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PA digitale, soltanto un italiano su tre usa servizi online della PA

Soltanto un italiano su tre usa servizi online per relazionarsi con la pubblica amministrazione mentre un italiano su cinque non ha mai usato Internet. Sono questi in estrema sintesi i numeri del gap digitale del nostro paese, fotografati dal Csel, Centro Studi Enti Locali, in un report elaborato per l’Adnkronos dal quale emerge che la carta del Pnrr potrebbe essere il jolly fondamentale per invertire questo trend.

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Transizione digitale asse portante del Pnrr con la rivoluzione verde

Seconda soltanto alla rivoluzione verde per fondi ricevuti nel Recovery Plan, la transizione al digitale è uno dei due assi portanti del ‘Piano nazionale di ripresa e resilienza’ e tra Pnrr e Fondo complementare, alla missione ‘Digitalizzazione, Innovazione, Competitività, Cultura’, saranno destinati quasi 50 miliardi da qui al 2026 (per l’esattezza 49,2). Di questo, 6,7 miliardi saranno destinati alle infrastrutture (fibra, 5G, FWA) di cui 2 miliardi soltanto al 5G.

E’ chiaro che le carenze di copertura a banda ultralarga rappresentano un ostacolo che a questo punto va assolutamente superato.

PNRR, 57 miliardi per transizione ecologica, 42 al digitale e 19 per la Sanità. Scarica la versione in CdM

Italia fanalino di coda per digitalizzazione

Secondo il report del Csel, sebbene il nostro paese vanti infrastrutture e servizi Itc di livello medio-alto, resta pur sempre il fanalino di coda in Ue per digitalizzazione. Nel 2020 l’Italia si è piazzata al 25esimo posto su 28, nella classifica del “Digital Economy and Society Index” (DESI), perdendo 2 posizioni rispetto al già critico piazzamento del 2018.

Carenza di skill tallone d’Achille

Il report che correda il DESI, l’indice attraverso il quale la Commissione Ue misura il grado di digitalizzazione dei paesi membri, mette in evidenza che la vera spina nel fianco del sistema italiano è il capitale umano. In altre parole, il gap di skill digitali dei nostri concittadini è il vero problema da affrontare e risolvere per cogliere appieno la trasformazione digitale.

Carenza di laureati in materie ITC

Per il Csel se non riusciamo a raccogliere i frutti degli investimenti fatti sul piano infrastrutturale e delle numerose innovazioni introdotte nel corso degli anni (dalla banda larga alla connettività, dallo Spid a PagoPA), è perché abbiamo capacità digitali, sia di livello base che avanzate, molto basse. Anche il numero di specialisti e laureati nel settore Itc è al di sotto della media Ue (2,8 contro il 3,9% degli occupati totali).

Solo 4 italiani su 10 hanno competenze digitali di base

Nel 2019 l’Italia ha perso due posizioni e si colloca ora all’ultimo posto nell’Ue per quanto riguarda la dimensione del capitale umano. Solo il 42% delle persone di età compresa tra i 16 e i 74 anni possiede almeno competenze digitali di base (58% nell’UE) e solo il 22% dispone di competenze digitali superiori a quelle di base (33% nell’UE). Sebbene sia aumentata raggiungendo il 2,8% dell’occupazione totale, la percentuale di specialisti Itc in Italia è ancora al di sotto della media UE (3,9%). La quota italiana di laureati nel settore Itc è rimasta stabile rispetto alla relazione DESI 2019 (sulla base dei dati del 2016). Solo l’1% dei laureati italiani è in possesso di una laurea in discipline Itc (il dato più basso nell’UE), mentre gli specialisti di sesso femminile rappresentano l’1% del numero totale di lavoratrici (cifra leggermente inferiore alla media UE dell’1,4%).

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