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Partito repubblicano sulle assicurazioni, Crisi Catalana, Macron atteso oggi a Calais per un discorso sull’immigrazione

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Usa, Partito repubblicano mira ad abolire l’obbligo per i datori di lavoro di pagare l’assicurazione ai dipendenti

16 gen 10:53 – (Agenzia Nova) – Il Partito repubblicano statunitense (Gop) dopo aver spazzato via l’obbligo per i cittadini di contrarre un’assicurazione sanitaria (“individual mandate”), pena sanzioni ammnistrative, si concentra ora sull’abolizione dell’obbligo per i datori di lavoro di provvedere all’assicurazione sanitaria per i propri dipendenti. Molti imprenditori, riporta il quotidiano “New York Times”, sostengono il nuovo obiettivo. Se le grandi compagnie hanno da sempre offerto benefit in ambito sanitario, molte hanno provato irritazione per i requisiti previsti dalla legge sulla salute, incluse le sue regole, che ritengono onerose e costose. L’ “individual mandate” va di pari passo con l’obbligo per i datori di lavoro che non ha piu’ ragione d’esistere essendo stato abolito il primo, dicono le lobby di importanti compagnie statunitensi, chiedendo la Congresso di agire per cancellarlo. Le fila di coloro che vogliono l’abolizione dell’obbligo potrebbero ingrossarsi se aumentera’ il numero di imprenditori multati perche’ non provvedono all’assicurazione sanitaria per i propri lavoratori o non rispettano gli standard di copertura. Da ottobre 2017 l’Internal Revenue Service (il fisco Usa) ha inviato notifiche a migliaia di aziende reclamando la copertura sanitaria per il 2015, quando la legge entro’ in vigore. Il Gop e’ gia’ all’opera. I parlamentari Devin Nunes e Mike Kelly hanno presentato un disegno di legge che vuole sospendere il provvedimento e cancellare ogni sanzione comminata dal 2015 al 2018.

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Usa, presidente Trump torna ai temi della campagna elettorale in vista delle elezioni di meta’ mandato

16 gen 10:53 – (Agenzia Nova) – Se il primo anno dell’amministrazione del presidente Donald Trump si e’ incentrato su riforma fiscale, sanita’ e deregolamentazione, il 2018 si annuncia come l’anno in cui Trump torna alle parole chiave della sua campagna elettorale e quindi immigrazione, commercio e infrastrutture. Lo sostiene il quotidiano “Wall Street Journal”, spiegando che si tratterebbe di un ritorno ai temi che hanno mobilitato il suo zoccolo elettorale che necessita di essere rinvigorito per affrontare l’importante appuntamento delle elezioni di meta’ mandato di novembre 2018. Gli ultimi sondaggi commissionati dal “Wsj” mostrano un’erosione del consenso elettorale del capo della Casa Bianca. Tra l’elettorato bianco con il solo diploma di scuola superiore il consenso e’ sceso al 55 per cento a dicembre dal 59 di febbraio 2017 e lo scontento e’ salito al 41 per cento dal 32. Si tratta di limature non colossali, a differenza di altre fasce della popolazione. Tra i bianchi con titoli di studio universitari sei su dieci hanno disapprovato il suo operato e la sua persona. Il ritorno ai temi chiave della sua campagna elettorale puo’ riconquistare alcuni elettori perduti a patto che sull’immigrazione non si ostini sulla costruzione del muro al confine con il Messico, ritenuto non cruciale in larga parte dei suoi elettori, torni a parlare di dazi a protezione della produzioni statunitensi (un tema molto condiviso dal suo elettorato) e faccia decollare il piano sulle infrastrutture per il paese.

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Catalogna, avvocati Camera rifiutano elezione a distanza di Puigdemont

16 gen 10:53 – (Agenzia Nova) – Gli avvocati del Parlamento catalano hanno respinto la proposta di investitura telematica o a distanza avanzata da Junts per Catalunya (JxCat) per proclamare Carles Puigdemont presidente della futura Generalitat. Nel rapporto di 22 pagine stilato dagli avvocati viene anche respinta la possibilita’ che Puigdemont possa delegare l’investitura a un suo rappresentante di fiducia. Lo riferisce il quotidiano spagnolo “El Mundo” che aggiunge come lo stesso rapporto apra invece la porta ai deputati ancora in carcere: Oriol Junqueras, Jordi Sanchez e Joaquim Forn, ai quali potrebbe essere concessa la possibilita’ di delegare il proprio voto. Gli avvocati credono che il candidato alla presidenza debba essere presente per affrontare, faccia a faccia, il dibattito con le altre parti politiche in quanto “la contraddizione diretta e’ garanzia del principio di immediatezza, in modo che tutti gli attori possano vedere, ascoltare e capire di persona lo sviluppo del dibattito “, concludono. La relazione arriva poche ore prima della sessione di costituzione del nuovo Parlamento della Catalogna, prevista per domani 17 gennaio. La decisione degli avvocati della Camera catalana non e’ tuttavia vincolante e rimane da vedere quali strategie verranno scelte dai partiti separatisti. Fonti interne al JxCat fanno sapere che potrebbero essere disposti a forzare l’interpretazione del regolamento in modo che Puigdemont venga ugualmente eletto.

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Francia, presidente Macron atteso oggi a Calais per un discorso sull’immigrazione

16 gen 10:53 – (Agenzia Nova) – Il presidente francese Emmanuel Macron sara’ oggi a Calais per difendere la sua riforma sul diritto d’asilo e sull’immigrazione. Lo riporta la stampa francese, ricordando che la visita si svolge a due giorni dal vertice franco-britannico previsto in Inghilterra. “Le Figaro” spiega che la citta’ e’ diventata ormai un “simbolo della crisi migratoria” e un “punto di passaggio obbligato” per tutti i presidenti che si sono impegnati nella risoluzione del problema. Nel corso della giornata, il presidente incontrera’ i migranti, i rappresentanti locali e i cittadini. In programma anche un colloquio con le associazioni di volontari, che pero’ hanno fatto sapere di non voler parlare con il capo dell’Eliseo in segno di protesta contro l’atteggiamento del governo. “Libe’ration” scrive che le Ong “denunciano la distruzione di beni appartenenti a migranti”. I volontari hanno criticato la circolare emanata dal Ministero dell’Interno dove si richiede un censimento delle persone nei centri di accoglienza. Secondo l’Eliseo attualmente nei dintorni di Calais di sarebbero tra i 350 e i 500 migranti. Il programma prevede un discorso di Macron a meta’ giornata davanti alle forze di polizia e ai gendarmi impegnati sul posto.

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Uruguay, l’incubo da cui l’ambasciatore in Etiopia non riesce a risvegliarsi

16 gen 10:53 – (Agenzia Nova) – Restrizioni agli spostamenti, piogge che durano mesi, giorni interi senza corrente elettrica, difficolta’ per l’accesso all’acqua, scarsita’ di beni di base e ricoveri continui in ospedale. E’ “parte dell’incubo” che Alejandro Garofali, ambasciatore uruguaiano in Etiopia, racconta al quotidiano “El Observador”. Il diplomatico e’ a capo dell’ultima sede di rappresentanza aperta da Motevideo per avere “una maggiore presenza nel continente africano”. “Da quando ha messo piede in Africa, il 25 agosto del 2016, il diplomatico di carriera ha affrontato la ‘sfida gigantesca’ di dover allestire da solo e da zero la missione”. Al suo ministero degli Esteri, nelle corrispondenze acquisite dalla testata, Garofali chiede di inviare un funzionario per distribuire “seriamente” i carichi di lavoro e testimonia senza troppi giri di parole i sacrifici personali che deve affrontare. Sbarcato ad Addis Abeba, l’ambasciatore scopre che esiste uno stato di emergenza che ne impedisce i movimenti entro 40 chilometri dalla sede. Una misura che sarebbe durata dieci mesi. Garofali parla dell’impossibilita’ di usare il telefono cellulare, e’ sicuro che ogni conversazione e’ intercettata e denuncia una connessione a internet non affidabile. Le sue pertinenze sono arrivate in Africa con un anno di ritardo e per gestirle ha dovuto contrattare due guardie armate. Dalle parole del diplomatico il lettore uruguaiano apprende che in Etiopia ci sono tubercolosi, poliomielite, scabbia e lebbra e che in caso di emergenza il punto piu’ vicino e affidabile per le cure, Nairobi, e’ a due ore di aereo. Descrivendo una economia “relativamente chiusa, autarchica, dipendente dall’agricoltura di sussistenza”, l’uruguaiano riferisce al tempo stesso della corsa a due cifre del prodotto interno lordo, sottolineando gli ultimi passi mossi dal governo in fatto di investimenti pubblici e apertura ai capitali. Il tutto pero’, compensato “dall’orgoglio di essere parte della scommessa uruguaiana in Africa” dice il diplomatico sgranando l’agenda degli impegni che Montevideo ha in animo di mettere in campo.

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Gran Bretagna, il fallimento della societa’ Carillion rischia di costar caro ai contribuenti

16 gen 10:53 – (Agenzia Nova) – Tutti i principali giornali britannici oggi martedi’ 16 gennaio dedicano ampio spazio alle polemiche sulle conseguenze economiche, sociali e politiche del fallimento del gigante delle costruzioni Carillion. Il quotidiano “The Times” in particolare lancia l’allarme: il crack potrebbe costare centinaia di milioni di sterline ai contribuenti per salvare migliaia di posti di lavoro e garantire il proseguimento delle opere e dei servizi pubblici gestiti dal gruppo Carillion. Il governo britannico infatti si e’ impegnato ad assicurare gli stipendi ai dipendenti di oltre un migliaio di aziende impegnate in ben 450 progetti pubblici di cui aveva l’appalto la societa’ Carillion, fallita perche’ non riusciva piu’ a ripagare il debito di 1,6 miliardi di sterline (oltre 1,8 miliardi di euro, ndr); e ha lanciato un appello ai lavoratori perche’ oggi tornino al lavoro. Inoltre il governo si e’ preso 48 ore di tempo per esaminare la posizione di migliaia di lavoratori impiegati in progetti di costruzione del settore privato, nella speranza che altre aziende decidano di subentrare in quei contratti: Carillion da’ lavoro a 20 mila persone in Gran Bretagna e sebbene il 62 per cento delle attivita’ siano concentrate nel settore privato, il gruppo gestisce una miriade di servizi pubblici che vanno dagli ospedali alle scuole e alle prigioni. Per garantirne la continuita’, il governo ha annunciato un prestito-ponte di centinaia di milioni di sterline il cui ammontare esatto sara’ specificato solo piu’ avanti. Il timore, commenta il “Times”, e’ che l’impegno finanziario dello Stato rischi di diventare a tempo indefinito: anche se, infatti, il sottosegretario al Gabinetto David Lidington ieri ha dichiarato alla Camera dei Comuni che il costo della bancarotta sara’ sostenuto dagli azionisti e dai creditori di Carillion, il governo ha comunque annunciato l’intenzione di ri-nazionalizzare tutte le attivita’ di pubblica utilita’; e questo, scrive il “Times”, equivale a un assegno in bianco. Accanto a tutte queste preoccupazioni, sono sorti timori anche per la tenuta dei fondi pensione che avevano investito in azioni e obbligazioni di Carillion, e che potrebbero vedersi costretti a tagliare i trattamenti versati ai propri pensionati. Intanto l’opinione pubblica si e’ scatenata sulla questione morale delle paghe milionarie che i top manager di Carillion hanno accordato a se’ stessi proprio mentre stavano conducendo la societa’ verso il fallimento: l’amministratore delegato Richard Howson, in carica dal 2012 allo scorso mese di luglio, nel solo 2016 ha intascato 1 miliardo e mezzo di sterline (quasi 1,7 miliardi di euro, ndr) tra stipendio, bonus e benefit e ha continuato a percepire regolarmente la sua ricchissima paga fino all’ottobre scorso, ben tre mesi dopo le sue dimissioni; lui ed altri manager del gruppo, riporta il “Times”, ora sono sotto indagine da parte delle autorita’ pubbliche e potrebbero vedersi infliggere “severe multe”.

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L’Italia vuole reprimere i massoni dopo la scoperta di legami con la mafia

16 gen 10:53 – (Agenzia Nova) – I politici italiani saranno costretti a dichiarare la loro appartenenza alla Massoneria in base alle nuove regole proposte dalla commissione parlamentare Antimafia, dopo la scoperta che i capi del clan malavitosi si sono infiltrati nelle logge per fare affari con i funzionari pubblici e con gli imprenditori che ne fanno parte: lo scrive sul quotidiano inglese “The Times” il corrispondente da Roma Tom Kington, in un articolo in cui ricorda che le recenti indagini della polizia su quattro delle maggiori logge massoniche in Sicilia e in Calabria hanno rivelato i nomi di 193 iscritti legati alla criminalita’ organizzata. Dopo queste rivelazioni, la Commissione parlamentare ha proposto regole secondo le quali i magistrati non potrebbero piu’ essere iscritti alla Massoneria e tutti coloro che ricoprono incarichi pubblici dovrebbero dichiarare se ne fanno parte. La presidente della Commissione, Rosy Bindi, spera anche di riuscire a costringere le logge massoniche a rendere trasparenti e pubblici gli elenchi dei loro iscritti: “circa il 25 per cento dei nomi trovati sulle liste di massoni sono solo iniziali o pseudonimi”, ha dichiarato. “Non c’e’ alcuna trasparenza e noi crediamo che tutte le associazioni debbano tenere elenchi chiari completi degli iscritti”, ha aggiunto la Bindi. La minaccia di porre fine alla segretezza che tradizionalmente circonda la Massoneria tuttavia ha provocato una tempesta di proteste da parte dei suoi aderenti che, come ricorda l’articolo di Tom Kington, accusano le nuove regole di essere ispirate alle leggi adottate dal dittatore fascista Benito Mussolini nel 1925: “si tratta di una vera e propria minaccia alla democrazia in quanto tale” ha dichiarato Stefano Bisi che e’ il gran maestro del Grande Oriente d’Italia, la principale organizzazione massonica italiana con circa 23 mila membri. Sentito dal “Times”, Bisi afferma il diritto dei massoni italiani di mantenere segreta la propria appartenenza a causa dei pregiudizi di cui sono vittime e che risalgono non solo all’epoca fascista ma anche all’aperta ostilita’ della Chiesa cattolica, che li scomunico’ nel 1738. Il gran maestro ammette che la reputazione della Massoneria italiana e’ stata compromessa negli anni ’70 dalla scoperta della loggia P2: legata agli ambienti dell’estrema destra e coinvolta in numerosi casi di corruzione e nel sospetto omicidio a Londra del banchiere Roberto Calvi. Tra i suoi adepti annoverava anche diversi capi dei servizi segreti e un giovane Silvio Berlusconi. Tuttavia Bisi ricorda che attualmente i massoni sono perlopiu’ attivi nelle attivita’ di volontariato e rivendica: “ogni cittadino e’ libero di non dichiarare pubblicamente che va in chiesa, alla moschea, in una loggia o persino nei boy scout; perche’ solo noi dovremmo essere obbligati a farlo?”.

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Francia, proteste dei sindacati di polizia penitenziaria nelle carceri francesi

16 gen 10:53 – (Agenzia Nova) – Dopo l’attacco di stampo terroristico avvenuto giovedi’ in una prigione nel Pas-de-Calais durante il quale un prigioniero ha aggredito tre sorveglianti, i sindacati della polizia penitenziaria hanno organizzato una serie di proteste in tutta la Francia. E’ quanto afferma “Libe’ration” in apertura dell’edizione odierna, spiegando che il movimento d contestazione riguarda in tutto 189 prigioni. Nei centri di detenzione di Nancy, Ecouves, Lyon-Corbas e Avignone, lo svolgimento delle normali attivita’ e’ “paralizzato”. Il ministro della giustizia, Nicole Belloubet, si rechera’ oggi nella prigione di Vendin-le-Veil, dove e’ avvenuta l’aggressione che ha scatenato le proteste. Il quotidiano parla di “un’amministrazione asfissiata”, con i dipendenti stanchi di una situazione diventata ormai insostenibile. Il presidente Emmanuel Macron ha promesso “un piano globale” di ristrutturazione prima della fine di febbraio. Le strutture francesi accolgono attualmente piu’ di 69mila detenuti, 10mila in piu’ di quelli che potrebbero contenere. Le guardie carcerarie sono solamente 18mila, un numero insufficiente per gestire la situazione. Macron ha promesso 15mila posti supplementari, insieme a soluzioni alternative come il braccialetto elettronico o i lavori socialmente utili. Proposte che sono alla base delle concertazioni che la guardasigilli iniziera’ prima della prossima riforma della giustizia.

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Germania, Berlino preoccupata dalla “fame di dati” degli Stati Uniti

16 gen 10:53 – (Agenzia Nova) – La Corte Suprema degli Stati Uniti sara’ chiamata a decidere nei prossimi mesi uno dei casi piu’ esplosivi degli ultimi anni, da cui potrebbero dipendere la protezione dei dati europei, le basi della cooperazione economica con gli Stati Uniti e persino il futuro di Internet come spazio “aperto”. La domanda e’ se la Giustizia statunitense potra’ disporre di un accesso globale ai dati degli utenti digitali. Berlino ha ignorato la questione sino a pochi giorni fa. “E’ una questione preoccupante”, ha dichiarato il sottosegretario di Stato presso il ministero federale della Giustizia, il socialdemocratico Ulrich Kelber (Spd), al quotidiano “Handelsblatt”. “C’e’ il rischio che altri paesi pretendano l’accesso globale ai dati delle aziende”, ha detto. Della stessa opinione la cristiano sociale Dorothee Baer: “E’ assolutamente inaccettabile. Se fosse consentita una cosa simile, in futuro farebbero altrettanto la Cina o la Turchia, magari per ottenere dati dai presunti nemici dello Stato che vivono in Germania”, ha dichiarato. Berlino chiede agli Usa l’attinenza alle pratiche internazionali, recepite in Europa dal regolamento sulla protezione dei dati entrato in vigore a maggio. La Procura federale degli Stati Uniti invece rivendica di sua competenza tutto cio’ che e’ conservato su server di societa’ statunitensi, anche se questi server non si trovano negli Usa, ma in territorio europeo. La controversia ha un’importanza fondamentale per la privacy delle societa’ statunitensi. Dopo le rivelazioni della “talpa dell’Nsa, Edward Snowden, in merito all’escalation della sorveglianza da parte delle agenzie di intelligence statunitensi, i grandi gruppi informatici hanno gradualmente spostato le operazioni di archiviazione dei dati in Europa, in risposta alla sfiducia delle opinioni pubbliche nei confronti delle autorita’ statunitensi. “Una vittoria del dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti davanti alla Corte Suprema porterebbe al caos, perche’ allora le aziende sarebbero costrette a violare la legge europea o nazionale, o ignorare la normativa Usa”, ha avvertito la Baer. Anche il Verde Konstantin von Notz si e’ detto allarmato. L’economia tedesca e’ intervenuta a Washington con una lettera delle associazioni di categoria europee. La Germania e altri paesi europei sono “legalmente e costituzionalmente obbligati” a proteggere i loro cittadini dall’interferire con i loro diritti, avverte la lettera. Anche la Commissione europea e il governo irlandese hanno espresso la loro preoccupazione. Nessuno puo’ prevedere se la Corte Suprema terra’ in considerazione le obiezioni europei. Secondo il segretario di Stato della Spd, il socialdemocratico Ulrich Kelber, “se la Ue non si attiva, il governo federale dovrebbe prendere l’iniziativa”.

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Fiat-Chrysler, Marchionne: “Sono stanco, voglio fare qualcos’altro”

16 gen 10:53 – (Agenzia Nova) – Sergio Marchionne, amministratore delegato di Fiat-Chrysler, e’ convinto sia possibile raddoppiare la redditivita’ del gruppo. In un’intervista all’agenzia stampa “Bloomberg” al salone dell’auto di Detroit, l’ad ha spiegato che tale aumento potrebbe essere trainato dai Suv del marchio Jeep. Le azioni della compagnia sono salite lunedi’ fino ad un piu’ 2,7 percento, a 19,65 euro, un valore record. Oltre al successo del Suv, si aggiungono le imposte societarie ridotte statunitensi. Marchionne ha anche annunciato di volersi ritirare all’inizio del 2019, dopo 15 anni alla guida del gruppo che ha trasformato la Fiat in un produttore di rilevanza globale dopo la fusione con Chrysler. Un rigoroso controllo dei costi e lo sviluppo di vetture fuoristrada hanno creato una strategia di crescita che sara’ promossa dal suo successore. Jeep vende 5 milioni di veicoli all’anno e l’ad vede la possibilita’ del raddoppio dei profitti entro il 2022 e a 7 miliardi di euro. “Sono stanco e voglio fare qualcosa di diverso”, ha dichiarato il 65 enne imprenditore. A succedergli dovrebbe essere una figura interna al gruppo. Gli investitori ritengono che il direttore finanziario Richard Palmer sia fra i papabili assieme al capo della Jeep, Mike Manley e al capo europeo Alfredo Altavilla. Per quanto riguarda Ferrari, Marchionne ha dichiarato: “Devo finire cio’ che ho iniziato”. La nuova strategia quinquennale di Fiat verra’ presentata il primo giugno. Questo e’ il giorno in cui Marchionne e’ stato assunto come amministratore delegato nel 2004, nelle ore drammatiche successive alla morte di Umberto Agnelli.

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