Open Fiber? Un’azienda in preda a fiamme indomabili
Open Fiber, capitanata con ineffabile noncuranza da Mario Rossetti, è ormai come una casa che brucia, avvolta da fiamme che nessun pompiere sa come domare o spegnere, mentre il suo capitano va in giro per l’Italia. Tra comparsate a convegni e varie interviste, tutte fondate su due visioni prive di fondamento: quella di una accelerazione dei lavori di Open Fiber, ampiamente smentita dai semplici numeri ufficiali e quella di fantomatici servizi digitali del futuro, che mai potranno esistere senza una rete degna di questo nome, un futuro digitalmente povero a qui l’Italia rischia di essere condannata.
Intanto il debito cresce a dismisura
E così, mentre la casa brucia, con essa brucia anche la “cassa”. Il debito di Open Fiber alla fine del 2022 ha raggiunto la cifra monstre di 4,6 miliardi di euro e, secondo le previsioni, l’azienda chiuderà l’anno in corso con un debito che raggiungerà i 6 miliardi di euro. Se calcoliamo il debito attuale su EBITDA, si arriva quindi ad una leva di più di 25 volte. Sicuramente l’azienda incenerirà tra i 300 e 400 milioni di euro di interessi da pagare alle banche che la stanno rincorrendo, una cifra che porta i conti dell’azienda perennemente in rosso visto il livello molto basso dei suoi ricavi. Le perdite, alla fine del 2022, sono state infatti pari a 162 milioni di euro, che si vanno a sommare alle perdite alla fine del 2021 pari a circa 210 milioni di euro.
E ora anche Macquarie in allarme
Per l‘azienda diventa sempre più urgente una ricapitalizzazione che Mario Rossetti sta disperatamente elemosinando con ripetute richieste ai soci, per ripianare i danni della sua gestione. Cassa Depositi e Prestiti (CDP) e Macquarie dovranno pertanto mettere mano al portafoglio. Ma c’è una novità. Macquarie vuole vederci chiaro ed inizia ad avere seri dubbi sull’attuale operato del management dell’azienda ed in particolare del suo AD che, come tutti sappiamo, Macquarie non avrebbe voluto alla guida dell’azienda, immaginiamo avendolo visto all’opera durante la due diligence come CFO. Ciononostante, l’AD di Open Fiber continua invece ad essere incomprensibilmente sostenuto da Dario Scannapieco, che sembra essere l’unico a credere ancora ai numeri e alle circostanze che Mario Rossetti rappresenta.
Il numero di Unità immobiliari connesse? In stallo!
Open Fiber dichiara infatti 15,5 milioni di unità immobiliari coperte, ma si scopre che, ben che vada, il servizio è attivabile solo su 10,7 milioni di unità immobiliari. Per quanto riguarda le famose Aree bianche, Open Fiber avrebbe dovuto realizzare 6,4 milioni di unità immobiliari, con servizio attivabile entro il prossimo giugno. Ad oggi Infratel dichiara che queste sono solo circa 2,4 milioni. Appare del tutto evidente come risulti impossibile realizzarne 4 milioni in 3 mesi. La situazione non va meglio nelle Aree grigie (soldi del PNRR), dove Open Fiber nonostante le roboanti dichiarazioni è già in ritardo sulle milestone previste e non ha ancora terminato quella progettazione senza la quale non possono neanche iniziare i lavori.
E ora qualcuno pensa agli aiuti di Stato, tanto paga Pantalone
Ecco che allora spunta l’ennesima idea geniale del magnifico duo al vertice di Open Fiber, Barbara Marinali e Mario Rossetti. Fare appello a Pantalone. Chiedere nuovi aiuti di Stato al Governo, senza aver compreso che questi aiuti di Stato potranno scatenare (in modo del tutto giustificato) le ire dell’Antitrust europeo nella valutazione del progetto di “rete nazionale”, quando e se questo dovesse essere mai notificato a Bruxelles, rendendo definitivamente non praticabile l’offerta presentata dal consorzio CDP/Macquarie.
Ecco le richieste di aiuti di Stato di Open Fiber
1) Bandi PNRR: utilizzo dei risparmi di gara per coprire gli extra costi
Open Fiber chiede al Governo di destinare ai soggetti aggiudicatari dei bandi PNRR (cioè a sé stessa) gli avanzi di gara per far fronte ai maggiori oneri derivanti dall’incremento dei prezzi (extra costi). Questa misura avrebbe un costo per lo Stato di circa 1,2 miliardi di euro. Non si capiscono francamente le motivazioni degli extra costi da parte di Open Fiber. Se dovessero venire restituiti pro-quota i risparmi è come se venissero assegnate le gare ai vincitori senza lo sconto dell’offerta, e questo aprirebbe certamente le porte ai ricorsi da parte di chi aveva deciso di non partecipare alle gare.
Open Fiber al momento della risposta ai bandi di gara aveva peraltro piena visibilità dei costi e dell’inflazione, anzi in quel momento l’inflazione era più alta di quella attuale. Quindi non si ravvede motivo alcuno per il quale lo Stato si debba far carico di un fantomatico aumento dei costi per l’imperizia dell’amministratore delegato Mario Rossetti, aumento che peraltro rientra nel rischio di tutte le imprese che partecipano alle gare e come previsto dalle Convenzioni sottoscritte.
2) Switch Off obbligatorio del rame entro il 2031
Open Fiber chiede al Governo, e lo fa anche tramite i giornali, di garantire il completamento obbligatorio dello switch-off del rame entro il 2031 con una misura legislativa nazionale ad hoc.
La misura dovrebbe essere incentivata addirittura attraverso dei voucher che porterebbero molti soldi e che sono presentati come soluzione per completare la rete per cui l’azienda ha già peraltro preso soldi pubblici.
Il costo stimato per lo Stato sarebbe di circa 2 miliardi di euro.
Evidentemente solo il top management di Open Fiber non ha chiaro che per le regole europee non si possono dare aiuti pubblici per lo switch-off. Sarebbero aiuti di Stato illegittimi.
Se si fa un benchmark si scopre che nessun Paese europeo ha una normativa ad hoc nazionale per lo switch-off o ha mai inteso promuoverla.
E poi nessuno capisce perché sia necessario fare lo switch-off nel 2031 quando tutto il paese deve essere coperto con la fibra entro il 2026.
Tante parole invece di scavare e posar fibra
Open Fiber continua ad occuparsi di tutto fuorché di quello di cui si deve occupare: cioè fare gli scavi nelle Aree bianche e grigie, rispettando i piani ed i tempi previsti dalle Convenzioni.
Le modalità di switch-off in Italia sono stabilite da AGCOM. Qualsiasi normativa nazionale che detti al regolatore come fare lo switch-off non sarebbe accettata da Bruxelles perché mina l’indipendenza dell’Autorità.
Gli operatori sono ben consapevoli del fatto che, nel momento in cui un’area è coperta in FTTH, i clienti migrano autonomamente verso tale soluzione.
Prova ne è il fenomeno delle Aree nere.
Commento finale
È grave che una azienda a controllo pubblico, come Open Fiber, non si renda conto che chiedere aiuti di Stato e interventi che sono palesemente in contrasto con la normativa europea e certamente non allineati a quella italiana servirebbe solo a mettere il Governo Meloni in enorme difficoltà, facendogli fare una pessima figura anche a Bruxelles.