Nella recente sentenza del 27 maggio 2019 (n.06606/2019) il Tar Lazio boccia l’utilizzo dell’algoritmo nel procedimento amministrativo.
In pieno contrasto con l’apertura dimostrata dal Consiglio di Stato (sentenza n. 2270/2019), la decisione nega cittadinanza all’impiego dell’algoritmo nell’ordinamento amministrativo visto che, tramite esso, non vi sarebbe alcun attività amministrativa la quale, viceversa, deve avere natura personale, cioè compiuta da un essere umano.
Le motivazioni
Le argomentazioni della sentenza si fondano sul medesimo ragionamento seguito da una pregressa pronuncia del Tar Lazio (n. 9224/2018) secondo la quale non è possibile permettere che lo svolgimento dell’attività amministrativa avvenga ad opera di un impersonale algoritmo.
Ciò perché un procedimento amministrativo, ancorché difficile o complicato, non può essere devoluto ad un “meccanismo informatico o matematico del tutto impersonale e orfano di capacità valutazionali delle singole fattispecie concrete, tipiche invece della tradizionale e garantistica istruttoria procedimentale che deve informare l’attività amministrativa, specie ove sfociante in atti provvedimentali incisivi di posizioni giuridiche soggettive di soggetti privati e di conseguenziali ovvie ricadute anche sugli apparati e gli assetti della pubblica amministrazione.”
Invero, “un algoritmo, quantunque, preimpostato in guisa da tener conto di posizioni personali, di titoli e punteggi, giammai può assicurare la salvaguardia delle guarentigie procedimentali che gli artt. 2, 6,7,8,9,10 della legge 7.8.1990 n. 241 hanno apprestato, tra l’altro in recepimento di un inveterato percorso giurisprudenziale e dottrinario…. gli istituti di partecipazione, di trasparenza e di accesso, in sintesi, di relazione del privato con i pubblici poteri non possono essere legittimamente mortificati e compressi soppiantando l’attività umana con quella impersonale, che poi non è attività, ossia prodotto delle azioni dell’uomo, che può essere svolta in applicazione di regole o procedure informatiche o matematiche. A essere inoltre vulnerato non è solo il canone di trasparenza e di partecipazione procedimentale, ma anche l’obbligo di motivazione delle decisioni amministrative, con il risultato di una frustrazione anche delle correlate garanzie processuali che declinano sul versante del diritto di azione e difesa in giudizio di cui all’art. 24 Cost., diritto che risulta compromesso tutte le volte in cui l’assenza della motivazione non permette inizialmente all’interessato e successivamente, su impulso di questi, al Giudice, di percepire l’iter logico – giuridico seguito dall’amministrazione per giungere ad un determinato approdo provvedimentale” (Tar Lazio n. 9224/2018).
Interlocuzione personale
Inoltre, “non è conforme al vigente plesso normativo complessivo e ai dettami dell’art. 97 della Costituzione, ai principi ad esso sottesi, agli istituti di partecipazione procedimentale definiti agli artt. 7,8, 10 e 10 – bis della L. 7.8.1990, n. 241, all’obbligo di motivazione dei provvedimenti amministrativi sancito dall’art. 3, stessa legge, al principio ineludibile dell’interlocuzione personale intessuto nell’art. 6 della legge sul procedimento e a quello ad esso presupposto di istituzione della figura del responsabile del procedimento, affidare all’attivazione di meccanismi e sistemi informatici e al conseguente loro impersonale funzionamento, il dipanarsi di procedimenti amministrativi, sovente incidenti su interessi, se non diritti, di rilievo costituzionale, che invece postulano, onde approdare al corretto esito provvedimentale conclusivo, il disimpegno di attività istruttoria, acquisitiva di rappresentazioni di circostanze di fatto e situazioni personali degli interessati destinatari del provvedimento finale, attività, talora ponderativa e comparativa di interessi e conseguentemente necessariamente motivazionale, che solo l’opera e l’attività dianoetica dell’uomo può svolgere.” (Tar Lazio n. 9224/2018)
Ancora, “le procedure informatiche, finanche ove pervengano al loro maggior grado di precisione e addirittura alla perfezione, non possano mai soppiantare, sostituendola davvero appieno, l’attività cognitiva, acquisitiva e di giudizio che solo un’istruttoria affidata ad un funzionario persona fisica è in grado di svolgere e che pertanto, al fine di assicurare l’osservanza degli istituti di partecipazione, di interlocuzione procedimentale, di acquisizione degli apporti collaborativi del privato e degli interessi coinvolti nel procedimento, deve seguitare ad essere il dominus del procedimento stesso, all’uopo dominando le stesse procedure informatiche predisposte in funzione servente e alle quali va dunque riservato tutt’oggi un ruolo strumentale e meramente ausiliario in seno al procedimento amministrativo e giammai dominante o surrogatorio dell’attività dell’uomo; ostando alla deleteria prospettiva orwelliana di dismissione delle redini della funzione istruttoria e di abdicazione a quella provvedimentale, il presidio costituito dal baluardo dei valori costituzionali scolpiti negli artt. 3, 24, 97 della Costituzione oltre che all’art. 6 della Convezione europea dei diritti dell’uomo.” (Tar Lazio n. 9224/2018).
Le altre sentenze
Sul tema già altre pronunce (Tar Puglia sentenza n.806/2016; Tar Lazio n. 8312/2016) avevano avuto modo di chiarire che l’impiego di modalità informatiche, senza intervento umano, producono l’effetto di partorire provvedimenti senza alcun procedimento, senza alcuna motivazione, senza alcun funzionario della Pubblica Amministrazione che abbia valutato il singolo caso di specie ed abbia correttamente esternato le relative determinazioni provvedi mentali; con il risultato che tali procedimenti risultano essere irragionevoli, ingiusti ed irrazionali (si pensi al sistema informatico che eserciti impersonalmente l’attività amministrativa sostanziale ma che poi detta attività amministrativa debba essere successivamente corretta dall’Amministrazione, in via di emergenza, in caso di malfunzionamento degli stessi sistemi).
Altra sentenza (Tar Lazio n.8312/2016) afferma, inoltre che “in tema di ruolo conferibile all’impiego dello strumento informatico in seno al procedimento, ossia il principio generale secondo il quale “le procedure informatiche applicate ai procedimenti amministrativi devono collocarsi in una posizione necessariamente servente rispetto agli stessi, non essendo concepibile che, per problematiche di tipo tecnico, sia ostacolato l’ordinato svolgimento dei rapporti tra privato e Pubblica Amministrazione e fra Pubbliche Amministrazioni nei reciproci rapporti (in termini cfr. anche Cons. Stato, Sez. VI, 7 novembre 2017 n. 5136” (Tar Lazio n. 8902/2018).
In conclusione, il quadro delineato fornisce un chiaro divieto: l’impiego esclusivo della piattaforma informatica nel procedimento amministrativo non è consentito (sul punto si veda anche Consiglio di Stato n. 5136/2017).