L’Europa non ha ancora raggiunto il suo massimo potenziale, infatti il tasso di maturità complessivo degli open data è pari al 65%. È quanto emerge come primissimo dato dalla nuova edizione del Report “Open Data Maturity in Europe Report 2018: New horizons for Open Data driven transformation”, documento che analizza lo stato dell’arte degli open data in Europa.
Lo studio, commissionato a Capgemini dalla Commissione europea nell’ambito dell’European Data Portal, mette in luce da un lato “la discontinuità con cui i paesi europei stanno abbracciando la trasformazione guidata dagli open data” e dall’altro “le diverse scale di priorità che ognuno di loro ha identificato per implementarla”.
Quattro le variabili prese in esame dal Report: policy, maturità dei portali, impatto e qualità dei dati.
La valutazione delle quattro variabili, si legge in una nota stampa, aiuta a mettere in luce una certa disparità tra le varie aree, “per cui sono necessarie azioni supplementari per far sì che i paesi proseguano verso gli obiettivi fissati a livello europeo”.
In termini di maturità, la graduatoria delle variabili è la seguente: policy (82%), portali (63%), qualità dei dati (62%), impatto (50%)
Un tasso complessivo di maturità della policy dell’82%, raggiunto dai ventotto Stati Membri dell’Ue, è indice dello sviluppo di “una solida base in termini di obiettivi strategici per gli open data”.
Il gruppo di testa dei Paesi dell’Unione europea (Ue) con un più elevato livello di maturità open data sono: Irlanda (88%), Spagna (87%), Francia (83%) e Italia (80%), contro una media Ue del 65%. Si tratta del gruppo dei cosiddetti “trend setter”, tutti gli altri Paesi europei vanno a comporre i gruppi “fast trackers”, “followers” e “beginners”.
“Italy state of play on open data 2018”
Per quanto riguarda le quattro variabili considerate, l’Italia ha ottenuto un punteggio totale in termini di “policy” pari al 96% (contro l’82% della media europea), un “impatto” pari al 73% (50% media europea), “maturità dei portali” pari al 70% (63% media europea) e “qualità” pari al 80% (62% media europea).
Lo studio evidenzia inoltre quelle che sono a tutti gli effetti delle “barriere” alla pubblicazione e al riuso degli open data nel nostro Paese, tra cui: mancanza di risorse per sviluppare un programma nazionale e mancanza di politiche esplicite sulla condivisione degli open data; scarsa consapevolezza a livello decisionale/politico verso i dati aperti; dubbi sulla protezione dei dati e sulla riservatezza; mancanza di una figura riconosciuta di data manager; documentazione, qualità dei dati e automazione del tutto insufficienti.
In aggiunta, il Report indica ulteriori cause di blocco che se superate potrebbero favorire un’ulteriore evoluzione positiva per gli open data in Italia, come il mancato riconoscimento del valore degli asset informativi, un’insufficiente condivisione delle conoscenze; scarsità di esempi di riutilizzo e diffusa difficoltà di comprensione del potenziale degli open data.
Il documento si conclude sottolineando la “necessità di un’azione più strategica per consentire progressi più rapidi a livello nazionale” e “l’urgenza di sviluppare una consapevolezza strategica sul riutilizzo e l’impatto degli open data”.
Investire in soluzioni tecnologiche utili allo sviluppo della cultura open data è fondamentale per le amministrazioni pubbliche di ogni ordine e grado e ovviamente anche per il tessuto produttivo ed imprenditoriale locale che guarda con fiducia crescente alla cosiddetta “data driven transformation” e alla “data driven economy”.
Gli open data sono garanzia di trasparenza e allo stesso tempo uno strumento di massima rilevanza per la crescita economia del territorio.
Il problema è che nonostante il buon risultato dell’Italia a livello di Pubblica Amministrazione centrale, probabilmente il dato a livello di PA locale è nettamente peggiore.
Lo studio suggerisce che oltre alla possibilità di pubblicare i dati e renderli a tutti accessibili (cosa che accade in maniera limitata a livello comunale), poi bisogna anche saper utilizzare questi dati, in ottica democratica e di massimo impatto sul territorio (usare i dati per far crescere servizi, avvicinare i cittadini ella PA e sviluppare l’economia locale), che a sua volta richiede in generale un livello di competenze più alto (data specialist).