Gran caldo in Cina e India, ce la faranno le rinnovabili?
Oggi a Pechino si sono superati i 40°C, esattamente come accaduto ieri e come accadrà per altri giorni ancora, forse fino alla fine del mese. La Cina è sotto una pesante ondata di calore, ma anche l’India Nordoccidentale e settentrionale non scherza, con diverse aree del Paese che da giorni vedono il termometro salire sopra i 45°C.
Tutto questo, oltre che un rischio elevatissimo per la salute umana e di ogni altra forma di vita, si traduce in un incremento sensibile della domanda di energia, soprattutto per il raffrescamento degli ambienti, sia domestici, sia commerciali, sia lavorativi.
Per questo, secondo stime Rystad Energy, riportate in un articolo pubblicato dalla Reuters, sarà fondamentale vedere che ruolo avranno le fonti energetiche rinnovabili nelle strategie di ogni singolo Paese nel soddisfare l’aumento dei consumi energetici interni.
Oltre che Cina e India, anche Pakistan, Bangladesh e Malesia hanno subito interruzioni nella fornitura di elettricità in diversi distretti.
In Vietnam, ad esempio, il caldo estremo ha fatto schizzare verso l’alto la domanda di energia elettrica, con conseguenti blackout. Secondo quanto riportato dall’articolo, i motivi sarebbero diversi: a causa della scarsità di piogge e dell’eccessivo prelievo di acqua, è mancato l’apporto dell’idroelettrico; gli impianti fotovoltaici sono stati costruiti troppo lontano da dove l’energia viene consumata in maniera più intensa; le reti non sono state in grado né di integrare la generazione rinnovabile, né di gestire i picchi della domanda.
Crescono le rinnovabili in Asia, ma le infrastrutture mancano
La capacità installata degli impianti di fonti energetiche rinnovabili à aumentata in tutta l’Asia del 12% durante il 2022, uno dei tassi di crescita più alti al mondo secondo stime dell’Agenzia internazionale dell’energia (IEA).
La quota di rinnovabili, idroelettrico compreso, nel mix energetico del continente è vista raddoppiare entro la fine del 2023 rispetto ai livelli di dieci anni fa, al 28% circa, secondo stime Wood Mackenzie.
Sole e vento nel 2011 valevano l’1% del mix energetico asiatico, alla fine di quest’anno potrebbero arrivare al 14%.
Il problema è che le rinnovabili, per natura, non sono in grado di fornire energia elettrica in maniera costante. Non sempre c’è il sole, non sempre tira vento e come abbiamo visto anche in Italia, se piove meno o in maniera irregolare anche l’idroelettrico viene a mancare.
Un problema che chiama in causa da un lato la mancanza di un’infrastruttura di rete moderna e digitalizzata, dall’altra una visione strategica delle rinnovabili, che appare vulnerabile dal punto di vista dell’allocazione delle risorse, soprattutto in un’epoca di cambiamenti climatici e fenomeni estremi.
Servono 2 trilioni di dollari per ammodernare e digitalizzare le reti energetiche in Asia e nel frattempo si incentivano i combustibili fossili
Sempre secondo Mackenzie, per ammodernare la rete energetica dei Paesi asiatici, dalla trasmissione alla distribuzione, serviranno complessivamente altri 2 trilioni di dollari entro i prossimi dieci anni.
Per far decollare davvero le rinnovabili serviranno quindi più investimenti, ma questi arriveranno solo se il fotovoltaico, l’eolico, l’idroelettrico di nuova concezione e altre fonti pulite sapranno superare le sfide più grandi, tra cui le anomalie climatiche di oggi e quelle attese nei prossimi anni.
Secondo l’analisi di Rystad Energy, questo è il momento giusto per incentivare la produzione di energia da centrali termiche a schema flessibile. Cioè, quando le rinnovabili non ce la fanno, le centrali a gas (e purtroppo anche a carbone) dovranno supportare la rete nel superamento dei cali di tensione.
Al contrario, se questo non avverrà, saranno paradossalmente le fonti rinnovabili a pagare il prezzo più caro, con una riduzione progressiva della spesa e un’adozione più lenta.