Riceviamo e volentieri pubblichiamo l’intervento di Dino Bortolotto, presidente di Assoprovider, dopo il ricorso al TAR depositato l’8 febbraio da Assoprovider e Assintel contro il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri n. 285/2014 istitutivo del Sistema Pubblico di Identita’ Digitale – Spid. La norma impugnata, secondo le associazioni, contiene disposizioni lesive dei diritti delle PMI associate, dal momento che stabilisce requisiti di capitale minimi per poter fornire i servizi connessi.
Assoprovider fin dalla sua nascita si batte per una vera digitalizzazione dell’Italia e ritiene che questo ambizioso obiettivo si possa raggiungere attraverso una reale concorrenza nei servizi e nelle infrastrutture.
La realizzazione dell’agenda digitale passa invariabilmente Per la trasformazione delle imprese e dei cittadini nel ruolo di “produttore” di digitalizzazione.
Da sempre propugniamo il passaggio da una società di consumatori ad una società di “prosumer” (produttori consumatori) e non solo nei settori dove non si disturbano le rendite di posizioni precostituite, ma anche e soprattutto dove la consuetudine abbia fatto perdere la coscienza della possibilità dei singoli di divenire anche produttori.
E’ per questo che ogni limitazione alla libertà di produrre un servizio o di effettuare una attività, fosse anche a beneficio di un soggetto pubblico, deve essere chirurgicamente confinata ai soli aspetti indispensabili o meglio inderogabili.
A nostro avviso (e, a quanto sembra, anche alle Istituzioni Comunitarie) la previsione di un capitale sociale, senza ulteriori motivazioni, rientra tra quegli strumenti di limitazione delle attività imprenditoriali che costituiscono reali barriere all’ingresso.
Dobbiamo considerare che molti nostri Associati lavorano nelle zone cd a fallimento di mercato, ovvero nei luoghi ove i piccoli comuni ed i cittadini non hanno la possibilità di rivolgersi a grandi società per la fornitura di infrastrutture e servizi.
Inoltre gli Associati di Assoprovider già identificano i propri Clienti.
Questo ruolo “sociale” può essere messo al servizio del Paese, senza dover costringere i cittadini a doversi rivolgere ad entità economiche lontane che potrebbero lasciarli senza i servizi promessi con lo SPID (Sistema pubblico di identificazione digitale).
Ci sono zone dell’Italia ove è più facile fare una piccola impresa che essere assunti in una Pubblica Amministrazione e non riusciamo ad immaginare come si possa assistere ad un elogio quotidiano delle startup e poi vedere sorgere dei vincoli dimensionali sulle attività esercitabili.
Come potremmo raccontare ai nostri Giovani che un’ impresa nata in uno scantinato potrebbe diventare domani un’azienda leader nei mercati mondiali se lo Stato per primo dubita delle capacità creative delle piccole e medie imprese italiane?
Osserviamo inoltre che se fosse vero che l’ambito economico sotteso ad un servizio fosse troppo ristretto per sostenere una libera pluralità di attori allora sarebbe lampante che chi lo occupa, ovviamente non potrebbe di certo comportarsi come un filantropo, e quindi riterrebbe indispensabile trovare altre forme di remunerazione delle informazioni.
Stiamo parlando degli Identity provider previsti dal sistema SPID.
E’ più che plausibile ritenere che chi gestisce in modo esclusivo determinati rapporti, non potendo rivalersi economicamente sugli utenti per la prestazione di autenticazione, (primo versante) utilizzi le informazioni derivanti dalla sua attività di autenticazione per ricavare vantaggi economici diretti od indiretti (secondo versante), come ha limpidamente insegnato il recente premio Nobel Jean Tirole essere un tipico schema degli OTT della New Economy.
Ne discende che o tutti sono liberi di essere anche Identity Provider, valutando le imprese dal punto di vista organizzativo, di sicurezza e di professionalità nella dinamica concreta della attività e quindi in assenza di limiti sul capitale sociale minimo, oppure dobbiamo garantire che l’identity provider, che “beneficia” della barriera d’ingresso NON possa fare un uso predatorio delle informazioni che acquisisce durante la sua attività.
Se dunque, si vuole lasciare inalterato il vincolo del capitale sociale minimo è indispensabile introdurre come minimo un vincolo inviolabile all’esercizio da parte dell’Indenty Provider di qualsiasi attività che lo possa porre in concorrenza con i fornitori di servizi.
Altrimenti l’unica soluzione è che l’identificazione degli utenti la faccia esclusivamente lo Stato di modo che si abbia la garanzia di una concorrenza non falsabile sui servizi digitali.
Se Assoprovider si è determinata, non senza sofferenza, ad un gesto cosi estremo come il ricorso al TAR Lazio, i cui segnali peraltro erano stati portati da tempo all’attenzione dell’opinione pubblica e dei decisori, è perché crede fortemente nell’Agenda digitale e nella modernizzazione del Paese e perché ritiene che l’assenza di una consultazione pubblica preventiva ha tolto la possibilità di valutare le implicazioni indotte dalla creazione di un “mercato protetto” e delle sue conseguenze sui soggetti che ne vengono esclusi e in ultima istanza come questo possa compromettere il successo di tale importante iniziativa.
Chiediamo con forza ai decisori lo stesso senso di Responsabilità verso i cittadini e le imprese.