L’Ing. Barbara Masini, prima ricercatrice del CNR, è co-fondatrice e co-direttrice del WiLab, il Laboratorio Nazionale di comunicazioni wireless del CNIT*. La rubrica ospita oggi un suo contributo sui veicoli connessi.
Che ci piaccia o no, il prossimo veicolo che acquisteremo sarà connesso, in grado, cioè, di scambiare informazioni in tempo reale con la rete grazie a comunicazioni 4G o 5G (ad esempio per trasmettere/ricevere informazioni sul traffico o sui punti di interesse); inoltre, in un futuro non troppo lontano, il nostro veicolo comunicherà anche con altri veicoli o altri attori della strada (come pedoni, biciclette, motori) attraverso quella che viene chiamata comunicazione vehicle-to-everything (V2X), resa possibile da tecnologie dedicate al mondo veicolare, come il Wi-Fi per la mobilità (noto come ITS-G5 nella versione Europa o IEEE 802.11p nella versione americana), il 4G-V2X o il 5G-V2X, versioni riviste dei relativi standard legacy per poter funzionare in un ambiente altamente dinamico, come quello veicolare appunto.
Ma cosa è un veicolo connesso?
Ma a cosa serve un veicolo connesso? Lo scambio di informazioni tra i veicoli e il contesto in cui si muovono renderà la guida più sicura ed efficiente: i veicoli potranno scambiarsi continuamente (diciamo circa ogni 100 ms) informazioni relative al proprio stato (dove mi trovo, in che direzione mi muovo, a che velocità mi sposto), diventando consapevoli di chi c’è nei dintorni. Numerosi studi dimostrano che se tutti i veicoli fossero connessi, il numero di incidenti su strada si ridurrebbe di oltre l’85%, una percentuale elevatissima, se pensiamo che le tecnologie sopra citate sono già disponibili e basterebbe integrarle a bordo (ma questa è una questione politica più che tecnologica…). Tuttavia, i futuri veicoli non saranno soltanto connessi, ma avranno anche un livello di autonomia crescente, saranno, cioè, in grado di muoversi sempre più autonomamente grazie a sensori avanzati come radar, lidar e telecamere. Sulle nostre strade viaggiano già veicoli con un livello di autonomia 2, in grado, cioè, di operare una frenata di emergenza, rilevare ostacoli vicini, mantenere la corsia (si consideri che il massimo livello di autonomia è 5, corrispondente ad un veicolo completamente autonomo, senza volante). La comunicazione V2X dovrà essere in grado di trasmettere anche le informazioni acquisite da questi sensori di bordo e, per farlo, necessiterà di capacità e requisiti ben maggiori di quelli forniti dalle attuali tecnologie.
Serve il 6G per una mobilità rivoluzionaria
Per questo servirà il 6G che, con una latenza dell’ordine del ms, data rate fino al Tb/s e bande di centinaia di MHz o addirittura dell’ordine del GHz, garantirà non solo lo scambio di informazioni relative allo stato attuale di un veicolo, ma anche la condivisione affidabile e in tempo reale del contesto acquisito dai sensori di bordo, nonché delle intenzioni (sto per svoltare a sinistra al prossimo incrocio) così che ciascun veicolo abbia una visione molto più estesa di quella relativa al solo raggio di copertura del proprio equipaggiamento e possa avere contezza di quanto sta per succedere nell’immediato futuro (il veicolo davanti a me sta per svoltare a sinistra), prendendo le opportune decisioni per un comportamento ottimale (mi sposto preventivamente a destra) e rendendo la mobilità davvero efficiente e sicura. Già con il 5G-V2X è possibile sostenere scenari avanzati di mobilità, come la guida cooperativa o il platooning, ma sarà il 6G la vera rivoluzione.
Infatti, grazie alle nuove frequenze in gioco e alle grandi larghezze di banda, oltre alla comunicazione, potrà offrire gratuitamente funzioni di sensing, cioè di radar, individuando la presenza di altri attori o di ostacoli “semplicemente” sfruttando il segnale usato per la comunicazione, con algoritmi di Integrated Communications And Sensing (ICAS) appositamente applicati al veicolare. L’ICAS viene di solito pensato alla stazione radio base, dove il radar è statico, ma, se pensato a bordo veicolo, può costantemente rilevare il contesto a supporto della comunicazione e degli altri sensori di bordo.
A cosa serve l’ICAS nel veicolare?
Ma a cosa serve fare ICAS nel veicolare se ci sono già sensori radar a bordo? Per prima cosa bisogna ricordare che l’ICAS è una potenzialità gratuita offerta dalla comunicazione, poiché sfrutta l’hardware, lo spettro di frequenze e il segnale già utilizzati per la comunicazione senza aggiunta di costi, risorse né di nuove installazioni. In secondo luogo, i sensori radar disponibili oggi per il settore automotive non seguono uno standard come invece fa la comunicazione; ogni costruttore propone la propria soluzione non interoperabile con le altre (solo a titolo di esempio, esistono radar automotive a 5GHz, a 24 GHz e a 77GHz, ognuno con il proprio algoritmo di rilevamento). Il 6G, invece, potrà fornire, in forma nativa e standardizzata, radar e comunicazione, garantendo un’efficace diffusione del sistema.
Sfide aperte
Diverse sono ancora le sfide da affrontare: solo per citarne alcune, occorrono nuovi algoritmi di allocazione delle risorse che garantiscano la condivisione e la flessibilità necessaria tra comunicazione e sensing. Va minimizzata o possibilmente cancellata l’interferenza e occorre studiare nuovi algoritmi di elaborazione distribuita di crescenti moli di dati. Ma non è poi così lontano (2035?) il momento in cui i veicoli potranno, grazie all’ICAS, costruirsi il gemello digitale dello scenario reale che li circonda e rivoluzionare la mobilità.
* Il CNIT (Consorzio Nazionale Interuniversitario per le Telecomunicazioni) è un ente non-profit riconosciuto dal MUR, che svolge attività di ricerca, innovazione e formazione avanzata nel settore dell’ICT.