Riceviamo e volentieri pubblichiamo l’intervento di Silvia Scalzini, assegnista di ricerca presso la Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, in occasione del Workshop organizzato a Roma dall’Isimm ‘Informazione e creatività nell’ecosistema digitale. Quale approccio regolatorio per lo sviluppo?’
Per contestualizzare la consultazione pubblica della Commissione Europea sul ruolo degli editori nella “catena di valore del copyright” occorre risalire alla crisi dell’editoria dovuta al difficile adeguamento dei tradizionali modelli produttivi e distributivi dell’informazione alle nuove tecnologie della comunicazione.
Tale quadro è stato integrato dall’emersione di nuovi modelli di business e dall’ingresso di nuovi soggetti, come motori di ricerca e news aggregators, che forniscono ai consumatori servizi innovativi, basandosi – secondo gli editori – sullo sfruttamento di contenuti editoriali accessibili sul web, ricavandone profitto, senza sopportare i relativi costi e senza condividere l’ulteriore valore generato.
Si è aperto, dunque, un ampio dibattito in Europa (e non solo) sulla liceità delle condotte di motori di ricerca e news aggregators nell’indicizzare e mettere a disposizione del pubblico collegamenti ipertestuali (link) e brevi estratti di testo. La questione è stata affrontata in più sedi: dalle corti, dai legislatori nazionali e dalle autorità garanti della concorrenza.
Dal punto di vista del diritto della concorrenza, due sono i principali modelli emersi in Europa che meritano una valutazione circa il loro impatto sul mercato.
In Francia è stata seguita la via della negoziazione privata – con la mediazione del governo francese – tra gli editori di stampa e Google. Una tale soluzione (che pare essere stata replicata in Italia – seppur con contenuti diversi – dall’accordo Fieg-Google) lascia spazio al mercato e all’autonomia privata nella ricerca di un equilibrio in grado di non frenare l’innovazione ma necessita di un monitoraggio da parte delle autorità della concorrenza sugli sviluppi dei mercati coinvolti, sulla eventuale crescita del potere di mercato di alcuni operatori e sulle relative eventuali distorsioni concorrenziali.
In Germania ed in Spagna, invece, i legislatori nazionali hanno preferito un intervento sulle rispettive discipline in materia di diritto d’autore e diritti connessi. Tali soluzioni si sono, tuttavia, rivelate ad oggi sostanzialmente inefficaci, se non inopportune.
In Germania l’introduzione di un diritto esclusivo per gli editori di stampa al fine di rendere i propri “prodotti editoriali” disponibili al pubblico in tutto o in parte per fini commerciali non ha funzionato da leva per remunerare gli editori, come ha peraltro recentemente confermato il Bundeskartellamt ritenendo non anticoncorrenziale il comportamento di Google di ridurre la visibilità di alcuni siti di informazione i cui editori erano rappresentati da VG Media ove non fosse stata concessa una licenza a titolo gratuito.
In Spagna, la previsione di un irrinunciabile diritto ad un equo compenso a favore di editori (o altri titolari di diritti) obbligatoriamente gestito dalle società di gestione collettiva ha comportato un declino di traffico online a discapito delle pubblicazioni meno conosciute ed è stato criticato dalla Comisión Nacional de los Mercados y la Competencia, la quale non ha riscontrato un fallimento del mercato tale da legittimare l’intervento legislativo. Tra i profili segnalati dalla Comisión sono da menzionare i potenziali riflessi negativi sui consumatori, in termini di tensione competitiva, varietà dell’offerta ed innovazione tecnologica.
La consultazione della Commissione è ermetica sulla struttura, sull’oggetto e sulla titolarità di un eventuale nuovo diritto connesso e ciò complica una valutazione sull’impatto di una tale misura.
Dall’analisi delle esperienze nazionali, tuttavia, appare chiaro che la crisi dell’editoria è un problema da affrontare con serietà e preoccupazione, ma l’introduzione di un nuovo (e non meglio definito) diritto connesso a favore degli editori non sembra la soluzione da perseguire.