Il dibattito sul consolidamento del mercato mobile francese, dove sono in corso trattative in vista della fusione tra Orange e Bouygues Telecom, si riverbera su tutta l’Europa.
La fusione tra le due società ridurrebbe il numero di operatori da 4 a 3. Una mossa logica dal punto di vista delle telco, i cui ricavi sono stati drenati dall’arrivo degli OTT e dalla feroce concorrenza sui prezzi.
Se però eliminare un concorrente ha senso dal punto vi vista degli operatori, che unendo le forze potrebbero investire di più e fronteggiare l’avanzata degli OTT sul piano dei servizi, ne ha un po’ meno per i consumatori che hanno finora potuto godere di prezzi in costante calo.
Il cambiamento fa paura ai più e la Commissione europea sembra propensa a preservare lo status quo (ossia lasciare 4 operatori sui mercati nazionali così da mantenere alto il livello di concorrenzialità a vantaggio dei consumatori) piuttosto che favorire le fusioni. Ne è l’esempio la rigida posizione del commissario antitrust europeo, Margrethe Vestager, nei confronti del merger tra Telenor e TeliaSonera. Durezza che ha convinto le due società a non portare a termine la fusione.
E’ evidente, quindi, che l’esito delle trattative tra Orange e Bouygues avrà conseguenze sugli altri progetti in corso sui mercati nazionali: la fusione tra Wind e 3 Italia che, nel Regno Unito, quella tra O2 e 3 UK.
Ieri, nel suo consueto discorso di inizio anno, il presidente di France Telecom, Stephane Richard, ha spiegato però che l’accordo tra Orange e Bouygues sarà vagliato dall’antitrust francese e non dalla Ue.
Operazioni di questo tipo diventano di competenza europea solo se meno dei due terzi dei ricavi delle aziende coinvolte vengono generati sul loro mercato nazionale. E questo, secondo la tesi del Financial Times, non è il caso di Orange e Bouygues. Approvare o meno la fusione spetterà, dunque a Parigi e non a Bruxelles.
Il governo francese controlla il 23% di Orange e il ministro dell’economia Emmanuel Macron ha già spiegato di non avere ‘dogmi’ sul mantenimento di 4 operatori, a patto che qualsiasi operazione non metta a rischio l’occupazione.
In ogni caso, per poter completare la fusione, è probabile che la nuova società debba cedere parte dello spettro e altri asset: per anticipare le possibili rimostranze delle autorità antitrust, allo studio ci sarebbe infatti il coinvolgimento dei diretti concorrenti Free e SFR. Il gruppo di Xavier Niel potrebbe acquisire parte delle frequenze di Bouygues Telecom e, secondo alcune fonti citate dal quotidiano Le Figaro, anche una parte del personale dedicato alla rete.
Lo scorso giugno, a mettere sul piatto 10 miliardi di euro per Bouygues era stato il patron di SFR, Patrick Drahi, ma il Governo non si era mostrato troppo propenso alla concentrazione: oltre al rischio della perdita di un numero eccessivo di posti di lavoro c’era in ballo, all’epoca, anche l’asta delle frequenze 4G, e un operatore in meno avrebbe voluto dire meno introiti per lo Stato, che invece ha chiuso mettendo in cassa 2,8 miliardi.
Per placare la guerra dei prezzi, quindi, non resta altro – per Richard – che portare a termine lui stesso l’accordo con Bouygues. Se, però, il prezzo giusto sarà quello di 10 miliardi, vorrà dire che Orange pagherà Bouygues più di 13 volte l’Ebitda stimato per il 2015.
Forse un po’ troppo?
Secondo il FT, “una tregua nella guerra dei prezzi avrebbe benefici migliori sul lungo periodo”.
Ha senso, inoltre, sostenere la tesi secondo cui il ritorno a tre operatori incoraggerebbe gli investimenti? Forse si, ma è anche vero che poi gli operatori avrebbero anche la scusa di aumentare i prezzi dei loro servizi.
E’ vero anche che non ci sono molte prove a sostegno di una o dell’altra tesi. Secondo la società di consulenza Compass Lexecon, la fusione tra Hutchison Austria e Orange Austria nel 2012 ha effettivamente portato un aumento degli investimenti e un calo dei prezzi. Di segno opposto i dati di Bruxelles, secondo i quali come conseguenza della fusione tra Orange Netherlands e T-Mobile, nel 2007, i prezzi nei Paesi Bassi sono cresciuti del 10-15%.
Quanto poi alla possibilità che in seguito alla finalizzazione dell’operazione, la nuova Orange possa puntare sull’Italia, o meglio su Telecom Italia (che oggi ha presentato il nuovo brand TIM), arriva una precisazione dal presidente di Telecom Italia, Giuseppe Recchi, che si dice ‘stupito’ dalle speculazioni in tal senso.
”Noi -ha affermato Recchi a margine della presentazione del nuovo marchio di Tim- siamo concentrati sul nostro piano industriale. Tutto il resto sono invenzioni”.