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Pagare per le reti Tlc? La reazione degli OTT non si fa attendere

La reazione delle Big Tech non si è fatta attendere, dopo l’attacco da parte della Commissione Ue, pronta a studiare un modo per far contribuire i giganti del web alla realizzazione e manutenzione delle reti tlc (fibra e 5G).

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Uno studio, realizzato nel 2018 e citato da Euractiv, mette in evidenza il fatto che i provider di servizi digitali da anni contribuiscono in maniera crescente all’infrastruttura di internet, ad esempio con i data center dei cosiddetti hyperscaler.

La difesa degli OTT

Lo studio di Analysys Mason del 2018 mostra che dal 2014 i fornitori di servizi online (OSP) hanno investito oltre 300 miliardi di dollari in infrastrutture Internet. Ciò equivale a 75 miliardi di dollari all’anno, che è più del doppio dell’investimento medio annuo del 2011-2013 di 33 miliardi di dollari.

Oltre il 90% di questo investimento è stato destinato all’infrastruttura di hosting poiché gli OSP costruiscono data center iperscalabili per supportare l’esplosione di contenuti online e servizi cloud e installano apparecchiature in strutture di colocation di terze parti.

Gli argomenti del Video on demand

Anche l’associazione europea VOD (Video on demand) è scesa in campo, per smentire le argomentazioni avanzate in primo luogo da Etno, l’associazione delle principali Tlc europee raccolte in gran parte da Bruxelles. Ebbene, l’associazione VOD europea sostiene in sintesi che non sono i content provider a “generare il traffico”, bensì gli utenti finali della rete che usano le connessioni per le quali già pagano un abbonamento. In altre parole, sono gli utenti della rete che usano le loro connessioni per richiedere contenuti a loro scelta. Il video streaming, secondo l’associazione VOD europea, rappresenta quindi un semplice contenuto scelto (e pagato) dagli utenti finali.

I Content Provider avanzano anche altre argomentazioni, ad esempio il fatto di aver già investito miliardi per la realizzazione di CDN (Content delivery network) per avvicinare i contenuti agli utenti finali e decongestionare così le dorsali di rete in collaborazione con gli Isp.

I cavi sottomarini di Google e Facebook

Google e Facebook, dal canto loro, hanno investito in maniera crescente nella realizzazione di cavi sottomarini, dal momento che gli operatori Tlc non sarebbero stati in grado di stare al passo con l’esplosione del traffico globale, che i due Big della rete hanno contribuito a creare. Far pagare una extra fee alle Big tech per l’uso delle reti Tlc potrebbe spingere le Big tech a creare le loro infrastrutture di rete private, alternative a quelle di telecomunicazioni.

Inoltre, le grandi piattaforme contribuiscono a creare la domanda di servizi Tlc, per i quali in effetti i clienti sono disposti a pagare.

Questioni aperte

Restano sul tavolo diverse questioni aperte, solevate da Euractiv. In primo luogo, non si capisce che tipo di iniziativa legislativa stia preparando la Commissione Ue. Inoltre, resta da vede in che modo l’esecutivo europeo intenda far quadrare l’introduzione di “un giusto contributo” con i diversi modelli di business delle piattaforme.

Le piattaforme on demand come Netflix consumano molti più dati di Google, ma il motore di ricerca ha un modello di business molto più profittevole grazie ai servizi di pubblicità online.  

Lo studio dell’ETNO propone di limitare tali contributi a poche grandi società Internet sulla base della nozione di “gatekeeper” della legge sui mercati digitali o delle “piattaforme online molto grandi” della legge sui servizi digitali.

Tuttavia, un approccio così mirato potrebbe non essere facile da conciliare con il principio della neutralità della rete, che richiederebbe a tutti i player online di contribuire al costo dell’infrastruttura Internet in base all’utilizzo della rete. Una soluzione del genere, però, sarebbe probabilmente impraticabile a causa della burocrazia.

Gli operatori di telecomunicazioni propongono un meccanismo regolamentato per accordi diretti, sull’esempio della Direttiva sul diritto d’autore che fornisce un precedente nel costringere le piattaforme a pagare una quota del servizio che forniscono.

Tuttavia, ciò che rappresenta un “compenso proporzionato” è destinato a essere un punto controverso in questi accordi diretti. Le telecomunicazioni chiedono un meccanismo di risoluzione delle controversie, una richiesta di lunga data da parte degli editori nel contesto del diritto d’autore.

Non è nemmeno chiaro in che modo la Commissione possa assicurare che l’aumento di ricavi venga reinvestito in infrastrutture, con beneficio dei consumatori piuttosto che essere destinato ad aumentare i margini degli operatori.

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