L'iniziativa

Nuova Via della Seta: l’Italia è della partita, i vantaggi e le sfide della “Belt and Road”

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La gigantesca iniziativa commerciale cinese conosciuta come Nuova Via della Seta coinvolge già 42 città europee e i beni scambiati tra Pechino e i Paesi aderenti hanno superato il valore di 5.000 miliardi di dollari. Le dichiarazioni del Premier Conte e le sfide che attendono le imprese Ue.

L’Italia ha più o meno ufficialmente aderito alla Nuova Via della Seta cinese, la “Belt and Road Initiative” (B&R). Non propriamente un semplice progetto, neanche si può parlare di piattaforma internazionale, perché la Nuova Via della Seta è un vero e proprio sistema transfrontaliero di infrastrutture innovative, di avanzate reti di comunicazione e per i commerci, che conta oltre 1000 progetti realizzati o in corso d’opera, in più do 50 Paesi.

La nuova visione globale proposta dalla Cina sei anni fa, ha ed avrà sempre più in futuro un enorme impatto economico, tecnologico, sociale, culturale e politico, lungo tutto il percorso della Nuova Via della Seta. Secondo dati ufficiali diffusi da Pechino, si legge sulle pagine online dell’ISPI, nel 2018 il commercio estero della Cina con i Paesi aderenti alla piattaforma B&R è cresciuto del 16,3%, il 3,7% in più del commercio estero cinese con tutto il resto del mondo.

Dati che dovrebbero far riflettere l’Unione europea sul ruolo che vuole avere sullo scacchiere economico e finanziario globale, perché se è vero che Bruxelles ha intenzione di migliorare ed intensificare i rapporti con i Paesi del Sud Est asiatico, è inevitabile passare per la Via della Seta del XXI secolo.

Solo per dare qualche altro numero, sempre riportato dalle pagine web dell’Istituto per gli studi di politica internazionale, l’interconnessione ferroviaria tra la Cina e i Paesi B&R è stata estremamente fruttuosa: “Alla fine di agosto 2018, il numero di treni merci cinesi-europei operativi aveva superato le 10.000 unità, passando da 48 città cinesi a 42 città in 14 Paesi europei. I beni scambiati tra la Cina e i Paesi collegati hanno superato i 5.000 miliardi di dollari. Nel 2017, il volume delle esportazioni su ferrovia ha registrato il più alto tasso di crescita, con un aumento anno su anno del 34,5%”.

Ovviamente, sul versante politico e commerciale, l’Unione europea si ritrova come al solito a dover fare i conti con dei giganti. Non volendo il vecchio continente ricoprire il ruolo che gli dovrebbe spettare, cioè di vero attore globale, si ritrova a trattare con uno e con l’altro, con gli Stati Uniti da una parte e con la Cina dall’altra, senza dimenticare l’altro grande protagonista della storia, la Russia.

L’intesa Roma-Pechino è arrivata la scorsa settimana e, pur non avendo ancora un vero e proprio documento su cui confrontarsi, subito sono partite le critiche da ogni fronte, soprattutto da quello americano.

Formalmente siamo il primo Paese del G7 ad aderire alla piattaforma B&R. Il Fatto Quotidiano riportava in un articolo l’auspicio del sottosegretario allo Sviluppo economico, Michele Geraci, di chiudere l’accordo già per fine marzo, in occasione della visita del Presidente cinese Xi Jinping in Italia: “Il negoziato non è ancora completato, ma è possibile sia concluso in tempo per la visita. Vogliamo assicurarci che i prodotti del made in Italy possano avere più successo in termini di volumi di export verso la Cina, che è il mercato a crescita più veloce al mondo”.

L’anticipazione sul Memorandum l’aveva data il Financial Times, poi è arrivato anche il commento del Presidente del Consiglio, Giuseppe Conte: “Poste le opportune cautele, ritengo possa essere una opportunità per il nostro Paese – si legge sul Sole 24 Ore – Il prossimo incontro in Italia con il presidente cinese sarà l’occasione per sottoscrivere l’accordo quadro. Non significa che saremo vincolati il giorno dopo, ma potremo entrare e dialogare”.

Sono pronto ad andare in Cina per il secondo forum sul progetto della Via della Seta. Naturalmente anche con gli Usa il dialogo è costante su un dossier cosi strategico. Ci confrontiamo continuamente – ha precisato il Premier italiano secondo quanto riportato dal quotidiano – il fatto di essere collocati comodamente nella alleanza atlantica non ci impedisce però di fare scelte economiche e commerciali con la Cina per avere maggiori opportunità”.

D’altronde, i grandi Paesi dell’Unione europea, come Germania, Gran Bretagna, Francia, hanno già da tempo stretto rilevanti accordi commerciali con la Cina.

Noi esportiamo per 13 miliardi di euro, contro i 90 della Germania. Il Regno Unito esporta il 40% in più dell’Italia nel grande Paese asiatico, anche Svizzera e Belgio fanno meglio di noi.

La nostra quota di export nel mondo è del 3% circa, secondo dati ICE. Dal 2012 al 2017 non c’è stata praticamente crescita, ma stagnazione. C’è quindi del terreno da recuperare in termini di competitività e di presidio dei mercati.

In fondo, ha sottolineato Conte, l’accordo italo-cinese per la B&R, che è stato ribadito più volte dalle nostre istituzioni, non è politico, ma prettamente commerciale, è “un’opportunità, l’occasione per introdurre nostri criteri e standard di sostenibilità economica e ambientale all’interno del progetto che sarà trasparente e ampio”.

Le dichiarazioni di Conte sono state diffuse ieri anche da Xinhua News Agency.

Si sta facendo credo una gran confusione su questo accordo, che non è un accordo, è un Memorandum of understanding”, “si ribadiscono i principi di cooperazione economico e commerciali presenti in tutti i documenti europei, nessuna regola commerciale ed economica viene cambiata”, ha ribadito anche il nostro Ministro dell’Economia Giovanni Tria, secondo l’Ansa di oggi.

In Europa, il fulcro del progetto è rappresentato dall’hub di Duisburg, in Germania, dove stazionerebbero le merci trasportate settimanalmente con l’arrivo di decine di treni speciali di soli container (che dovrebbero ripartire non vuoti, come spesso si legge, ma pieni di prodotti “Made in EU”, con elevati standard di sostenibilità ambientale e sociale, diretti verso la grande Cina).

La China Ocean Shipping (Group) Company (o COSCO), il Gruppo di Stato cinese per l’import/export, ha già investito in diversi altri hub B&R per la Via della Seta marittima, tra cui il porto del Pireo, quelli di Bilbao e Valencia, di Zeebrugge in Belgio, e nel nostro Paese nel porto di Vado Ligure, Venezia e forse presto Trieste e Genova.

Certamente, la B&R Iniziative non significa solo grandi vantaggi economici ed opportunità di crescita per le imprese, ma anche grandi sfide.

Ambientali, prima di tutto, perché parliamo di infrastrutture gigantesche ed estese, e ovviamente sociali, perché si vanno a cambiare modelli di business locali e quindi le ricadute sul mercato del lavoro non sono di poco conto.

Per l’Europa, e quindi l’Italia, l’obiettivo dovrebbe essere il multilateralismo avanzato da un alto e l’impegno dall’altro a mantenere il controllo delle infrastrutture sul continente, con il duplice fine di innovare (senza svendere niente, soprattutto gli asset strategici) e di creare relazioni commerciali nuove e durature, con la Cina in primis e con tutti gli altri Pasi della Nuova Via della Seta.

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