18App

Pasticcio Manovra 2023 e Milleproroghe: “Bonus Cultura” rimandato al 2024, “Contratto di servizio” Rai a settembre 2023  

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Approvati due “ordini del giorno”: per il ripristino del “2 per mille” Irpef per le associazioni culturali e per la promozione del teatro nelle carceri. E nasce un “Fondo per alfabetizzazione” mediatica e digitale dei minori (budget 1 milione di euro l’anno)?!

È interessante osservare come la vicenda – un po’ surreale – del “Bonus Cultura” sia scomparsa dalle pagine dei quotidiani e finanche dai siti web, nel periodo che intercorre tra martedì 27 dicembre e la fine dell’anno… Eppure grande era stata la polemica scatenatasi nei giorni precedenti, non appena si è avuto notizia dell’ormai famoso “emendamento Mollicone” (vedi “Key4biz”

In effetti, i giornalisti e gli osservatori hanno presto compreso che quel che avevamo espresso in modo sintetico ovvero “abbiamo scherzato! se ne riparla l’anno prossimo…”.

In effetti, “18App” sopravvive per tutto il 2023, e, anche alla luce di quel che è accaduto quest’anno, non è da escludere che sia durante la gestazione della prossima Legge di Bilancio oppure durante l’iter di una qualche legge nel corso del 2023, “qualcosa” vada a cambiare.

Prima di approfondire quel che è accaduto fino a martedì 27 dicembre (approvazione della Legge di Bilancio da parte di Montecitorio), riteniamo importante segnalare che, in occasione della conferenza stampa del Presidente del Consiglio Giorgia Meloni di giovedì 29 dicembre 2022 (clicca qui per la videoregistrazione, sul canale YouTube personale della Premier, che vanta 69mila iscritti), nessuno dei giornalisti che sono intervenuti (sono state 43 testate che hanno partecipato; sono il risultato di una estrazione casuale rispetto a tutti coloro che avevano chiesto di intervenire) ha posto una domanda sul dietro-front del “Bonus Cultura”.

Anzi, peggio: nessuno dei giornalisti ha posto una domanda una sul tema “cultura”!

E si osservi che, in quasi 3 ore di botta e risposta, la Presidente del Consiglio non ha mai parlato di cultura, anzi la parola stessa “cultura” è stata utilizzata in modo del tutto incidentale, e poco più di due o tre volte soltanto (per chi vuole approfondire, si rimanda all’articolo di “Start Magazine”, unica testata – a quanto abbiamo verificato – che ha deciso di pubblicare la trascrizione integrale della conferenza stampa: vedi quanto pubblicato il 30 dicembre 2022, “Che cosa ha detto Giorgia Meloni nella conferenza stampa di fine anno”).

Non è un bel segnale. Né per quanto riguarda la Premier né per quanto riguarda i colleghi…

La contorta gestazione della Legge di Bilancio 2023: il “caso” Bonus Cultura alias 18App

Quel che è avvenuto rispetto alla contorta gestazione della Legge di Bilancio 2023 può essere interpretato – come sempre – in modo diverso in funzione degli occhiali che si adottano: bicchiere “mezzo pieno” ovvero bicchiere “mezzo vuoto”, ma è un dato di fatto oggettivo che l’interpretazione (ovviamente?!) positiva di Giorgia Meloni (ribadita con entusiasmo mercoledì 21 dicembre 2022 nella assai morbida intervista di Bruno Vespa a “Porta a Porta” su Rai1) cozza con la realtà dei fatti, ovvero di procedure tecniche e – quindi, in questo caso – anche politiche, che si sono caratterizzate, per molti aspetti, per approssimazione, pressapochismo, superficialità.

Inciampi, distrazioni, intoppi, errori, accelerazioni, frenate, retromarce, e finanche “inversioni ad U”: dinamiche talvolta surreali, e addirittura ridicole, nella gran fretta di approvare tutto entro sabato 31 dicembre, per archiviare lo spettro dell’esercizio provvisorio, che ha volteggiato sull’intero cammino del provvedimento.

Un capitolo di una classica “commedia all’italiana”?

All’alba di sabato 24 dicembre, alla fine della “maratona” alla vigilia di Natale, la proposta di legge è stata approvata con 197 sì e 129 no, 3 astenuti, ed è passata al Senato, che ha inizia la discussione martedì 27, prima in Commissione Bilancio e poi in Aula, ma si trattava ormai di un testo ormai inevitabilmente “blindato”. Giovedì 30 dicembre 2022, il Senato ha approvato in via definitiva la Legge di Bilancio, ovvero la principale misura economica dell’anno che stabilisce come lo Stato italiano intende modificare la spesa pubblica nel 2023. La legge è stata approvata senza alcuna modifica rispetto al testo votato dalla Camera il 24 dicembre. In Senato, i sì alla Manovra 2023 sono stati 109, 76 i contrari e 1 astenuto. Sia alla Camera che al Senato, infatti, il Governo ha infatti posto la questione di fiducia sulla legge, una pratica abituale per la Finanziaria, che fa decadere gli emendamenti e accelera il percorso di approvazione. Il governo ha così scongiurato il rischio di superare la scadenza del 31 dicembre: la Legge di Bilancio dev’essere infatti approvata da entrambe le camere e promulgata dal Presidente della Repubblica entro la fine dell’anno, altrimenti il Governo deve far ricorso al famigerato “esercizio provvisorio”, uno strumento dai confini non chiarissimi che permette allo Stato di spendere soldi sulla base delle previsioni di spesa presentate nella Legge di Bilancio, ma non ancora approvate, fino a che il parlamento non riesce a mettersi d’accordo…

In sostanza, nel 2023 resterà in funzione 18App: i nati nel 2004, avranno ancora la possibilità di usufruire di un buono da 500 euro.

Il 2022 è stato il turno della generazione 2003: coloro che si sono registrati sul sito ufficiale entro il 31 agosto 2022, avranno tempo di spendere la loro quota fino al prossimo 28 febbraio 2023. Per il 2023 la dotazione finanziaria continuerà a restare da 230 milioni di euro, come stabilito dall’attuale normativa. Dall’anno successivo il fondo dovrebbe poi scendere a 190 milioni (ma… non si sa mai, fino alla prossima Finanzia… ce n’è di tempo!).

La questione va ben oltre il “casus belli” del Bonus Cultura, il cui iter abbiamo analizzato con grande attenzione sulle colonne di questa rubrica “ilprincipenudo”, curata dall’Istituto italiano per l’Industria CulturaleIsICult per il quotidiano online “Key4biz”, con l’elaborazione di un vero e proprio “dossier” in itinere: da ultimo, l’articolo pubblicato nel pomeriggio di venerdì 23 dicembre (vedi “Key4biz”, “Bonus Cultura: congelato per il 2023 con le vecchie regole?”), che è stato ripreso e rilanciato anche dal sempre attento “Dagospia” (che ha simpaticamente titolato “Soluzione all’italiana per il Bonus Cultura”).

Tanta attenzione – anche mediatica – sulla vicenda del “Bonus Cultura” e poche righe su un’altra questione, non meno importante nell’economia politica del sistema culturale e mediale italiano: il “Contratto di servizio” tra Ministero dello Sviluppo Economico (ex Mise) anzi ormai Ministero delle Imprese e del Made in Italy (Mint) e Rai, in scadenza al 31 dicembre 2022.

“Contratto di servizio” Rai: prorogata la scadenza di quello attuale da fine dicembre 2022 a fine luglio 2023 oppure a fine settembre 2023???

Qui, la vicenda si tinge di dinamiche misteriose, perché di questo atto “in bozza” – l’ormai mitico “Contratto di servizio” – nulla di pubblico emerge, da molti mesi, e sembra quasi che anch’esso sia caratterizzato dal… “segreto di Stato”, allorquando dovrebbe essere il risultato di un confronto pubblico – aperto plurale dialettico – con la società civile, ovvero con gli “stakeholder” della Rai, che sono anzitutto i cittadini, e non soltanto quelli in regola con il pagamento del canone (altra dolente questione, anch’essa oggetto di continue rimozioni e dilazioni). Senza dimenticare che Rai ha anche un’azionista di minoranza, qual è la Società Italiana degli Autori ed Editori – Siae (presieduta da Salvatore Nastasi), che, se è vero che ha soltanto azioni per lo 0,44 % di Rai Radiotelevisione Italiana società per azioni (a fronte del 99,56 % del Mef), è forte anche della rappresentanza di ben 106mila tra autori ed editori: riteniamo sarebbe ben titolata a manifestare la sua “idea di Rai”, anche nella gestazione del “contratto di servizio”, soprattutto in nome e per conto dell’anima creativa del Paese…

Così come la vicenda “Bonus Cultura” in versione rimodulata è stata simpaticamente rimandata al 2024 (per il 2023, restano le regole pre-esistenti), la vicenda del “Contratto di Servizio”, nel silenzio dei più, è stata rimandata di 7 mesi ovvero – si scopre poi – di addirittura 9 (nove): attraverso il cosiddetto “Decreto Milleproroghe”, approvato dal Consiglio dei Ministri il 21 dicembre 2021, è stata differita la scadenza del “contratto di servizio” Rai (2018-2022): “Si differisce al 31 luglio 2023 il termine di efficacia del contratto di servizio vigente tra il Ministero delle imprese e del Made in Italy e la Rai – Radiotelevisione italiana S.p.a.”, si legge nel comunicato stampa di Palazzo Chigi; “per consentire il completamento delle procedure per il rinnovo”, così precisa il comunicato stampa del Mint.

Per gusto di precisione, va osservato che nel comunicato della Pdcm si legge “al 31 luglio 2023”, mentre sul sito web del Mint, in data 23 dicembre 2022, si legge (ancora oggi) un incomprensibile “al terzo settembre 2023” (testuale): deve trattarsi di un refuso (“terzo” invece di “trenta”?!), e va anche osservato che nel testo in bozza post pre-Consiglio dei Ministri era scritto “differito al 30 settembre 2023”: strane dinamiche dilazionatorie e contraddizioni interne.

Ma… allora: questo benedetto contratto attuale è stato prorogato dal 31 dicembre 2022 al 31 luglio 2023 oppure al 30 settembre 2023?!

Fino alla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, ritenevamo che – a fronte di due testi in contraddizione tra loro – prevalesse il testo ufficiale di cui al comunicato di Palazzo Chigi.

Ci sbagliavamo!

La Gazzetta Ufficiale di mercoledì 29 dicembre rende evidente, al comma 2 dell’articolo 12 del Milleproroghe, che la scadenza dell’attuale Contratto è prorogata al 30 settembre 2023.

Da non crederci. Altri 9 mesi!!!

Questo il testo del co. 2 art. 12 (clicca qui, per il link al sito web della G. U.: Decreto-Legge 29 dicembre 2022, n. 198 “Disposizioni urgenti in materia di termini legislativi”, in GU n. 303 del 29-12-2022): “Al fine di consentire il rispetto del termine stabilito dall’articolo 5, comma 6, della legge 28 dicembre 2015, n. 220, nonché il pieno esercizio delle competenze della Commissione parlamentare per l’indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi, il termine di scadenza del contratto di servizio vigente tra il Ministero delle imprese e del made in Italy e la Rai – Radiotelevisione italiana S.p.a. è differito al 30 settembre 2023”.

Anche questa è comunque una riprova di un “modus”… superficiale e distratto.

Pro “status quo” Rai… è intervenuta una “manina” tra il testo approvato da Palazzo Chigi e la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale?!

Naturale sorge il quesito: si sono sbagliati a Palazzo Chigi?

O forse il decreto uscito dal Consiglio dei Ministri recava effettivamente la data del “30 luglio 2023”, e poi è intervenuta una “manina” (e non sarebbe la prima volta…) sul testo che in Gazzetta Ufficiale risulta a firma di Giorgia Meloni, Presidente del Consiglio dei Ministri, e di Giancarlo Giorgetti, Ministro dell’Economia e delle Finanze, e controfirmato dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, e la scadenza è graziosamente slittata al 30 settembre 2023!

Non possiamo credere che possa essersi trattato di un “errore” (un “errorino”?!) da parte dell’Ufficio Stampa della Presidenza del Consiglio dei Ministri…

Tutto questo per consentire il mantenimento dello “status quo”, ovvero il perdurare della deriva identitaria (sia consentito l’uso enfatico dell’aggettivo) della funzione di servizio pubblico della Rai.

Questa decisione del Governo determina un’estensione temporale della fase di stagnazione della Rai (da 7 a 9 mesi), e peraltro consente una ulteriore “dialettica” tra l’attuale Consiglio di Amministrazione guidato dalla Presidente Marinella Soldi e dall’Ad Carlo Fuortes ed il Ministro competente, che è Adolfo Urso, titolare dell’ex Mise (“Sviluppo Economico”) ora ridenominato Mint (sic) ovvero Ministero “per le Imprese ed il Made in Italy” (con buona pace della novella battaglia per l’italofonia intrapresa giovedì dal Ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano, ma questa è un’altra storia…).

Da segnalare che nessuno, né sui quotidiani o periodici su carta né su siti web (nemmeno i due specializzati BloggoRai e VigilanzaTv) ha segnalato questa contraddizione, tra la comunicazione ufficiale della Presidenza del Consiglio dei Ministri e la comunicazione non meno ufficiale del Ministero per le Imprese e il Made in Italy… Ma è la Gazzetta Ufficiale, a questo punto, che consente di affermare “carta canta”: 30 settembre 2023. Punto.

In argomento “contratto di servizio”, va segnalato che venerdì 23 dicembre il quotidiano “La Stampa” ha pubblicato un curioso articolo, a firma di Niccolò Carrateli, nel quale si racconta di un presunto “party” che la Presidente della Rai Marinella Soldi avrebbe organizzato a Viale Mazzini, nel Salone degli Arazzi, in occasione delle festività, coinvolgendo il suo staff… Titolo: “Rai, Fuortes a caccia della sponda della premier. Polemiche per il party notturno della presidente”. Nel testo, si legge di “brindisi e balli sfrenati”.

L’Ufficio Stampa Rai si affretta a smentire ovvero a comunicare che si tratta “nel titolo”, di “affermazione falsa, denigratoria e fuorviante”. Sabato 24 lo stesso quotidiano accoglie una lettera della Presidente che smentisce le “bisbocce”, ma l’epistola qui ci interessa per un preciso passaggio: nell’articolo di venerdì, si leggeva che “la bozza del nuovo contratto di servizio presentata dalla Presidente Rai Marinella Soldi sarebbe stata bocciata dal Ministero dell’Economia”. Soldi, sabato 24, sostiene: “nessuna ‘bozza della Presidente’ è stata presentata, né, dunque, bocciata: sono invece in corso, da mesi, interlocuzioni tra le parti, come necessario”.

Interlocuzioni” che sono avvolte nel mistero, tra i piani alti e le ovattate stanze di Viale Mazzini e di Viale Venti Settembre, come ben descrive il sempre acuto Redattore Anonimo del blog specializzato “BloggoRai” in un post di sabato 24 dicembre, dall’ironico titolo “Rai: il Mistero Buffo del Contratto di servizio, tra una festa di Natale ed una mezza smentita”.

Sul contratto di servizio Rai, rimandiamo al nostro intervento ultimo, di cinque mesi, fa su queste colonne: vedi “Key4biz” del 18 luglio 2022, “Rai, ancora misteri sul ‘contratto di servizio’ (2023-2028) in gestazione”. Si ricordi che il 18 maggio 2022 il Consiglio dei Ministri ha approvato un “Atto di indirizzo” (vedi “Key4biz” del 19 maggio 2022, “Contratto di servizio Rai-Mise, l’atto di indirizzo del Governo (Esclusiva IsICult/Key4biz)”), ed il 7 luglio 2022, il Ministro Giorgetti in Commissione Vigilanza, ha riprodotto le stesse argomentazioni. Il 19 luglio 2022, l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni ha “approvato” le “linee-guida” (questo atto viene pubblicato sul sito web dell’Agcom il 3 agosto): si tratta di un testo che si caratterizza per una notevole genericità e vaghezza, e per l’assenza di una quantificazione del fabbisogno budgetario delle prestazioni richieste al servizio pubblico (manca – in sostanza – una precisa definizione del sinallagma, “prestazione” / “controprestazione”).

Da allora, silenzio totale…

Quel che qui vogliamo rimarcare è che due questioni importanti e delicate per il sistema culturale nazionale sono state sostanzialmente “rimandate”, a causa di processi che sono stati in un caso “superficiali” (volendo essere bonari) e nell’altro “misteriosi” (volendo essere, anche qui, bonari).

Il caso “Bonus Cultura” fa quindi il paio con il caso “Contratto di Servizio”: approssimazione e segretezza, pressapochismo tecnico, deficit di trasparenza e deficit di coinvolgimento della società civile.

Del “Contratto di Servizio”, da mesi, non si sa nulla (se non che, in Rai, è l’assistente della Presidente Cinzia Squadrone a coordinare i lavori di elaborazione del testo), nonostante si tratti di un documento che dovrebbe essere discusso (se non addirittura elaborato) con il coinvolgimento della società civile.

Del “Bonus Cultura”, a sua volta, non si dispone di dati completi ed analisi accurate (mai stata realizzata una valutazione di impatto, e ciò basti), per cui si finisce per governare, una volta ancora, nasometricamente.

Il Presidente della Commissione Cultura della Camera, Federico Mollicone: “sul bonus cultura, caos amministrativo, non politico”

Volendo approfondire la vicenda del “Bonus Cultura”, ci piace osservare che il nostro articolo di venerdì scorso (23 dicembre) è stato pubblicato alle ore 14:58 (e Dagospia lo rilancia alle 17:39): in quel nostro intervento, commentavamo come fosse strano che, a fronte del “pasticcio” emerso (i 44 rilievi della Ragioneria Generale dello Stato, da alcuni definiti “i 44 buchi”), non vi fosse alcuna presa di posizione del Ministro Gennaro Sangiuliano o del Presidente della Commissione Cultura Federico Mollicone

Alle ore 16:19, l’agenzia specializzata AgCult pubblica un lungo sfogo, anzi una critica dura, di Mollicone alla Ragioneria, manifestata in un intervento come ospite del programma televisivo “Tagadà” su La 7.

La tesi di Federico Mollicone merita essere riprodotta per intero: “singolarmente in Commissione Bilancio, la seconda notte che si stava esaminando la Manovra, mancavano gli uffici della Ragioneria e del Mef. Questo caos organizzativo in alcuni uffici ha fatto sì che il provvedimento tornasse in Commissione. Tutto questo non ci sarebbe stato se, come avviene di consueto per tutte le Leggi di Bilancio, di volta in volta che emerge qualche problema sugli emendamenti, si segnala subito al Mef e alla Ragioneria e questi fanno le correzioni in tempo reale”.

In sostanza, il Presidente della Commissione VII della Camera scarica la patata bollente sugli “uffici”, e riconosce l’esistenza di un “caos”, ma lo attribuisce ai tecnici e non ai politici: “la seconda notte, invece, non c’era nessuno del Mef e della Ragioneria, per cui il Presidente di Commissione, i vari referenti e i capi di Gabinetto dei Ministeri, quando c’è stato qualche problema con gli emendamenti, hanno potuto soltanto mandare una mail a cui si è risposto il giorno dopo con tutta calma”. E conclude: “stiamo facendo delle verifiche, perché questo non è ammissibile. Contesto da parlamentare che quella notte non ci fosse nessuno. I funzionari della Camera, gli assistenti parlamentari, il personale di Montecitorio, persino i camerieri della buvette, erano tutti lì assieme ai parlamentari e mancavano solo i funzionari del Mef e della Ragioneria dello Stato. Quindi quello che è avvenuto è stato un caos amministrativo, non politico”.

Ha anche dichiarato: “non è ammissibile, non contestiamo i rilievi, ma il fatto che non ci fosse nessuno nella seconda notte di voto sulla manovra, abbiamo dovuto mandare mail per avere risposte arrivate il giorno dopo, ossia questa mattina” (sabato mattina 24 dicembre 2022, n.d.r.).

Su “la Repubblica” di sabato 24, Emanuela Lauria approfondisce il retroscena e segnala che “Mollicone è irritato per un fatto personale, la difficoltà nel trovare un conforto tecnico mentre si stava discutendo un emendamento a sua firma, quello sul bonus cultura. Ma al parlamentare romano dà man forte Tommaso Foti, che di Fratelli d’Italia è capo gruppo: “è vero, è stato irrituale che soprattutto alla Camera nelle ultime ore non vi fosse il personale del Mef”.

Il Ministro reagisce alle critiche e minimizza: Giancarlo Giorgetti difende i tecnici di Mef e Ragioneria, con un assolutorio “ma no, sono stanchi, hanno lavorato tanto” (sic).

Da segnalare che domenica 25 dicembre 2022, “Dagospia” pubblica un suo dossier, intitolato “Dagoreport. Deep State, il potere assoluto”, nel quale si propone una spiegazione fenomenologica del pasticcio della Manovra, ovvero del “caos” venutosi a determinare durante la gestazione della Legge di Bilancio. Si legge: “il Ministro dell’Economia Giorgetti ha urgente bisogno di qualcuno che gli spieghi che il vero potere non è quello che va sui giornali o nei talk. Il potere esecutivo è un invisibile ‘Stato dentro lo Stato’, costruito di burocrati (gran serbatoio il Consiglio di Stato), che sono gli unici veramente inamovibili nelle istituzioni nazionali”. E continua: “il Governo ha in mano il volante della macchina del potere, ma, se il Deep State decide di non mettere la benzina, puoi schiacchiare il pedale del gas quanto vuoi, ma non vai da nessuna parte”. E Roberto D’Agostino cita l’imperdibile pamphlet scritto da Giuseppe Salvaggiulo, “Io Sono il Potere. Confessioni di un Capo di Gabinetto” (edito nel 2022 per i tipi di Feltrinelli)…

Comunque, che la causa del caos fosse “amministrativa” o “politica”, in fondo poco importa: il risultato è che si è scatenata una polemica impressionante sulla possibile rimodulazione della misura “18App” (senza preventivo coinvolgimento delle categorie interessate e della società civile, ed in perdurante totale assenza di una valutazione di impatto della misura), e poi tutto viene graziosamente… rimandato di un anno!

Da notare che la Presidente del Consiglio dei Ministri, nell’intervista a “Porta a Porta” del 21 dicembre (clicca qui per la videoregistrazione, dal canale YouTube di Giorgia Meloni), non ha fatto cenno alcuno al “Bonus Cultura”, e Bruno Vespa ha certo “osato” ricordare questa specifica criticità della Manovra…

Nella Manovra 2023, anche un “Fondo per alfabetizzazione” mediatica e digitale dei minori (budget 1 milione di euro l’anno)?! Forse una… “mancia”? Ed a chi?!

Va segnalato – sempre tra “cultura” e “media” – che nel comunicato del Mint in data 23 dicembre 2022, che riferisce le iniziative afferenti al dicastero previste nel “Decreto Milleproroghe” approvato dal Consiglio dei Ministri il 21 dicembre 2022 e nella “Manovra 2023” in gestazione, vi è l’istituzione di un curioso novello… Fondo: “Al fine di sostenere e promuovere progetti di alfabetizzazione mediatica e digitale e progetti educativi a tutela dei minori da parte dei fornitori di servizi di media e dei fornitori di piattaforme di condivisione video, è istituito un Fondo per alfabetizzazione dei minori, prevedendo un milione di euro per ciascuno degli anni dal 2023 al 2025” (art. 66 bis).

Di questo “Fondo per alfabetizzazione dei minori” (???), non si aveva notizia né previsioni, e ci si domanda in che cosa consista esattamente, anche alla luce della limitatissima entità del budget assegnatogli.

Nessuna testata giornalistica ha ovviamente dedicato attenzione alla questione, se non poche righe il quotidiano confindustriale “Il Sole 24 Ore” del 23 dicembre, in un articolo di Mariolina Sesta intitolato ironicamente “Dai pensionati di Montecarlo alle bufale fino ai vigneti: ecco le mance in manovra”…

Torneremo sul tema, non appena possibile, ma qui ci limitiamo a domandare come si possa pensare di affrontare un tema così delicato e strategico – per l’evoluzione psicosociale dei giovani, tra media e digitale – con risorse così modeste… Si tratta forse di una “mancia”?! Ed a chi, di grazia?!

“2 per mille” Irpef per le associazioni culturali: anche questa norma viene… rimandata, oggetto soltanto di un “ordine del giorno” del Pd accolto dal Governo

Due altre notizie meritano essere segnalate, nell’economia del dibattito sulla Manovra 2023, una relativa al famoso “2 per mille” per le associazioni culturali ed una relativa alla promozione delle attività teatrali nelle carceri.

Nella prima mattinata di sabato 24 dicembre, si ha notizia del “parere favorevole” all’“ordine del giorno” alla Manovra presentato dal deputato sardo, già senatore, Silvio Lai (Partito Democratico), che “impegna” il Governo “ad adottare iniziative, anche legislative, finalizzate a prorogare e rendere strutturale la misura di cui all’articolo 1, comma 985, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, che dispone la possibilità di destinare il 2 per mille alle associazioni culturali”. Ad onor di verità (e di chiarezza tecnica), andrebbe osservato che il termine “prorogare” è comunque improprio, perché nel 2022 la norma non è stata attiva, essendo stata congelata nell’anno 2021: la misura non va quindi “prorogata”, bensì “riattivata”.

Chi ha un minimo di pratica di procedure parlamentari e di gestazioni normative, sa che spesso gli “ordini del giorno” contano assai poco, dato che si tratta di impegni labili e spesso evanescenti.

Ci si domanda perché non sia intervenuto il Governo direttamente sulla questione, che è delicata ed importante, la quale, almeno sulla carta (qui intesa come “programmi elettorali”), era uno degli impegni assunti sia da Fratelli d’Italia sia dal Partito Democratico: perché Esecutivo e Parlamento l’hanno sostanzialmente ignorata, limitandosi ad accogliere un semplice fragile… “ordine del giorno”?! Strano.

Sulla questione, abbiamo speso molto inchiostro – nel silenzio dei più – e restiamo increduli di fronte a cotanta distrazione e superficialità di maggioranza e minoranza (vedi “Key4biz” del 5 dicembre 2022, “Legge di Bilancio, dimenticato di nuovo il ‘2 per mille’ Irpef per le 58mila associazioni culturali italiane?”).

Emendamento accolto per la promozione del teatro nelle carceri, ma servirebbe un Fondo ad hoc per il sostegno delle attività culturali e artistiche che combattono il disagio

Merita anche essere segnalato un altro “ordine del giorno”, anch’esso debole ma comunque significativo: accolto con riformulazione dal governo l’ordine del giorno alla Manovra presentato dal deputato Raffaele Bruno (Movimento 5 Stelle) che impegna il Governo “a valutare l’opportunità di adottare tutte le necessarie iniziative volte a promuovere e sostenere – anche attraverso l’istituzione di un Fondo ad hoc nello stato di previsione del Ministero della Giustizia da destinarsi al recupero e al reinserimento sociale e lavorativo dei detenuti – le attività teatrali negli istituti penitenziari, mediante lo sviluppo di attività formative, laboratoriali e culturali che favoriscano l’acquisizione di nuove competenze nell’ambito dei diversi mestieri del teatro, nel pieno rispetto del principio di rieducazione della pena sancito dalla nostra Costituzione”.

Abbiamo già segnalato, anche su queste colonne, l’importanza di iniziative di questo tipo, e va dato atto all’onorevole Raffaele Bruno (rieletto nella XIX Legislatura, è autore e regista teatrale) di star conducendo da anni una appassionata battaglia su questo tema della promozione delle attività artistiche nei penitenziari, al fine di contribuire al recupero e al reinserimento sociale e lavorativo dei detenuti: secondo gli ultimi dati disponibili (aggiornati – sic – a fine 2019, erano 321 le attività teatrali intraprese all’interno dei 190 istituti penitenziari, mentre i detenuti che vi aderivano erano complessivamente oltre 5mila…

Riteniamo che il tema “cultura nelle carceri” dovrebbe andare a comporre una delle aree tematiche di un fondo “ad hoc”, destinato a sostenere tutte le attività culturali ed artistiche che combattono e che contribuiscono a lenire il “disagio”, nelle sue varie dimensioni (psichica, fisica, sociale).

Su queste colonne, abbiamo infatti proposto l’istituzione di un fondo mirato, che sia “sganciato” dal Fondo Unico per lo Spettacolo (“Fus”, che peraltro, con la Manovra 2023, cambia nome e diviene “Fondo Nazionale per lo Spettacolo dal Vivo”) e dal Fondo per il Cinema e l’Audiovisivo, che sia dotato delle risorse adeguate, nell’ordine di almeno 50 milioni di euro (vedi “Key4biz” del 24 maggio 2022, “Un fondo per la cultura che combatte il disagio e le discriminazioni”; vedi anche “Key4biz” del 20 maggio 2022, “Teatro Patologico, l’urlo di protesta del fondatore Dario D’Ambrosi”).

Questo convincimento si basa anche sull’esperienza maturata da anni dall’Istituto italiano per l’Industria Culturale attraverso il progetto IsICultCultura vs Disagio”, censimento delle “buone pratiche” culturali contro il disagio (fisico, psichico, sociale), sostenuto dal Ministero della Cultura (Direzione Generale Cinema e Audiovisivo). Il progetto IsICult dimostra come vi siano in Italia migliaia e migliaia di iniziative (a tutti i livelli: nazionale, regionale, comunale…), promosse da appassionati artisti, organizzatori culturali, attivisti sociali, che fanno della cultura lo strumento primario per costruire “comunità”, per dimostrare “solidarietà”, in una prospettiva inclusiva di “welfare” evoluto (clicca qui per una “mappatura” in itinere). Portando alla luce comparativamente iniziative di grande impegno civile ed umano, che spesso non beneficiano dei riflettori mediali, il progetto “Cultura vs Disagio” da anni mira a promuoverne il riconoscimento (sociale ed istituzionale) e lo sviluppo, favorendo le buone pratiche. I contesti che rientrano nel perimetro del progetto sono tutti afferenti ai diversi ambiti ed aspetti del “disagio”: dalle carceri alle comunità agli ospedali, alle più varie dimensioni della disabilità e del malessere, della criticità nella coesione sociale e nell’integrazione interculturale, della lotta all’emarginazione ed alle discriminazioni. Si tratta di una serie di “sub-universi” che in taluni casi si sovrappongono, con profondità di disagio aggravate.

Si ricordi che l’onorevole Raffaele Bruno è il primo firmatario di una proposta di legge, presentata il 9 marzo 2021, intitolata “Disposizioni per la promozione e il sostegno delle attività teatrali negli istituti penitenziari”, che prevedeva un piccolo fondo, nell’ordine di 2 (due) milioni di euro l’anno, nello stato di previsione del Ministero della Giustizia (su questi temi, vedi anche “Key4biz” del 21 marzo 2022, “Cultura per combattere il disagio, fra teatro sociale e diritto alla felicità”). Ma l’Atto Camera A. C. n. 2933 ha iniziato il suo iter soltanto nel novembre 2021 in Commissione II (Giustizia), per poi purtroppo fermarsi, e quindi decadere con la fine della XVIII Legislatura. La proposta è stata ripresentata nelle scorse settimane, ed ora è caratterizzata dal n. 474 (presentata il 26 ottobre, annunciata il 7 novembre 2022).

L’ordine del giorno approvato dal Governo potrebbe stimolare l’avvio di una riflessione organica e sistemica sul rapporto tra “cultura” e “disagio”, nella prospettiva di un “fondo ad hoc”, che riteniamo dovrebbe essere comunque incardinato nella competenza istituzionale primaria del Ministero della Cultura, e nel relativo stato di previsione budgetaria.

Torneremo presto su queste tematiche.

Le puntate del “Dossier” IsICult per “Key4biz” sul “Bonus Cultura”:

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