Se l’Italia migliorasse la qualità dei servizi di eGovernment erogati a cittadini e imprese, la Pubblica Amministrazione potrebbe guadagnare mezzo punto di PIl annuo, con risparmi potenziali in termini di spending review pari a 8 miliardi di euro, per la spesa pubblica, fatte salve le previsioni di crescita per l’Italia nei prossimi anni stimate tra l’1% e l’1,5%. Il tutto senza intaccare, anzi migliorando, la qualità dei servizi erogati.
Questo il messaggio forte del Rapporto “eGovernment 2016. Quanto costa all’Italia il ritardo nell’e-gov?” realizzato da BEM Research, secondo cui in pratica il ritardo dell’Italia nell’eGov pesa eccome sulle casse dello Stato e il ritardo del nostro paese va quindi aggredito con forza.
Quali fattori permetterebbero di ottenere questi risparmi?
Tra i principali si possono citare la riduzione della spesa connessa con la gestione dei moduli cartacei (con un vantaggio anche sotto l’aspetto della sostenibilità ambientale), la minore esigenza di sportelli pubblici sparsi sul territorio, la possibilità di impiegare meno lavoratori pubblici nella gestione delle pratiche burocratiche.
“Nell’ipotesi più estrema in cui l’Italia riesca a raggiungere il gruppo di paesi più virtuosi nell’utilizzo dell’e-government i potenziali risparmi sulla spesa pubblica sarebbero più che raddoppiati superando i 17 miliardi di euro”, aggiunge il report.
Interazione digitale con la PA, Italia in ritardo
Secondo i dati di BEM Research, che rielaborano dati Eurostat, negli ultimi 12 mesi soltanto il 24% degli Italiani ha interagito in modalità digitale con la PA, una percentuale che rappresenta la metà della media Ue pari al 50%. “Solo Romania (11%) e Bulgaria (17%) hanno fatto peggio” in Europa.
Un ritardo, quello dell’Italia, che si è accumulato negli anni, visto che dal 2008 a oggi la diffusione dell’eGov è cresciuta appena del 4%, con una performance fra le peggiori della Ue e inferiore ad esempio anche al Portogallo, che nello stesso lasso di tempo (nonostante la crisi economica e politica vissuta nel paese lusitano) ha messo a segno un risultato nettamente migliore del nostro.
Per invertire il trend, secondo BEM Research sono opportune alcune azioni, in primo luogo l’individuazione di best practice locali nell’erogazione di servizi digitali ai cittadini, da replicare a livello nazionale.
Venezia, Bari e Bologna i Comuni al top dell’eGov
Per questo, la società di analisi ha messo in fila le migliori 20 città italiane, per verificare la performance online dei comuni italiani più virtuosi in base a quattro indicatori predefiniti: 1) la performance dei siti web dei Comuni, 2) la prestazione dei siti; 3) l’interazione attraverso i social; 4) la disponibilità e l’utilità dell’applicazione per dispositivi mobili specifici per il trasporto pubblico locale.
In base ai calcoli, Venezia è il Comune con le migliori prestazioni complessive online, seguita da Bari, Bologna, Firenze e Milano. Roma si piazza al settimo posto, Torino all’ottavo, Napoli al nono. Sarà interessante verificare se nei prossimi mesi i comuni che sono andati al ballottaggio vedranno la loro performance migliorare, in particolare a Roma – dove l’adesione all’Anagrafe Unica è prevista dopo l’estate e si attende ancora il matrimonio dei servizi con SPID – e Milano.
C’è curiosità su come il neo sindaco della Capitale Virginia Raggi affronterà il tema della digitalizzazione dei servizi e della trasparenza, cavallo di battaglia del Movimento 5 Stelle, sul sito del Campidoglio.
Progetti in cantiere
Infine, il report sostiene che per agganciare il livello di digitalizzazione che si riscontra nel resto della Ue è necessario che il nostro paese attui un piano di formazione su larga scala, che nell’ambito della riforma Madia, per quanto apertamente a costo zero, sia rivolto a tutti i dipendenti pubblici coinvolti nella riorganizzazione digitale legata appunto ai grandi progetti nazionali come l’Anagrafe Unica (Anpr), SPID (Sistema Pubblico di Identità Digitale) e PagoPA.
A tal fine, sarebbe auspicabile (se non necessario) un piano trasparente di investimenti in tecnologia per attuare un altrettanto auspicabile piano di interventi coordinato per la dotazione di hardware e software interoperabili a livello centrale e locale.
Restiamo in attesa del piano triennale dell’Agid, annunciato entro aprile ma slittato a settembre, per capire il disegno complessivo del Governo in termini di fabbisogni e auspicabili finanziamenti per il digitale pubblico.
Intanto, la diffusione di SPID procede a ritmi inferiori rispetto alle cifre annunciate dal Governo in occasione del lancio a metà marzo (obiettivo 3 milioni di identità digitali entro fine anno e 6 milioni entro il 2017) e l’Anagrafe Unica stenta ancora a superare la sua fase sperimentale in attesa forse di un maggior sostegno sul territorio da parte del Governo centrale.