Key4biz

#Odiens: talk show politici, meglio se fatti in casa

Talk Show italiani

#Odiens è una rubrica a cura di Stefano Balassone, autore e produttore televisivo, già consigliere di amministrazione Rai dal 1998 al 2002, in collaborazione con Europa.
Per consultare gli articoli precedenti, clicca qui.

Pubblicato in Odiens, Europa 19 settembre 2014

Molti devono ancora partire (Santoro, Paragone) ma è ormai diventato luogo comune affermare che il talk show politico è un genere in crisi. E anche noi insinuiamo da tempo che una certa debolezza degli ascolti, emersa proprio nel primo semestre di quest’anno dopo un autunno che invece aveva fatto faville, sia dovuta al cambio di passo subito dalla politica da quando gli italiani, che sono anche gli spettatori, hanno concesso a Renzi l’ampia delega del “purché faccia”.

Senonché l’esperienza insegna che con le cose della televisione si deve esser cauti a trinciare giudizi definitivi.

Certo, è vero che Renzi, da rottamatore patentato, ha tolto carburante alla chiave dell’anticasta che tanto facile share a tanti ha procurato; che il focus sulle sofferenze sociali provocate dalla crisi ha commutato, dagli e dagli, dalla “rivelazione” al tema di maniera; che l’alterco sempre verde fra filo e anti berlusconiani pare irrimediabilmente ingiallito.

Ma come mai Ballarò, regge bellamente alla condivisione della serata di Martedì col diMartedì (ma chi l’ha inventato questo titolo?) di La7?

E come mai un programma come L’Aria che tira inizia la stagione con risultati di ascolto che regolarmente e abbondantemente superano di circa mezzo punto di share quelli dell’anno passato? (Per merito essenziale, ma non solo, degli ultra cinquantacinquenni laureati e delle élite femminili).

Una risposta a queste domande non l’abbiamo, perché gli autori e i conduttori dei programmi in difficoltà sono scaltriti né più né meno che quelli dei talk show politici che se la stanno cavando. E anche i contenuti e i linguaggi non è che si differenzino granché tra gli uni e gli altri.

E allora ci accontentiamo di una constatazione oggettiva: i programmi che se la cavano sono quelli che provengono dalle factory interne della Rai (il direttore di Rai Tre figura addirittura fra gli autori di Ballarò) e di La7 (L’Aria che tira è nata e si produce del tutto all’interno, come anche, e solo, l’Otto e mezzo di Lilli Gruber, che, fino all’improvviso assentarsi della conduttrice, andava benino). Sicché ci sorge il sospetto che sia proprio il genere infotainment, in quanto “programma di macchina giornalistica” a mal prestarsi alla esternalizzazione produttiva. Perché solo restando all’interno quei programmi sono concepiti, sviluppati e curati dalla mano più interessata a vederli crescere sani e robusti (mentre non si dà la stessa necessità per programmi “meccanici”, come i game, o per quelli a la Crozza, dove la componente artistica è dominante).

Cose da tenere a mente in Rai, volendo discutere senza spropositi del cosa fare dentro e di cosa fare fuori. E cose che forse non sapeva Cairo quando ha incollato insieme una rete tutta di talk show, ma riducendo nel contempo al lumicino le capacità di pensiero editoriale e produttive dell’azienda che ha comprato. Che di sicuro ha trovato un Capo, ma è ancora in cerca di una Testa.

Exit mobile version