Due anni di lavoro diplomatico e diciotto ore di colloqui a Vienna hanno portato ieri all’accordo tra l’Iran e le sei potenze mondiali, ovvero Stati Uniti, Russia, Francia, Cina, Gran Bretagna e Germania grazie al quale si ferma il programma nucleare della Repubblica Islamica. Nello stesso tempo la comunità internazionale mette fine alle sanzioni contro l’Iran decise da Stati Uniti, Unione europea e Nazioni Unite.
Sanzioni che verranno subito ristabilite, ha spiegato il presidente americano Barack Obama, se l’Iran violasse l’accordo che vieta per i prossimi quindici anni la costruzione di nuovi reattori. L’embargo delle armi iraniane durerà cinque anni, otto quello per i missili balistici. A vigilare sull’arsenale militare iraniano l’AIEA, l’Agenzia internazionale per l’energia atomica. Un errore storico, per Israele, secondo cui questo accordo rappresenta una resa storica da parte dell’Occidente verso l’asse del male.
I mercati hanno temuto per gli effetti sul petrolio. La prospettiva di un massiccio ritorno della produzione petrolifera di Teheran non sarebbe però imminente e dunque ieri i prezzi del barile sono rimasti stabili dopo un’iniziale caduta: il Brent è rimasto intorno ai 58,15 dollari dopo aver toccato un minimo a 56,43.
Ma lungo il Golfo Persico sarebbero già nascosti circa 40 milioni di barili. Secondo gli esperti in presenza di un allentamento delle sanzioni all’Iran contro le sue esportazioni di greggio, potrebbe portare a una produzione a pieno ritmo, come 4 anni fa, cioè ad un aumento dell’offerta di circa un milione di barili al giorno, quando già si stima un eccesso di produzione mondiale intorno al milione e mezzo di barili al giorno.