Se la notizia delle elezioni dei due membri del Consiglio di Amministrazione della Rai da parte del Senato è stata data intorno alle ore 18, intorno alle ore 23 la presidenza della Camera ha ufficializzato i risultati delle elezioni a Montecitorio: dei 4 consiglieri eletti, soltanto 1 è stato confermato rispetto al precedente consiglio, il leghista Igor De Biasio, gli altri 3 sono “new entries”.
Al di là dei numeri, emerge un elemento discretamente sorprendente: nessuno dei consiglieri eletti è “in quota” del partito che è all’opposizione (Fratelli d’Italia), e che peraltro – secondo i sondaggi demoscopici – è attualmente la forza politica con la più grande quantità di consenso popolare.
È evidente che “qualcosa” non deve aver funzionato, se è vero – come è vero – che il consiglio di amministrazione della maggiore “industria culturale” italiana dovrebbe avere al proprio interno anche un’espressione democratica delle forze di opposizione.
Si dirà: “ma non si auspica tutti una politica ‘fuori’ dalla Rai?”. Al di là della assai abusata espressione, è evidente che il Cda nominato sembra per la maggior parte orientato (squilibrato?!) “a sinistra”. Almeno culturalmente.
Un Cda Rai culturalmente orientato a sinistra
In effetti, indipendentemente dalle convenzionali attribuzioni “in quota” al partito Alfa o al partito Beta, riteniamo che si possano ascrivere ad una area culturale di centro-sinistra (includendo in quest’area il Movimento 5 Stelle, ed abbiamo coscienza che potrebbe trattarsi di ardita tesi) sia la possibile Presidente Marinella Soldi (che potremmo definire in quota… “arcobaleno”, oltre che in “quota rosa”), sia l’Amministratore Delegato Carlo Fuortes (area Pd), sia la consigliera Francesca Bria (area Pd), sia il consigliere Alessandro Di Majo (M5S), così come il consigliere eletto dai dipendenti Riccardo Laganà (indipendente, di area culturale ecologista-ambientalista). E siamo a 5 su 7. Gli altri 2 consiglieri sono 1 giustappunto nelle grazie della Lega Salvini, Igor Di Biasio, ed 1 di area cattolico-centrista, ovvero Simona Agnes.
Sganciandosi dal sempre un po’ fastidioso (e talvolta banale) gioco delle etichette e delle casacche, limitiamoci ad un ragionamento che faccia riferimento giustappunto alle aree culturali: un rapporto di 5 a 7 ci sembra veramente curioso, per un Paese che – sempre secondo i sondaggi – vede attualmente la maggioranza della popolazione orientata più verso la destra, ovvero il centro-destra.
Ha quindi ragione l’attore e fondatore del “Giornale Off” (supplemento settimanale del quotidiano “il Giornale” dedicato alle culture trascurate dalla sinistra) e del movimento Culturaidentità Edoardo Sylos Labini?! A metà pomeriggio, dichiarava: “sembra che il centrodestra stia lasciando la maggioranza del Cda Rai in mano alla sinistra, la solita scelta suicida. Non vi lamentate poi, se programmi e tg sono schierati tutti dalla stessa parte. Addio pluralismo”.
La tesi ci sembra eccessiva, ma la provocazione va colta.
Vedremo che posizioni assumeranno, a partire da oggi, i neo-consiglieri: immaginiamo interviste a gogò, e forse potremo tutti avere presto idee più chiare.
Nella giornata di oggi, giovedì 15 luglio, la convocata Assemblea dei Soci Rai (Ministero dell’Economia e Finanze e Società Italiana Autori Editori – Siae) potrebbe prendere atto delle nomine e delle elezioni e, secondo alcuni, addirittura domani (venerdì 16) potrebbe essere convocata una prima riunione del nuovo Cda Rai.
Parrebbe infatti che Carlo Fuortes sia intenzionato a mettere in moto subito la nuova “governance”.
Il nuovo Cda dovrà eleggere al proprio interno il Presidente, e questa nomina andrà poi ratificata a maggioranza di due terzi dalla Commissione parlamentare di Vigilanza: ma, nelle more, il Cda e soprattutto l’Amministratore Delegato possono iniziare a mettersi all’opra.
Va però segnalato che le nomine di Soldi e Fuortes non avrebbero ancora il sigillo notarile (come avevamo notato: vedi “Key4biz” di ieri mercoledì 14, “Rai, la nomina del Cda questa notte. Ma prevale ancora la nebbia”): serve l’“imprimatur” del Consiglio dei Ministri e la questione non è stata sottoposta all’ordine del giorno della riunione di martedì, curiosamente. Dovrebbe essere convocata una riunione del Cda oggi stesso, ma…
Va osservato che dopo le elezioni dei 4 membri del Cda, le agenzie stampa non hanno registrato commenti di sorta da parte di esponenti partitici: curiosa dinamica, si converrà.
Come se nessuno volesse “rivendicare” l’appartenenza degli eletti ad uno schieramento partitico o ad un altro: grande correttezza o grande ipocrisia?!
Soltanto pochi minuti dopo la proclamazione dei risultati della Camera, si osserva una dichiarazione entusiasta della Capogruppo del Pd alla Camera Deborah Seracchiani: “l’innovazione è certamente una delle sfide più importanti e attuali per la Rai. Le competenze di Francesca Bria, docente universitaria e presidente del Fondo per l’Innovazione di Venture Capital di Cassa Depositi e Prestiti offrirà certamente un importante contributo su questo terreno all’azienda del servizio pubblico radiotelevisivo. Come pure i numerosi ruoli ricoperti all’estero, anche presso la Commissione Europea, garantiranno quello sguardo internazionale sempre più indispensabile quando si parla di innovazione e digitalizzazione”.
Probabilmente Serracchiani sa… cose che noi comuni mortali non sappiamo: immaginiamo peraltro che se il Pd ha votato Bria (che sarebbe stato preferito ad altri candidati accreditati “in quota”, ovvero Stefano Menichini e Flavia Barca), è perché ne conosce non soltanto il percorso professionale ma (forse) anche una sua possibile idea di “Rai futura”. Speriamo di poterla presto conoscere anche noi.
Secondo alcuni, questo Cda Rai orientato a sinistra sarebbe il risultato della fiducia che il Premier nutre nei confronti del Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Roberto Garofoli (che ha svolto ruoli importanti negli esecutivi guidati da D’Alema, Prodi, Letta, Renzi, Gentiloni), grande “regista occulto” delle nomine.
Di 7 consiglieri Rai, soltanto di 2 si ha che idea hanno di una possibile Rai futura
Va osservato che nessuno di coloro che è stato eletto / designato / cooptato – fatte salve le eccezioni di Igor De Biasio e Riccardo Laganà (già attivi nel precedente Consiglio di Amministrazione) – ci risulta abbia mai esposto una propria idea di Rai e di servizio pubblico radiotelevisivo.
Non pubblicamente almeno.
Poco prima della mezzanotte di mercoledì, s’ode la… voce dell’opposizione: la leader di Fratelli d’Italia affida la propria protesta all’Adnkronos e denuncia la “pagina buia” determinata dalla “epurazione dell’unica forza di opposizione”. Che si tratti o meno di vera e propria “epurazione”, indubbiamente Giorgia Meloni ha ben le sue ragioni: “quando l’Italia era ancora una Nazione democratica la governance della Rai, l’emittente pubblica, contemplava la presenza dell’opposizione, a cui spettava la Presidenza e la presenza nel Cda. Nell’epoca della maggioranza arcobaleno, invece, Fratelli d’Italia – unico partito di opposizione e secondo molti sondaggi primi partito italiano – viene epurato da qualsiasi rappresentanza, così che il servizio pubblico, pagato con i soldi di tutti gli italiani, sia più simile al modello cinese che a quello di una qualsiasi nazione democratica”. Il riferimento ci sembra eccessivo, ma le rimostranze sono comprensibili e legittime.
Conclude orgogliosamente la Presidente di Fratelli d’Italia: “oggi i partiti che sostengono Draghi, negando per la prima volta nella storia diritto di rappresentanza all’opposizione, hanno scritto una delle pagine più buie della storia della Repubblica Italiana. Evidentemente la nostra crescita fa così tanta paura da giustificare la spudorata violazione dei più basilari principi democratici. Ma, se facciamo così paura è perché siamo liberi, e questa è una buona notizia, e una ragione in più per continuare a batterci”.
I toni ricordano un po’ quelli di un pugnace Giorgio Almirante, ai tempi della “conventio ad excludendum” che per decenni ha caratterizzato il Movimento Sociale Italiana (Msi), prima della cosiddetta “svolta di Fiuggi”, ovvero l’avvento di Gianfranco Fini e lo “sdoganamento” del partito da parte di Silvio Berlusconi (ma questa è un’altra storia…).
Dopo pochi minuti, interviene anche il leader della Lega Matteo Salvini, che dichiara: “la presenza di esponenti della Lega e di Forza Italia nel Cda Rai saranno garanzia di pluralismo per tutti, opposizioni comprese, per bilanciare un eterno predominio della sinistra nella tivù pubblica, confermato, purtroppo, anche in occasione di queste ultime nomine”.
Sarà interessante capire cosa accadrà in Commissione parlamentare di Vigilanza… Ricordiamoci che servono 27 voti su 40. Non dovrebbero esservi sorprese, a questo punto, ed il rischio di replicare il “caso Foa” sembra svanito.
Va segnalato che i parlamentari di Fratelli d’Italia in Commissione sono proprio pochi: dei 20 membri deputati, soltanto 1 è iscritto al gruppo di Fratelli d’Italia, Federico Mollicone; dei 20 membri senatori, soltanto 1 è di FdI, Daniela Garnero Santanché. Come dire, la Vigilanza non “rappresenta” esattamente le “intenzioni di voto” attuali degli italiani…
Un quarto dei parlamentari (229 su 951 aventi diritto al voto) non ha partecipato alle votazioni per il Cda Rai
Rispetto alle elezioni, va osservato che curiosamente entrambe le votazioni hanno visto come soggetti “proclamatori” non i Presidenti di Camera (Roberto Fico) e Senato (Maria Elisabetta Alberti Casellati) bensì i Vice Presidenti: Roberto Calderoli (Lega) ha comunicato lo spoglio dei voti in Senato e Fabio Rampelli (Fdi) quello alla Camera… Segnali in codice di Fico e Casellati, o soverchianti impegni istituzionali altri?!
Questi i risultati in Senato: 259 presenti e altrettanti votanti, Igor De Biasio ha avuto 102 voti, Alessandro Di Majo 78, Giampaolo Rossi 20 (il candidato di Fratelli d’Italia, già nel precedente Cda Rai). I voti “dispersi” sono stati 12, le schede bianche 13, le nulle 34…
Da segnalare che non hanno votato, quindi, 62 senatori sul totale di 321, corrispondenti al 19 per cento degli aventi diritto.
Questi i risultati alla Camera: con 463 presenti, altrettanti votanti, e nessun astenuto, Francesca Bria ha avuto 162 voti, Simona Agnes 161, Giampaolo Rossi 74, Alessio Giannone (l’irriverente inviato di “Striscia la Notizia”, nome d’arte Pinuccio)16 voti. I voti “dispersi” sono stati 1, le schede bianche 20, le nulle 29…
Da segnalare che non hanno votato, quindi, ben 167 deputati sul totale di 630, corrispondenti al 27 per cento degli aventi diritto.
Complessivamente, su un totale di 951 aventi diritto al voto, ben 229 parlamentari non hanno partecipato al voto: il 24 per cento.
Oggi alcuni giornalisti di Palazzo si scateneranno ad analizzare i “flussi elettorali” ovvero la consistenza numerica dei partiti nei due rami del Parlamento e la correlazione con gli eletti. Ed i sottostanti “scambi merce” tra le segreterie di partito. Esercizio, a questo punto, non granché utile. Cosa fatta, capo ha.
Da segnalare che, se si mettessero nello stesso calderone i voti di Camera e Senato paradossalmente l’esponente “in quota” Fratelli d’Italia Giampaolo Rossi, l’escluso, risulterebbe il terzo degli eletti, con 94 voti, dopo Francesca Bria con 162 voti e Simona Agnes con 161…
Il “dissenso” di Italia Viva per essere stata “esclusa dal tavolo delle trattative”
Nel pomeriggio, nessuna voce si è alzata “in dissenso”, rispetto a questa procedura oscura e vischiosa.
Come se quel che è accaduto fosse normale, e non invece una sprezzante pratica di democrazia non trasparente: lottizzazione allo stato puro, nel silenzio dei più. Nessuna procedura comparativa, il tutto deciso da pochi manovratori.
Da segnalare soltanto il “solito” effervescente deputato Michele Anzaldi, esponente di Italia Viva, che ha lamentato che il suo partito sarebbe stato “escluso” dal (misterioso) “tavolo delle trattative” partitocratiche. “Sulla scelta dei candidati per il Cda Rai, non siamo stati coinvolti da Pd e M5S, cosa che riteniamo sconveniente dal punto di vista istituzionale. Stiamo decidendo, quindi, chi votare. Se fossimo stati coinvolti, avremmo detto che, dall’esame dei curricula, il profilo migliore ci appare senza dubbio quello di Stefano Menichini, per 5 anni capo ufficio stampa della Camera dei Deputati senza neanche una minima protesta sul suo operato. O, in alternativa, in ossequio alla importante questione di genere, quello di Flavia Barca, grande professionista, esperta della materia e, per di più, come il presidente Draghi, a fine carriera e quindi senza paura di fare scelte”. Alla domanda dell’Adn, “Italia Viva, quindi, voterà uno dei due?”, così rispondeva Anzaldi: “molto probabilmente per senso di responsabilità verso la coalizione, ci adegueremo. Non vogliamo spaccare l’alleanza di centrosinistra, ma decideremo al momento”.
Non sembra, dalla conta dei voti, che Menichini o Barca abbiano ottenuto voti, ma andrà approfondita la questione dei voti “dispersi” e sarebbe anche interessante leggere cosa è stato scritto sulle 34 schede nulle del Senato e le 29 della Camera… Peraltro, poco dopo la sortita di Anzaldi, emergeva il Presidente dei Senatori dello stesso partito, Davide Faraone, che dichiarava: “Italia Viva lascia libertà di non votare o di votare scheda bianca: ci saremmo aspettati metodi di selezione e nomi migliori per il rinnovo del cda Rai”.
Laganà (dipendenti Rai in Cda): “ancora una volta, vince la lottizzazione”
Nel pomeriggio, polemica presa di posizione del consigliere eletto dai dipendenti, con un Riccardo Laganà che ha denunciato: “ancora una volta, vince la lottizzazione… lo slogan ‘via i partiti dalla Rai’ è rimasto, ancora una volta, solo uno slogan… Uno slogan cui stanno facendo seguito i soliti preoccupanti rituali di accordi volti alla spartizione di poltrone nelle testate e nelle direzioni. Ancora una volta, vince la lottizzazione, il controllo di partiti e governi sulla Rai, che dovrebbe, invece, essere un’azienda libera, libera di correre in Italia e in Europa, per contribuire a creare un mondo più equo, plurale, solidale, capace di visione nella relazione fra cittadini e istituzioni, fra uomini di diverse culture, fra esseri umani e Natura, nelle sue diverse forme, tanto più dopo la tremenda esperienza della pandemia. E invece gli accordi puntano a ben altri obiettivi”.
Laganà segnala che il riavvio della Rai richiede tempi rapidi, ed invece è stato sprecato molto tempo: “i partiti, di rinvio in rinvio, hanno sprecato questo tempo. Potevano usarlo per discutere uno dei tanti validi testi di riforma depositati. Ma nulla. Potevano usarlo per fare consultazioni pubbliche sulla scelta dell’Ad e consiglieri di nomina parlamentare, così come avviene in molte parti d’Europa, per scegliere sulla base di idee e progetti e non di casacche. Ma nulla. Ancora una volta lavoratrici e lavoratori apprendono dalla stampa come sarà composto il prossimo Cda della Rai (tutti nomi di altissimo profilo stando ai rispettivi curricula) ma nessuno che spieghi loro ed ai contribuenti il criterio utilizzato per la loro selezione ed in particolare la proiezione di Rai Servizio Pubblico, dal punto di vista industriale ed editoriale, per i prossimi tre anni”.
E non può non essere riportata la protesta di alcuni esponenti del Movimento 5 Stelle, che così si sfogano con le agenzie stampa (in modo anonimo peraltro!). L’Adn riferisce di una accesa riunione di gruppo convocata con urgenza a Palazzo Madama: “avevamo scelto un’altra persona, assurdo che ci impongano un nome che abbiamo audito e non ha competenze in materia di tv”, il duro attacco rivolto da alcuni pentastellati (anonimi!) ai vertici del Movimento. La scelta sarebbe avvenuta “dall’alto”, ed in funzione della stima che il neo-leader del Movimento l’avvocato Giuseppe Conte avrebbe nei confronti di Alessandro Di Majo (avvocato). “Dopo le audizioni, 6 dei nostri in Vigilanza avevano scelto Antonio Palma. 1 solo voto era andato ad Alessandro Di Majo, mentre 1 altro voto è andato a Paolo Favale… com’è stato possibile ignorare un’indicazione così netta?”, il refrain che rimbalza tra alcuni senatori. Il dito viene puntato contro il Capo Politico reggente Vito Crimi e contro i Capigruppo di Senato e Camera, Ettore Licheri e Davide Crippa. “Di fronte a questo assurdo ribaltamento, abbiamo chiesto di convocare, con urgenza, un’assemblea di gruppo”, hanno spiegato. Dalla riunione, sarebbe trapelata l’ira di molti pentastellati: molti sarebbero intervenuti criticando il metodo e bollando Di Majo come “inadeguato”. Anche in questo caso – come spesso – trasparenza zero. Nessuno aveva saputo che ci fosse stata una votazione interna al Movimento 5 Stelle…
La prima dichiarazione dell’Ad Fuortes: “la Rai deve lavorare sul prodotto, restare la più grande azienda culturale italiana”
Da segnalare anche la prima sortita di Carlo Fuortes nella sua nuova veste, ieri mercoledì 14: “non è il caso che io risponda alle polemiche sulla Rai – ha sostenuto Fuortes in occasione degli “Stati Generali della Cultura” promossi dal quotidiano confindustriale “Il Sole 24 Ore” – Ho avuto una designazione, è prematuro rispondere a domande sul mio futuro incarico. È ovvio che tutto il mio background possa essere molto utile alla Rai che, al di là delle polemiche politiche, è la più grande azienda culturale italiana e questo deve rimanere. È importante ragionare sul prodotto, su quello che fa, tutto il resto è un problema che non mi sto ponendo”. Affermazione non da poco: ovvero della centralità del prodotto.
Focalizzando sulla propria esperienza, Fuortes ha anche ricordato come nel novembre 2020 l’unica possibilità fosse lo “streaming”, per il Teatro dell’Opera (di cui è Sovrintendente dal 2013): “in quel caso, abbiamo cercato di usare gli spazi del teatro in modo nuovo” (e cita l’idea registica di Mario Martone che ha firmato “Il Barbiere di Siviglia”)… “In questo caso, anche la Rai ha rischiato, mandando in onda lo spettacolo e ha vinto la sfida con oltre 700mila spettatori”. Poi c’è stata anche la “La Traviata”: “esperienze interessanti, che ci hanno permesso di raggiungere anche un pubblico nuovo… In totale, per le due opere, abbiamo avuto 2 milioni di spettatori, mentre in teatro di solito se ne fanno 300mila l’anno”. Anche questo ci sembra un segnale ben preciso: ovvero della centralità della funzione culturale della Rai (e peraltro qui ci si riferisce senza dubbio a quella che abitualmente s’usa definire “cultura alta”).
Elemento senza dubbio interessante e positivo di tutta questa vicenda: a parte la probabile neo Presidente, è apprezzabile che la componente femminile evidenzia una tendenza all’equilibrio, considerando che 3 consiglieri su 7 sono donne (a fronte del precedente consiglio, che vedeva 2 donne soltanto – Rita Borioni, “in quota” Pd e Beatrice Coletti “in quota” M5S – su 7).
Attendiamo le prime pubbliche sortite dei neo consiglieri di amministrazione Rai, confidando che definiscano presto – pubblicamente – la loro “idea” di Rai.