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PAdigitale. Ecco come uscire dal labirinto burocratico

Donato A. Limone

Parte oggi la rubrica PAdigitale, a cura di Donato A. Limone, Ordinario di informatica giuridica e Direttore del Dipartimento di Scienze giuridiche ed economiche, Università degli Studi di Roma Unitelma Sapienza. L’obiettivo è seguire il processo di attuazione della riforma per registrarne lo sviluppo e le criticità in termini costruttivi.

 La rubrica PAdigitale, a cura di Donato A. Limone, Ordinario di informatica giuridica e Direttore del Dipartimento di Scienze giuridiche ed economiche, Università degli Studi di Roma Unitelma Sapienza. Analisi e approfondimenti sul processo di attuazione della Riforma della PA. Per consultare gli articoli precedenti clicca qui

Come procedere? In ordine sparso o con un “paradigma” preciso di riferimento? Il filo di Arianna (per uscire dal labirinto burocratico) è costituito proprio dall’art. 1 della legge (Carta della cittadinanza digitale). E il successo della riforma è strettamente correlato alla realizzazione dell’amministrazione digitale e ai nuovi rapporti tra cittadini e Stato fondati sulla trasparenza/accessibilità totale, sulla qualità del dato, sui servizi in rete:  l’amministrazione che opera nella società dell’informazione.

Se si affronta correttamente quanto stabilito nell’art.1 (semplificazione e digitalizzazione), allora il successo della riforma è assicurato. Infatti, se non si semplificano  i procedimenti ed i processi sicuramente non avremo risultati rispetto all’art. 4 (Norme per la semplificazione e l’accelerazione dei procedimenti amministrativi); non si può passare alla fase della digitalizzazione se non è stato effettuato un profondo intervento di semplificazione amministrativa;  se l’amministrazione digitale non entra in funzione sarà difficile riorganizzare l’amministrazione pubblica (art. 8: Riorganizzazione dello Stato); per attivare cambiamenti così forti è necessaria una dirigenza consapevole, responsabile, preparata, digitale (art. 11: Dirigenza pubblica).

Lo scenario

Lo scenario che si presenta oggi (noto da almeno 25 anni) esprime le “macerie” di un’amministrazione pubblica piena di formalismi giuridici ed amministrativi, distante dai cittadini, costosa, spesso inutile se non dannosa. Questo contesto costituisce un “vincolo” molto forte per la riuscita della riforma.

Vincoli dovuti al fallimento pressoché totale di leggi importanti quali la 241/1990 (che doveva essere la legge di semplificazione per antonomasia); del codice dell’amministrazione digitale (formiamo documenti digitali e poi operiamo su documenti analogici); la legge 183/2011 art. 15 (legge sulla decertificazione totale); le leggi di semplificazione (che hanno prodotto una “tonnellata” di regolamenti nella logica della deresponsabilizzazione più spinta); le leggi di riorganizzazione (dlgs 29/1993; dlgs 165/2001): da oltre 20 anni è silenzio totale sui modelli di organizzazione e dei servizi a tutti i livelli istituzionali (ai margini la formazione delle risorse umane e la qualità dei servizi). Siamo un Paese “fuori” dalla società dell’informazione (anche se poi siamo i più grandi utilizzatori di telefonini).

Come procedere? Come “scrivere” i decreti attuativi?

Il rischio è di procedere in modo verticale considerando i singoli articoli della riforma e senza considerarne la loro interconnessione ed integrazione. Il Governo ha il compito di una regia forte, logica, attenta alle tecniche normative di settore (per materie, tematiche, ministeri, livelli istituzionali, ecc.) che rischiano di non garantire la riuscita della stessa riforma. E allora l’art. 1 risulta essere (in modo più consistente) la chiave di lettura unitaria della riforma. E quindi lo strumento fondamentale è il Codice dell’Amministrazione Digitale: si provvede ad apportare modifiche al testo attuale o si intende varare un vero Codice per l’amministrazione della società dell’informazione?

Il Codice dell’amministrazione digitale

La semplice integrazione/modifica dell’attuale testo rischia di conservare “principi” assieme a “mezze” regole tecniche e/o prescrizioni comportamentali con tutti i problemi che ci sono stati finora. Il varo di un Codice dell’Amministrazione, nella versione di “codice” e di una struttura normativa di base fatta di principi, permette di seguire una strada più concreta, più efficace, svincolata dalla logica di modifiche continue. Si rinvia ad un “testo unico di regole tecniche” aggiornabile nel tempo senza fare ricorsi a decreti legislativi. I principi del Codice sono quelli che riguardano il valore legale del documento informatico e delle firme elettroniche, la formazione dei documenti “nativamente” digitali (smettendo di strizzare l’occhio ai documenti analogici per non perdere l’idea del “misto documentale”), la gestione documentale nel settore pubblico, la trasmissione dei documenti e della conservazione degli stessi; i servizi in rete ai cittadini e alle imprese; le funzioni e le responsabilità degli amministratori pubblici e della dirigenza nell’attuazione del Codice.

I nuovi modelli organizzativi

Alla base della riorganizzazione delle PA vi è il “meta-modello” dell’amministrazione digitale (le amministrazioni non possono non essere digitali) e l’organizzazione del lavoro in modalità digitale (che è molto di più del telelavoro, art. 14). I livelli decisionali e direzionali delle amministrazioni non possono non operare nella logica della creazione ed utilizzo di banche di dati interoperabili per le diverse attività di programmazione, direzione, controllo e verifica.

Il modello organizzativo della Presidenza del Consiglio non può essere un coacervo non ben definito di risorse umane e di dipartimenti ed unità amministrative che operano in modalità verticale, analogica, con dati e processi amministrativi ridondanti, con siti strutturati per attività “burocratiche” e non per attività di alta amministrazione. Lo stesso dicasi per i Ministeri: i modelli sono (ancora) quelli (sotto apparenti ritocchi) degli inizi del novecento. E giù per li rami fino alle amministrazioni regionali, metropolitane, comunali, ecc. Tutto si basa sulla inesistenza di processi semplificati e di servizi di qualità (il cittadino non è al centro dell’attenzione della PA).

Una nuova governance: la rottamazione delle macchine burocratiche

I modelli decisionali sopra indicati sono in sostanza “modelli reticolari” che operano nella logica di amministrazioni in rete e con dati pertinenti ed utili al funzionamento delle macchine burocratiche (“rottamando” tutto ciò che non serve, che è ridondante, che non è funzionale).

La nuova governance quindi opera sulla base di quattro elementi (e non più di due): i decisori politici, la dirigenza, i dati, gli stakeholders.  Nella governance attuale sono assenti la cultura dei dati per il “governo” e l’attenzione per i portatori di interesse.

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