La chiamata a raccolta del mondo a Notre Dame da un pur “debole” Macron è l’ultimo atto di un messaggio di speranza. I “potenti dell’impotenza” si raccolgono sotto le navate lignee rinnovate per cercare ispirazione “oltre” la cristianità ma ben dentro le sue radici profonde come a indagare un “futuro buio e immobile”.
Un “urlo del silenzio” per dire però che pur confusi e provati “siamo ancora qui e continuiamo a guardare lontano” anche se impotenti (per ora) a fermare guerre fratricide (russi e ucraini, palestinesi e ebrei) che contagiano il mondo e ne minano la prosperità e fiducia, ma nella consapevolezza che siamo inestricabilmente interdipendenti e condannati a convivere sulla stessa Terra di Abramo.
Sotto le navate di Notre Dame uno accanto all’altro ritroviamo i leader della Terra di democrazie (spesso) distanti, di capitalismi differenti ruvidi e diseguali, di popoli dimenticati, eppure che provano a darsi una mano, a dialogare su forme e modi di un futuro possibile e sostenibile.
Come se sotto i simboli della Civiltà e della Potenza umana incastonati mirabilmente uno nell’altro a rappresentare magnificenza della capacità (la razionalità delle volte e l’equilibrio delle guglie rivolte in cielo) e la paura dell’anima (i faccioni diabolici a difesa del perimetro di uno spirito indomito) sfiorando un pavimento come croce immensa della nostra imperfezione, cercassimo di fissare anche le sfide vinte e i risultati raggiunti di una civilizzazione sempre incompleta, eppur viva.
Tra il terribile buio medioevale curato dalle “vesti gotiche” e la speranza eterna sempre ricercata guardando le volte protettive da un cielo stellato che rimane immenso e incompreso. Perché sotto quelle volte stranianti e di straziante bellezza con l’ordine filtrante delle vetrate dai cromatismi magici i potenti del mondo possano (vogliano?) ancora indagare la luce di una convivenza solidale.
Si, interrogarsi ancora sui Lumi possibili o mostrarsi nella propria impotente ipocrisia nel non riconoscere la necessità e urgenza di soluzioni condivise? I muri, i marmi, le luci flebili, i gesti lenti della preghiera di Notre Dame che sono di una cristianità universalista e laica sembrano volere indagare le menti di questi “piccoli uomini e donne di potere” interrogandoli sul senso di una Europa-Mondo come custode di una eterna pacificazione e inseminatrice di civiltà.
Quella stessa Europa nascente che a dorso di mulo di cui i monaci benedettini del ‘400 scrivevano nei lunghi viaggi impervi e bui tra le reti degli imponenti e austeri monasteri che faranno da “guida e focolare” per gli amanuensi dei primi archivi di una cristianità in cerca di lumi da tramandare come in una Internet ante-litteram. Al centro di quella immensa croce virtuale disegnata tra il Mediterraneo, le Alpi e il Mare del Nord con i Cammini di Santiago di Compostela e la Foresta Nera.
Sotto le guglie in bilico proiettate al cielo e le due torri imponenti squadrate a protezione della geometrica potenza della facciata Notre-Dame rappresenta tutto questo e ancora una volta prova ad ispirare i potenti invitandoli a deporre le armi e a parlarsi rispecchiandosi nella sua storia profonda tra civiltà greca e modernità oltre gli assolutismi e le schiavitù (colonialiste e non) e passando per la pietas di fronte alla malattia e alla morte (finitezza) e per la misericordia con il dono (equità) attraverso il volo delle libertà e dei diritti per arrivare a quella Rivoluzione del 1789 che sulla spinta del Rinascimento e dei Lumi porterà alle Rivoluzioni scientifiche e industriali e del lavoro libero da servitù con un welfare della condivisione e delle opportunità per capitalismi e mercati responsabili e sostenibili.
Cioè attraverso quel processo che porterà alla democrazia e al liberalismo e alle Costituzioni social-democratiche. La chiamata a raccolta sotto le navate ricostruite da “amanuensi” moderni del fare mostra il riconoscimento che quell’incendio di Notre-Dame è stato il “segno premonitore” di come quella costruzione antica delle mura della democrazia abbia retto agli errori e orrori, ai segni del tempo ma che va protetta perché vuole mostrarci che “non tutto è per sempre” e che ciò che pensavamo irreversibilmente cumulativo non lo è se non con una azione di cura costante e condivisa, ripartendo proprio dalla Francia e dai suoi fantasmi riemersi dopo secoli in sonno.
Ecco perché i muri e i legni di Notre-Dame vanno difesi, manutenuti, protetti, perché custodiscono il senso solidale religioso-laico e dunque democratico e liberale del nostro stare insieme in questa “Terra di Lacrime“. Una imponente Cattedrale civica e laica che deve guidare al dialogo rimanendo sempre aperta nonostante i venti di autoritarismo che ne attraversano la luce fratturando quello Stato Diritto che ha forgiato nella sua acqua battesimale e ora minacciato da barbari illiberali e autocrazie armate fuori dalle sue mura e che ne minano la stabilità per l’incendio propagato al suo esterno.
Abbiamo spento l’incendio interno nel 2019 e ricostruito meticolosamente in 5 lunghi anni una architettura antica, possente e fragile insieme, ma quello esterno è lì che aspetta di essere domato e tuttavia con pompieri senza mezzi e senza idee mentre fuori da Notre-Dame i cittadini europei chiedono ancora libertè, egalitè e fratenitè a quei potenti che come automi sanno muovere solo la forza e che tuttavia non basta.
L'”impotenza della forza” in Ucraina e in Palestina o in Siria sono li tragicamente a testimoniarlo. Speriamo che le campane di Notre-Dame risorta suonino ancora la speranza!