la vendita”, ovvero case ed edifici che privati cittadini o aziende potrebbero comprare dallo Stato.
La maggioranza, per un valore di 34 miliardi e 237 milioni, è rappresentato, come già detto, da quelli assegnati a uso governativo, compresa la dotazione del Presidente della Repubblica, come il Quirinale o Castelporziano. E poi vi sono i beni pubblici demaniali e storici che valgono 23 miliardi e 944 milioni come le strade, i porti, i musei.
Nel tempo, tra l’altro, gli immobili vendibili sono diminuiti, o perlomeno è diminuito il loro valore. Nel 2016 era, infatti, di 2 miliardi e 278 milioni.
Il calo delle passività passerà per la riduzione del debito
Non è quindi tanto sulle dismissioni che lo Stato può puntare per risanare le casse dello Stato e diminuire il debito pubblico che, come abbiamo visto, è la principale causa del saldo negativo tra attività e passività. Oggi a causa dell’emergenza Covid il debito è molto più alto di 5 anni fa, e nonostante sia sceso rispetto ai picchi del 2020 è previsto rimanga sopra il 140% del Pil, sono valori da record a livello mondiale, superati solo in Grecia e Giappone.
E, appunto, solo una crescita del Pil tale da fare aumentare il gettito dello Stato e diminuire il disavanzo dei conti pubblici potrà fare scendere questi numeri ai valori precedenti alla crisi pandemica e a quella del 2008. Questo, allo stesso tempo, potrà riportare più vicino all’equilibrio anche il patrimonio pubblico italiano.
I dati si riferiscono al 2018-2022
Fonte: Ragioneria Generale dello Stato