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Ospedali a Roma, in nove anni 2.191 posti letto in meno

Taglio del 13,6%. In Italia 70mila in meno tra il 2011 e il 2019. Il confronto Ue

Gli ospedali a Roma sono al collasso, sembra impensabile dopo la “lezione” impartita dal Covid-19 ma purtroppo è cosi. Le notizie che arrivano dal San Camillo di Roma, il terzo ospedale della Capitale per numero di posti letto, non lasciano dubbi: nella giornata di lunedì 9 maggio oltre 100 pazienti sono rimasti ammassati sulle barelle nel pronto soccorso per più di 24ore. E sono stati fortunati: per tanti altri l’attesa per un posto letto in ospedale è stata molto più lunga. Ma qual è il problema? Mancano i posti letto? Partiamo dai numeri: nell’infografica sopra i posti letto a carico del Servizio Sanitario Nazionale in ciascuna struttura ospedaliera di Roma Capitale per le specialità acuti, riabilitazione e lungodegenza. Al primo posto il Policlinico Gemelli con 1.548, subito dopo troviamo il Policlinico Umberto I con 1.244 posti letto.

Negli ospedali a Roma l’attesa dura anche quattro giorni

In questi giorni c’è chi, prima di essere ricoverato in uno degli 868 posti disponibili al San Camillo, di ore al pronto soccorso ne ha aspettate anche novantasei, ovvero quattro giorni passati sulla portantina nei corridoi e negli stanzoni del triage insieme agli altri malcapitati, in barba al distanziamento. Al San Camillo tutti gli angoli del pronto soccorso sono sfruttati per sistemare le lettighe tra la fiumana di “codici verdi”, i parenti e il personale sanitario allo stremo delle forze, con buona pace per la “fine dell’emergenza”.

Ospedali a Roma in tilt, i pazienti sistemati nei magazzini

Per sistemare le lettighe non vengono risparmiati nemmeno i locali adibiti a magazzino e i disimpegni che danno l’accesso ai bagni. Questa situazione si ripete ogni lunedì perché durante il weekend ci sono meno dimissioni. Ma il problema non è il fine settimana ma la politica di progressivo depotenziamento dei nosocomi, prendiamo il caso degli ospedali a Roma: come potete vedere dall’infografica qui sopra la disponibilità di posti letto nel territorio di Roma Capitale dal 2010 al 2019 (ultimi dati disponibili) è diminuita del -13,6% passando da 16.111 a 13.920. Quindi, per rispondere alla domanda se è un problema di posti letto, la risposta è sì: negli ospedali a Roma servono più letti.

Posti letto, il calo è vertiginoso: 80mila in meno dal 2000

Il trend del calo dei posti letto riguarda tutto il territorio nazionale: dal 2007 al 2019 la diminuzione negli ospedali italiani è stata del -26,78% ovvero da 259.476 posti letto a 190mila: circa 70mila in meno. Un calo che riguarda tutti i comparti: degenza ordinaria, day hospital e day surgery. E se si confronta il dato con l’anno 2000 il calo è ancora più massiccio: nel 2000 in degenza ordinaria c’erano ben 272mila posti letto, addirittura 80 mila in più rispetto al 2019. Inutile dare colpa al weekend, se non si trova un posto letto è perché non ci sono.

Svezia e Norvegia non danno il buon esempio: ultime in Europa

E in Europa la situazione non è migliore nemmeno nei tanti decantati paradisi del welfare, la progressiva riduzione dei posti letto in ospedale riguarda infatti tutti i Paesi europei, Danimarca e Svezia incluse, addirittura Stoccolma è ultima in Europa per posti letto negli ospedali con appena 213,79 posti ogni 100mila abitanti. Come mostra l’infografica qui sotto i paesi scandinavi sono quelli che negli ultimi otto anni hanno tagliato il maggior numero di posti letto negli ospedali.

Anche l’Italia in fondo: solo 314 posti letto per 100mila abitanti

Tra questi peggio di tutti ha fatto la Finlandia con 224,2 posti in meno ogni 100mila abitanti dal 2010 al 2018. Ecco, se volevamo che l’Italia copiasse qualcosa dai Paesi dove si vive meglio lo ha fatto, in questo quadro desolante l’Italia si trova in fondo alla classifica per disponibilità di letti in ospedale con 314 posti letto per 100mila abitanti. Seguita solo da Irlanda, Spagna, Regno Unito, Danimarca e Svezia.

I dati si riferiscono al: 2000-2019
Ultimo aggiornamento maggio 2022
Fonte: Eurostat – Ministero della Salute

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