#Odiens è una rubrica a cura di Stefano Balassone, autore e produttore televisivo, già consigliere di amministrazione Rai dal 1998 al 2002, in collaborazione con Europa.
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Pubblicato su Odiens, Europa il 31 ottobre 2014
Due Italie si giustappongono al giovedì sera: da un lato quella che, pur in questi tempi di magra per il genere, non rinuncia al talk show politico (ce ne sono addirittura due, Virus e Servizio Pubblico, con platee simili salvo una predisposizione delle signore più giovani per la scenografia e la conduzione meno “drammatiche” dell’ambiente Rai2); dall’altro quella che si raduna in capannelli di seguaci, manco fossero partite della Nazionale, per affratellarsi, puntata dopo puntata, ai protagonisti (giudici, nuovi talenti, star collaudate) di XFactor.
Due mondi, che non possiamo confrontare perché, disgraziatamente, Auditel non ci fornisce per i canali di Sky quella distinzione fra uomini e donne, giovani e anziani, ricchi e poveri, nordici e meridionali che è invece disponibile per i canali generalisti.
Peccato, perché essendoci sottoposti alla visione di XFactor abbiamo potuto constatare che il programma non difetta davvero di generalismo. In altri termini si rivolge a chiunque disponga di una decente cultura musicale e taglia fuori solo quelli come noi che sono fermi ai motivi e ai cantanti da ballo adolescenziale del mattone, in voga un paio di repubbliche or sono.
In ogni caso sospettiamo che molto del pubblico che manca ai talk politici del giovedì (che messi insieme arrivano a malapena al 10%, cioè a meno di quanto usasse rastrellare il solitario Santoro negli anni scorsi) sia andato a ingrossare le fila degli spettatori di Xfactor. È vero che secondo Auditel a seguirlo è, ancora ieri sera, poco più del 4% degli spettatori della tv, ma il programma si svolge su un canale della pay tv e questa arriva solo nelle famiglie, un quinto del totale, attrezzate di parabola e in regola con l’abbonamento (quello di Sky, non quello della Rai). Come a casa nostra, che infatti ogni giovedì subiamo il radunarsi di una folla chiassosa e musicalmente competente di amici di casa interessati – sospettiamo – più che al nostro affetto al funzionamento del nostro decoder (come ai primi tempi della tv in bianco e nero ci si recava a casa di chi l’aveva per seguire Lascia o raddoppia?).
Così la reale popolazione casalinga raddoppia e a volte triplica e così via l’ascolto, tutto a beneficio di Morgan, («in fondo ci sa fare»), di Victoria («ariecco il piantarello»), di Mika («carino»), di Fedez («fa il ricercato con le parole») che non è uno spedizioniere, ma un rapper (forse) tatuato (molto).
A proposito, la lingua del cantare è, prevalentemente, l’inglese, come al comitato Bilderberg o alla famigerata Trilaterale. Perché il programma è costruito sulla base dello show business internazionale ed è anche destinato a essere riproposto a pubblici dall’identica natura e cultura, ma sparsi in altri paesi del vasto mondo (anche da noi del resto i più appassionati intenditori possono, quando manca l’XFactor nostrano, sorbirsi beati l’XFactor UK e non sappiamo quante altre versioni “nazionali”).
L’“Internazionale futura umanità”, a proposito di canzoni, alla fine si è affermata, eccome.