Documenti interni a Facebook mostrano che il social network di Mark Zuckerberg ha concesso a diversi big del tech fra cui Microsoft, Amazon e Spotify un accesso privilegiato, molto più ampio di quanto dichiarato, ai dati degli utenti. Questo in sintesi il messaggio di un’inchiesta condotta dal New York Times, secondo cui per anni Facebook ha concesso ad alcune delle principali compagnie del tech un accesso più intrusivo di quanto ammesso ai dati degli utenti, di fatto sollevando i partner privilegiati dai normali obblighi sul rispetto della privacy.
Gli accordi speciali con le tech company amiche sono dettagliati in centinaia di pagine di documentazione proveniente da Facebook che il New York Times ha raccolto, compresa una cinquantina di interviste. I documenti, generati nel 2017 dal sistema interno all’azienda per il controllo delle partnership, offre una fotografia completa delle pratiche di data sharing del social network e danno l’idea di come i dati personali siano diventati ormai la “commodity” che vale di più nell’era digitale, scambiata su ampia scala da alcune delle più potenti compagnie della Silicon Valley e oltre.
Lo scambio di dati, secondo il New York Times, era vantaggioso per tutti i contraenti. Facebook ha ottenuto più utenti, aumentando così i suoi ricavi pubblicitari. Le aziende partner hanno acquisito strumenti per rendere i loro prodotti più appealing. Gli utenti di Facebook hanno ottenuto la possibilità di connettersi agli amici su device e siti web diversi. Ma nel contempo Facebook si è arrogata un potere eccezionale sulle informazioni personali dei suoi 2,2 miliardi di utenti – un controllo gestito in maniera poco trasparente e fuori controllo.
In particolare, Facebook ha consentito a Bing, il motore di ricerca di Microsoft, di vedere il nome di virtualmente tutti gli amici degli utenti di Facebook senza consenso, in base ai documenti raccolti dal New York Times, e ha consentito a Netflix e Spotify la possibilità di leggere i messaggi privati degli utenti di Facebook.
Il Social network ha consentito ad Amazon di ottenere i nomi di utenti e informazioni di contatto tramite i loro amici, e a Yahoo di accedere ai flussi dei post degli amici non più tardi di quest’estate, nonostante le dichiarazioni pubbliche di aver cessato questa pratica di sharing anni fa.
Secondo i documenti e le 50 interviste a ex dipendenti di Facebook, le pratiche scorrette a vantaggio di circa 150 compagnie, quasi tutte del settore tecnologico, si sono reiterate anche dopo lo scandalo Cambridge Analytica, nonostante il pubblico impegno assunto ad aprile da Mark Zuckerberg davanti al mondo di “essere in completo controllo” dei dati degli utenti e di rispettare le norme sulla data protection.
Milioni di dati personali al mese sono stati triturati dalle aziende partner a partire dal 2010 e queste pratiche erano ancora in essere nel 2017 e molte anche nel 2018.