Continuano a valanga le segnalazioni di sindaci, imprese e semplici cittadini che si lamentano per il fatto di non avere disponibilità della fibra del Progetto BUL, nonostante il loro indirizzo risulti attivabile con fibra. Non riescono ad avere il servizio o se lo hanno, la connessione a loro offerta è molto scadente. Cerchiamo allora di fare un po’ di chiarezza su una questione molto delicata di cui Infratel, da una parte, ed il nuovo governo che scaturirà dalle urne del 25 settembre, dall’altra, dovranno occuparsi con urgenza non solo per rimettere ordine, ma anche per valutare i danni creati.
FTTH nelle aree rurali
Come tutti sappiamo nelle aree rurali del paese Open Fiber si è aggiudicata, a seguito di due gare pubbliche, la realizzazione della infrastruttura FTTH. A fronte della concessione assegnata, Open Fiber si è impegnata a portare la fibra ad ogni abitazione indicata da Infratel (braccio operativo del MiSE). In sostanza ogni abitazione deve avere un collegamento in fibra che va dalla casa stessa fino ad un cosiddetto PCN, cioè una centrale di concentrazione di tutte le linee. Questa centrale deve poi, a sua volta, essere collegata con fibra ottica alla rete nazionale di Open Fiber, così da garantire la possibilità che si possano raggiungere tutte le reti nazionali degli altri operatori ed in generale, con salti successivi, tutte le reti del mondo. Cioè la cosiddetta Big internet.
Dati alla mano e forniti dal MISE stesso, sappiamo che le abitazioni (indicate come “Unità Immobiliari”) dove il servizio è dichiarato attivabile da Open Fiber sono ad oggi poco più di 2 milioni (ricordiamo, ancora una volta, che dovranno essere 6,3 milioni a giugno 2023, ovvero tra appena 10 mesi). Ebbene, di questi 2 milioni di “unità immobiliari”, circa 250 mila hanno la fibra che si ferma alla centrale. Cosa vuol dire? Vuol dire che non esiste il collegamento verso le reti nazionali e verso il resto del mondo. In sostanza non sono utilizzabili. Open Fiber stessa le dichiara senza backhauling (cioè senza il collegamento verso le reti nazionali) ai propri operatori (OLO) clienti (Vodafone, WindTre ecc.).
Ma non finisce qui
Altre 500 mila linee hanno il collegamento tra centrale e rete nazionale solo con ponti radio o capacità affittata ed hanno prestazioni notevolmente inferiori alla fibra proprietaria. Avete capito bene. Molti cittadini italiani sono convinti di avere la fibra e invece la “loro” fibra arriva solo fino alla centrale del paese. Dalla centrale all’abitazione c’è un collo di bottiglia. Di conseguenza il servizio è scadente e soggetto a congestione nelle ore di punta. Una bella beffa. Per fare un esempio, è come entrare in autostrada e pagare per un tragitto di 300 km, ma dopo i primi 10 km percorsi a 130 Km/h si è costretti ad uscire e si fanno 290 km di strada statale a 70 Km/h. Quindi su 2 milioni di linee dichiarate come “attivabili”, ve ne sono almeno 750 mila che hanno questo problema, un problema che riguarda quindi il 37,5% dell’offerta. Una percentuale negativa che è un record di per sé.
Ma perché tutto questo?
Semplice, Open Fiber ha escogitato questi artifizi (che diplomaticamente definiamo tali) per poter dichiarare che sono state rese attivabili un numero maggiore di unità immobiliari, quando in realtà queste due tipologie sono nella sostanza non attivabili e se attivabili non lo sono in fibra pura come si vuol far intendere.
E allora viene da chiedersi se Infratel sia al corrente di questa situazione. La domanda è sostanzialmente retorica ed è seguita da quella di rito e relativa al modo in cui Infratel intenda intervenire. Perché Infratel ha il dovere di controllare e di intervenire.
E quanto si dovrà ancora attendere prima che Cassa Depositi Prestiti (CDP) ammetta che l’attuale management di Open Fiber si è rivelato non in grado di portare a termine e nei tempi previsti il compito che paradossalmente questo stesso management si era dato e ha sbandierato ai quattro venti? Ad agosto è ormai un anno da quando la gestione operativa è stata affidata all’AD di Open Fiber Mario Rossetti. Qualcuno dovrà pur assumersi la responsabilità di questo fallimento sempre più difficile da giustificare.
E per concludere è ancor più lecito chiedersi come CDP insista nel voler affidare la partita della rete unica ad una società che non è in condizione di mantener fede ai pur limitati (rispetto all’operazione monstre della “rete unica”) impegni già assunti.
Ancora una volta da CDP non si sente battere alcun colpo, ma attendiamo con fiducia che qualcuno decida di fermarsi e riflettere sulle direzioni giuste da assumere.