Crisi dei talk

Odiens, i talk show non funzionano più

di Stefano Balassone |

I talk show fanno i conti con il pubblico in calo o con la riduzione del tempo che dedicano loro. L'unico fattore che fa la differenza finora è Renzi, che ha portato Quinta Colonna oltre il 6% lunedì sera.

#Odiens è una rubrica a cura di Stefano Balassone, autore e produttore televisivo, già consigliere di amministrazione Rai dal 1998 al 2002, in collaborazione con Europa.
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Pubblicato su Odiens, Europa l’8 ottobre 2014

Sabato scorso a Tv talk si discuteva se quella dei talk politici sia una crisi transitoria, una bassa marea, o un fenomeno strutturale. Da parte nostra ci è già capitato di convenire con i tanti che ipotizzano che alla base del fenomeno stia l’esaurimento del ventennale ciclo politico basato sulla “divergenza” (pro e contro Berlusconi etc etc), sostituito dalla renziana stagione della convergenza nel “purché si faccia”. Narrabilissimo il primo nella forma della disputa, che è del resto il cuore strutturale dello spettacolo di parola; privo di appigli dialettici il secondo e dunque meno mobilitante per gli spettatori.

La serata del martedì, con i dati della coppia Giannini-Formigli, sembrerebbe confermare l’idea di un allentamento generale del rapporto fra il talk show politico e il pubblico. E ne possiamo valutare le dimensioni rileggendo l’auditel a partire dall’esordio del 16 settembre (e osservando l’ora e mezza decisiva, dalle 21.30 alle 23, che convive col massimo di concorrenza da parte degli altri canali).

Siamo a quattro puntate e la somma degli spettatori dei due talk contrapposti raccoglie dapprima 3,6 milioni di spettatori medi, mezzo milione in più di quanti ne avesse radunati alla prima uscita il Ballarò del 2013. Evidentemente la curiosità era tanta, ma poi la situazione cambia perché Giannini e Floris cominciano a raccogliere sempre meno spettatori di quanti non ne facesse Ballarò da solo nell’anno precedente: -0,8 mln al secondo martedì; meno 1,8 mln al terzo; -1 mln proprio ieri. A conti fatti la platea si è ristretta di circa un terzo. E questa ormai ci sembra la misura, presa sul campo, della crisi di cui si sta parlando.

Insomma, qualsiasi cosa facciano, dicano o si inventino gli autori e i conduttori di questi programmi, appare diminuito il numero delle persone potenzialmente interessate oppure, che ai fini statistici è del tutto equivalente, si è contratto il tempo che ogni spettatore gli dedica.

Ci sono strade o eventi che possano far immaginare un ritorno delle antiche fiamme e dei più alti ascolti?

Chissà.

Per ora a giudicare dall’auditel l’unico fattore che effettivamente fa la differenza è Renzi, che lunedì, in studio a Quinta Colonna, ha spinto Del Debbio oltre il 6% di share, ben al di là delle dimensioni usuali. Penalizzando il contemporaneo Formigli che sta tentando da par suo la seconda, possibile strada, verso la risalita dello share: lo stato di guerra, oggi nel Medio Oriente, ma con radici che arrivano nei quartieri delle città europee.

Per ora il pubblico stenta a farsi coinvolgere (si sa del resto che gli esteri non tirano in tv).

Ma può essere che, smettendola di correre appresso ai nessi fra Islam e violenza (approccio Fallacian-pressapochista) e accorgendosi di fronteggiare – e di dovere inevitabilmente combattere-la versione barbuta del nazismo (che nacque in territorio cristianissimo, similmente ai califfi traendo energia dai conti lasciati in sospeso dalle guerre precedenti), allora forse risponderemo all’appello mobilitante dei talk, anzi dei tank show.

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