#Odiens è una rubrica a cura di Stefano Balassone, autore e produttore televisivo, già consigliere di amministrazione Rai dal 1998 al 2002, in collaborazione con Europa.
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Pubblicato su Odiens, Europa il 28 novembre 2014
Santoro, fungendo al solito da sigla umana ad AnnoUno, ha intonato “La marcia degli incazzati”, con la voce di Benigni che andava e veniva, a sottolineare i reciproci vaffa che promanano dal popolo in movimento non si sa verso dove e forse, anzi, andando ognuno a casaccio. Unico punto fermo la rabbia nei confronti dei “nemici vicini e lontani” (avrebbe flautato Nunzio Filogamo, per sapere del quale i più giovani possono ricorrere a Wikipedia).
L’occasione è stata offerta dalla astensione di protesta, anzi di incazzatura del popolo emiliano di destra, di centro e puranco, e abbondantemente, di sinistra.
O dovremmo anteporre ad ogni qualificazione un bell’ex?
Perché qui sta il punto: Santoro, non Benigni, definisce “incazzatura” la attitudine d’umore del popolo italiano.
E gli pare ormai una incazzatura a casaccio di un popolo che non sa trovare al proprio interno le liaison sulle quali tracciare una aggiornata mappa degli interessi e delle passioni.
Colpa della frantumazione delle ideologie?
Evidentemente no, perché semmai sono le idee, che sono somma di percezioni delle cose, che si sono frantumate quando le cose, cioè gli interessi, hanno cominciato a slegarsi.
E così siamo al punto che tutto vive con il suo contrario, come in un magma sempre pronto a esplodere: col bravo funzionario del partito emiliano posto a guardia di quel modello di welfare che continua sì ad assicurare benefici a qualcuno, ma nel frattempo sono diminuiti i soldi e variati i bisogni, sicché quello che un tempo si poneva come indispensabile missionario a molti appare oggi un disutile beneficiato di uno stipendificio (e qui sta la crisi delle Regioni); col bravo sindacalista, eroe del reparto e attento al controllo dei ritmi operativi (un tempo avremmo detto dello “sfruttamento”) che ci deve pur essere, ma spesso si ritrova a girare a vuoto e a sembrare di conseguenza un parassita quando la concorrenza internazionale impone come “oggettive” le priorità di qualità e rapidità che un tempo avremmo definito “padronali” (e qui sta la crisi del Sindacato).
La derivata di tutto questo trambusto è che oggi non possono, oggettivamente non possono, esistere “partiti”, neppure nella sinistra che li aveva inventati, ma solo “séguiti”, che sono torme che si staccano dalla marcia degli incazzati alla ricerca del bandolo che possa dare un senso al moto browniano degli individui smarriti e, dunque, incazzatissimi. (Per questo non riesce ad appassionare la querelle sull’essere Renzi di sinistra oppure no. Ma sbadigliamo anche quando lo dicono di sé Cuperlo e/o Fassina).
Ne fanno le spese perfino i watch dog (i cani da guardia) del giornalismo di matrice liberale, che instancabilmente controllano e denunciano.
Ieri sera il povero Travaglio è stato accusato, da un paio di feroci donzelle, di essere un imprenditore della incazzatura, che prendendosela volta a volta col governo di turno, scientemente accumula fortune misurabili in sonanti soldoni.
Ci veniva quasi voglia di entrare nello schermo e arrestare quel massacro.
E spiegare che se un cane da guardia abbaia contro gli intrusi, ma continua a farlo anche quando non è più così chiaro dove abitino i suoi protetti, finisce sì con l’essere più molesto che utile, ma non è giusto ritenerlo, per questo, un cane disonesto.
Fortuna che quella turpe scena è stata vista da pochi: il 3,28% di share.