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#Odiens: Talk show politici, cambio di format nell’era Renzi

Stefano Balassone

Stefano Balassone

Parte oggi la nuova rubrica giornaliera #Odiens (tratta dal quotidiano Europa), una finestra critica sul mondo della televisione, a cura di Stefano Balassone, autore e produttore televisivo, già consigliere di amministrazione Rai dal 1998 al 2002.

I più giovani faranno fatica a crederlo, ma fino al 1987 chi si fosse presentato a un direttore Rai per suggerirgli di piazzare un programma di politica in prima serata sarebbe passato per pazzo.

Poi è arrivata la valanga di talk che sappiamo e che in varie forme, da Santoro a Funari, da Lerner a Vespa, da Costanzo alla Annunziata (a loro volta clonati da veri emuli) ha invaso i palinsesti e ha fatto quadrare i bilanci di un sistema televisivo obeso e affamato di programmi a basso costo.

Il risultato è stato, come sappiamo, che la politica italiana ha avuto il suo permanente, implacabile Processo del Lunedì, con disputanti tanto accaniti quanto scontati.

Una esplosione non casuale, perché quel format era l’ideale per la fase della ”egemonia della contrapposizione”, l’idea politica fondante del berlusconismo (e del suo contrario) fino a quando il famoso complotto dei poteri forti internazionali non ne ha preteso la dichiarazione di fallimento.

Con Renzi siamo per contro alla “egemonia della inclusione”, l’opposto del berlusconismo (e del suo contrario).

Gli ostacoli additati al pubblico non sono “gli altri”, ma i problemi.

E chi non dà una mano non è un nemico, ma uno sprovveduto o, tutt’al più, un gufo e un rosicone.

A questo punto il format del Processo del Lunedì si dissolve per mancanza di contendenti, anzi della contesa stessa, giacché non puoi appassionarti, e in effetti non ti appassioni più di tanto ai distinguo di Chiti e Minzolini circa la fondamentale differenza fra elezione di primo e di secondo grado.

E comunque, essendo passata la idea che i problemi sono nelle cose (Costituzione, Rappresentanza – legge elettorale, Rai, flex security – che non c’è, Giustizia etc.) piuttosto che nelle teste, è assai meno interessante spaccarle in tv per sbirciarvi la intrinseca malvagità e/o pochezza del destro, del sinistro e del centro mobile di turno.

In questi nuovi tempi è dunque inevitabile che l’armata dei talk show politici cerchi una propria rifondazione. L’impresa si presenta ardua e di certo costerà molte vittime fra autori e conduttori.

Ma va tentata.

Ieri sera ha esordito Millennium, titolo impegnativo, con una buona scenografia ed evidenti difficoltà di rodaggio nella regia, rese del resto inevitabili dalla conduzione a tre che comporta il “prego tocca a te” con le conseguenti pause di attesa (istanti, ma che nel tessuto dei programmi paiono squarci).

Il tono della conversazione con i cortesi ospiti è leggero, ma non fatuo né “di mondo”.

E qualche briciola di cattiveria in più non guasterebbe.

L’audience è stata costituita per metà di ultra sessantacinquenni, come quella che nel frattempo su La7 seguiva Mentana che seguiva lo streaming dei Renzi coi parlamentari del Pd.

Ma con una differenza: le donne sono state più numerose degli uomini nel pubblico di Millennium, mentre per Mentana, con Da Milano e Bechis, è accaduto esattamente il contrario.

E qui constatiamo (e non è neppure la prima volta pensando in particolare a Lilli Gruber) che la conduzione femminile costituisce, di per sé, un elemento che trattiene sul programma quote notevoli di pubblico dello stesso sesso.

Se poi, a colpi di share, dovessimo constatare che oltre a ciò, nell’era della politica “conversativa” le conduttrici donne sono più adatte al ruolo, allora nella tv, che ha natura opportunista, scatterà il dominio di Lisistrata, l’eroina antimaschilista di Aristofane, colmando la vecchia disparità di genere, anzi ribaltandola, e non per una sola estate.

Perché, come è ovvio, è il “di fuori” che cambia la tv, e non viceversa.

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