Una dinamica è certa: la questione controversa delle “commissioni ministeriali” per la gestione della “riformata” (soltanto in parte) “Legge Franceschini” ha senza dubbio contribuito a far sì che l’attenzione dei media, anche “mainstream”, si focalizzasse finalmente anche sulle problematiche del settore cine-audiovisivo nazionale.
Da qualche giorno, anche come effetto del “caso Boccia-Sangiuliano”, anche i quotidiani nazionali sviluppano maggiore sensibilità. E questa è senza dubbio una buona notizia.
Quel che è invece non è positivo è che spesso, in casi come questi, giornalisti “generalisti” intervengano su questioni complesse senza adeguata cognizione di causa e precisa conoscenza: non è il caso del conduttore di Rai Bruno Vespa – vogliamo subito precisare – ma la querelle che si è venuta a determinare è interessante, giustappunto come “case study”.
Nella puntata di martedì 10 settembre 2024 di “Porta a Porta”, lo storico conduttore – una delle indubbie colonne di Viale Mazzini – verso la fine della trasmissione ha proposto, in un approfondimento della vicenda dell’ex Ministro Gennaro Sangiuliano, una delle concause della dinamica: ha identificato tra i “nemici” del titolare del Collegio Romano gli operatori del settore cinematografico.
La sua redazione ha prodotto e proposto 4 slide, intitolate “Credit Cinema”, con una numerologia che conferma le tesi critiche dell’ex Ministro, rispetto all’esigenza di “correggere” le “storture” del sistema italiano di sostegno alla cinematografia (strumento del “Tax Credit” in primis).
Le numerologie sul cinema italiano, a cura di Bruno Vespa su “Porta a Porta” (Rai1)
I dati proposti da Vespa sono i seguenti:
CREDIT CINEMA – SLIDE 1
I film di 7 tra i più famosi registi italiani hanno ricevuto dallo Stato contributi per cifre variabili tra 13,2 milioni e 2,1 milioni comprensive dei compensi per i registi variabili tra 2,4 milioni e 1,4 milioni
CREDIT CINEMA – SLIDE 2
Tra il 2019 e il 2022 due film costati più di 15 milioni di euro, di cui 4 milioni di risorse pubbliche, hanno incassato meno di 7 mila euro
CREDIT CINEMA – SLIDE 3
20 film che hanno beneficiato complessivamente di 11,5 milioni di contributi pubblici hanno avuto poche centinaia di presenze ciascuno in sala
CREDIT CINEMA – SLIDE 4
Tra il 2019 e il 2022 sono state finanziate 1.033 opere, di cui 331 non sono mai uscite nelle sale cinematografiche
Secondo una verifica IsICult, i dati sono complessivamente corretti e coerenti con le fonti pubbliche disponibili.
La infastidita reazione di tre associazioni dei produttori: “dati decontestualizzati”
L’indomani, mercoledì 11 settembre, le due principali associazioni dei produttori (Anica ed Apa) ed una minore di produttori indipendenti (Cna Cinema e Audiovisivo) sono insorte ed hanno diramato un comunicato stampa di dura critica, che merita essere riprodotto: “siamo particolarmente stupiti dalla rappresentazione che la trasmissione Porta a Porta andata in onda martedì 10 settembre, condotta da un professionista esemplare come Bruno Vespa, abbia dato dell’industria del Cinema. Sono stati presentati, senza contraddittorio, dei dati confusi, inesatti e completamente decontestualizzati, che ledono la reputazione e l’immagine di una filiera industriale che dà lavoro a 200.000 persone e crea un importante indotto economico. Lo ha fatto nel momento in cui, dopo anni di confronto con tutte le associazioni di categoria e di proficuo lavoro con il Sottosegretario Lucia Borgonzoni e con la Direzione Generale Cinema, la necessaria manutenzione alla Legge Cinema è in dirittura d’arrivo. È doveroso evidenziare che la riforma del sistema era stata ampiamente condivisa dai produttori di cinema e audiovisivo, che per primi avevano segnalato la necessità di una revisione del meccanismo dei finanziamenti. Ci auguriamo che questo tempo non vada sprecato e che il confronto in atto tra gli operatori e le istituzioni volto al perfezionamento dei meccanismi di controllo e della macchina amministrativa prosegua, senza alterare l’impianto complessivo della legge. Il Cinema e l’Audiovisivo, oltre ad essere uno straordinario veicolo di promozione per l’immagine dell’Italia, rappresenta un importante comparto economico ed un volano di sviluppo per molte aree del nostro Paese. Lo dimostrano anche gli stessi produttori Rai e i successi registrati da “Doc – Nelle tue mani”, “Le indagini di Lolita Lobosco”, “Imma Tataranni – sostituto procuratore”, “Fiori sopra l’inferno”, “Mina Settembre”. E, per citare solo alcuni film di grande successo in sala, “C’è ancora domani” di Paola Cortellesi, “La Stranezza” di Roberto Andò, “Io Capitano” di Matteo Garrone, “Un mondo a parte” di Riccardo Milani” ».
La nota è firmata dai Produttori di Anica (Associazione Nazionale Industrie Cinematografiche Audiovisive Digitali, presieduta da Francesco Rutelli), Apa (Associazione dei Produttori Audiovisivi, presieduta da Chiara Sbarigia che è anche Presidente di Cinecittà spa) e Cna-Cinema e Audiovisivo (presieduta da Gianluca Curti), che – viene precisato – “rappresentano l’intera filiera”: va anzitutto chiarito che non risulta che questa triade rappresenti proprio “l’intera filiera”, perché sono attive anche altre, piccole ma vivaci, associazioni (si pensi a Confartigianato Cinema e Audiovisivo ed Agici e finanche l’ultima arrivata Itaca)…
Al di là della solita retorica sulla importanza e grandezza del settore audiovisivo, non risulta che la riforma voluta dall’ex Ministro Gennaro Sangiuliano andasse esattamente nella direzione dell’accoglimento delle richieste di modificazione della “Legge Franceschini” avanzate da tutto il settore (le istanze degli autori non sono state nemmeno ascoltate…).
Scrivono le tre associazioni (rimarchiamo) “la riforma del sistema era stata ampiamente condivisa dai produttori di cinema e audiovisivo”. E qui emerge la vera verità: la riforma è stata quindi impostata dalla Sottosegretaria leghista Lucia Borgonzoni accogliendo prevalentemente le tesi delle grosse società di produzione (gran parte delle quali in mano a gruppi stranieri, e rappresentate dalle due storiche “lobby” Anica ed Apa) e non andando esattamente nella direzione di un rafforzamento del tessuto industriale delle piccole società di produzione e dei produttori indipendenti.
E non ci risulta che Anica ed Apa abbiano mai speso (almeno pubblicamente), dall’entrata in vigore della “Franceschini” (dal 2017), una parola una sulla deriva del sistema ed in particolare sulla degenerazione dello strumento del “Tax Credit”…
La sera dopo, nell’edizione di mercoledì 11 settembre, in chiusura di trasmissione, Bruno Vespa ha correttamente dato notizia della protesta, ma ha commentato che tutti i dati proposti nella trasmissione della sera prima erano di fonte ministeriale, e che quindi la presa di posizione di Anica ed Apa e Cna era a parer suo infondata.
Anzi, ha invitato i protestatari a mettere in atto un esercizio di autocritica sulle problematiche del settore.
Chi ha ragione? Ha ragione Vespa, perché i dati che ha utilizzato in trasmissione sono corretti. Ha però ragione anche la triade delle associazioni di produttori, perché questi numeri sono stati presentati in modo oggettivamente decontestualizzato.
Quel che emerge, comunque, una volta ancora, è l’assenza di un “testo di riferimento” che sia oggettivo, imparziale, affidabile, incontrovertibile, sul reale “stato di salute” del cinema e dell’audiovisivo italiano, e, più in generale, delle industrie culturali e creative del nostro Paese: : andiamo ripetendo questa denuncia da tanto tempo, e sicuramente da oltre un decennio su queste colonne, dato che la rubrica curata dell’Istituto italiano per l’Industria Culturale – IsICult per questo quotidiano online “Key4biz” (dedicato all’economia digitale ed alle culture del futuro) ovvero “ilprincipenudo”, veleggia verso l’edizione n° 900 nell’arco di un decennio, avendo come sottotitolo – non a caso – “ragionamenti eterodossi di politica culturale e economia mediale” (clicca qui, per accedere all’archivio storico della rubrica IsICult).
Strana “inversione ad U” di Nicola Maccanico, che rinuncia all’incarico di Ceo di Fremantle Italia
Nell’edizione di ieri della rubrica IsICult per “Key4biz”, abbiamo anche rilanciato opportunamente la notizia, segnalando quanto fosse inattesa: l’ex Amministratore Delegato di Cinecittà s.p.a., Nicola Maccanico, dimessosi incomprensibilmente il 25 giugno scorso da quel ruolo (nonostante la sua conduzione degli “studios” fosse stata apprezzata pubblicamente sia dal Ministro Sangiuliano sia dalla Sottosegretaria Borgonzoni), e sostituito qualche settimana fa, il 17 luglio 2024 (per decisione dell’ex Ministro Gennaro Sangiuliano, d’intesa con il titolare del Mef Giancarlo Giorgetti), da Manuela Cacciamani (che – a sua volta – si è dimessa dai ruoli che ricopriva in Anica – Presidente dell’Unione Editori e Creators Digitali e dalla sua società di produzione One More Pictures), è stato cooptato come “Ceo” del Gruppo Fremantle Italia, una delle più grosse e potenti centrali produttive (straniere) del nostro Paese (si ricordi che Fremantle è controllata dal gruppo tedesco-lussemburghese Rtl ovvero dal gigante dei media Bertelsmann). Vedi “Key4biz” del 12 settembre 2024, “Nebbia al Ministero della Cultura: Giuli smentisce Sangiuliano? settore cine-audiovisivo in tilt”.
Scrivevamo: “Peraltro Fremantle è stato fino a poco tempo fa il maggior cliente di Cinecittà stessa. Qualcuno si domanda se non esista una esigenza di prudenza e di opportunità, nel passaggio da un ruolo all’altro, ma le “sliding doors” sono ormai molto frequenti in Italia (anche nel settore audiovisivo) e peraltro verosimilmente il contratto che regolava il rapporto di lavoro di Maccanico a via Tuscolana non gli impediva un passaggio di “porte girevoli” così rapido ed un così veloce cambio di vesti…”.
E nel pomeriggio di ieri gli esponenti del Movimento 5 Stelle in Commissione Cultura alla Camera Antonio Caso, Anna Laura Orrico (già Sottosegretaria alla Cultura) e Gaetano Amato annunciavano la presentazione di una interrogazione al Ministro Alessandro Giuli su quello che hanno definito il… “caso Maccanico”, sostenendo che “è fondamentale fare luce su quanto ruota attorno al caso di Nicola Maccanico, il manager che, dopo le sue le dimissioni dalla carica di amministratore delegato e direttore generale di Cinecittà S.p.a., è stato nominato – a distanza di poche settimane – Ceo del colosso privato della produzione tv Fremantle Italia, che in questi anni è stato uno dei principali clienti di Cinecittà S.p.A. e l’unico con il quale la società abbia sottoscritto un accordo per l’utilizzo “continuativo” degli studios romani. Il mese scorso il quotidiano ‘Domani’ (con una esclusiva a firma di Domenico Iannaccone, n.d.r.) ha scoperto una nota di credito di 3 milioni di euro proprio per Freemantle, la quale non era stata resa nota da Maccanico, in quanto non risultano comunicazioni al consiglio di amministrazione. Oggi “Il Fatto Quotidiano” (con un articolo a firma di Vincenzo Bisbiglia e Thomas Mackinson, ironicamente titolato “Maccanico jr. e Cinecittà: conti flop, ma incarico top”, n.d.r.) rivela che l’intero rapporto finanziario con il colosso britannico sia attualmente sotto la lente d’ingrandimento del nuovo cda, poiché, da un lato, Fremantle assicura che in questi due anni e mezzo “la società ha versato nelle casse di Cinecittà 50 milioni di euro, assicurando un fatturato costante”, mentre a Cinecittà sospettano che l’accordo, siglato nel 2022, non sia stato del tutto redditizio”.
Concludevano ieri Anna Laura Orrico e Antonio Caso e Gaetano Amato: “abbiamo presentato una interrogazione ad Alessandro Giuli su tutto questo, anche perché ci chiediamo se un simile salto sia compatibile con quanto disposto dalla legge. Il neoministro ha il dovere di intervenire su situazioni opache come queste: cosa farà affinché vengano evitate situazioni di conflitti di interesse e per preservare i principi di imparzialità e trasparenza? Se davvero vuole prendere le distanze dal suo disastroso predecessore, dovrà occuparsi con urgenza di questo caso”.
E noi concludevamo il nostro intervento di ieri con un quesito retorico: il “caso Maccanico” si affianca al “caso Boccia”, nell’effervescente mondo… del cinema e dello spettacolo?!
Ieri sera l’ex Ad di Cinecittà Nicola Maccanico scrive a “Dagospia” per annunciare le sue dimissioni dal ruolo di Ceo di Fremantle Italia
Ieri sera verso le 20, il sempre informato (ma non sappiamo giudicare quanto realmente indipendente dalle logiche occulte del sistema politico nazionale) sito giornalistico diretto da Roberto D’Agostino, pubblica la reazione di Nicola Maccanico, con una sorta di “lettera aperta”.
Scrive Nicola Maccanico a “Dagospia”, nel comunicare la decisione di non iniziare il lavoro in Fremantle Italia: “in considerazione del clima ostile che ha circondato sia le mie dimissioni da Cinecittà e ora anche la mia nuova nomina, con l’obiettivo di sgombrare il campo da qualunque potenziale equivoco e da ingiustificate illazioni, ho deciso di non iniziare la mia collaborazione con il gruppo Fremantle”.
A cosa si riferisce esattamente Maccanico, scrivendo di “clima ostile” in relazione alle sue inattese dimissioni da Cinecittà?! Chi ha avuto interesse ad alimentare ostilità nei suoi personali confronti?!
E precisa: “rispetto a quanto riporti sui conti in flop di Cinecittà lasciati dalla mia gestione, non posso che ricordarti (Maccanico si rivolge a Dagospia ma di fatto “risponde” alle critiche dei giornalisti de “il Fatto Quotidiano” e di “Domani”, n.d.r.) che l’ultimo bilancio riferibile al mio mandato, 2023, ha chiuso con in utile di 1.8 milioni, associato ad un fatturato da attività commerciali di 43 milioni di euro (pari a quasi quattro volte la media dei bilanci degli anni precedenti al mio incarico e ricostituendo il patrimonio netto della società), in crescita del 10 % rispetto al fatturato dell’anno 2022, anch’esso piuttosto eccezionale nella storia degli iconici studi“, scrive Maccanico.
Circa il rapporto contrattuale tra Fremantle e Cinecittà, l’accordo commerciale stilato a marzo 2022 “ha generato oltre 50 milioni di euro di fatturato per Cinecittà in circa un anno e mezzo” e si tratta di “un accordo quadro pluriennale e non unico nel suo genere, visto che durante il mio mandato abbiamo stilato accordi anche con altri gruppi internazionali. Il contratto prevede, come è comune in casi come questo, uno sconto sul volume delle attività. A questa clausola, si riferisce la nota di credito di cui si legge sulla stampa. In essenza, uno sconto che cresceva sulla base del fatturato raggiunto, regolato puntualmente dal contratto originale: quindi più soldi venivano spesi, e più sconto veniva concesso. Ed il consuntivo di un 2023 particolarmente di successo ha generato la nota di credito in oggetto, nulla che non fosse regolato dagli accordi in essere”.
Quindi Maccanico contesta lo “scandalo” che avrebbero prospettato i due quotidiani, ovvero la ormai famosa “nota di credito” di 3 milioni di euro.
Siamo andati a cercare traccia delle tesi di Maccanico – ovvero della sua spiegazione di ieri – nel bilancio dell’esercizio 2023 di Cinecittà spa, ed è opportuno evidenziare che risulta soltanto quanto segue: “l’Accordo Quadro pluriennale con il gruppo europeo Fremantle ha assicurato un fatturato costante e incrementale rispetto a tutte le linee di business e garantito, grazie alla varietà di operatori del gruppo e alla molteplicità di prodotto, una domanda crescente di spazi e di servizi connessi alle costruzioni sceniche. Tra i titoli da ricondursi all’accordo Fremantle nel 2023: “Queer” di Luca Guadagnino (produzione The Apartment), “Those About to Die” di Ronald Emmerich (produzione esecutiva Wild Side), “M-Figlio del Secolo” di Joe Wright (produzione The Apartment), “Decameron” di Mike Uppendahl (produzione Netflix, produzione esecutiva Wild Side/360 Degrees), “Kung Fu All’Amatriciana” di Gabriele Mainetti (produzione Wild Side), “Il Conclave” di Edward Berger (produzione esecutiva Wild Side) » (vedi pag. 45 del bilancio validato dalla società di revisione EY l’8 aprile 2024… e si ha ragione di ritenere che la nota di credito in questione non sia sfuggita ai “controller”; l’attestazione è a firma del revisore legale della già Ernst & Young Filippo Maria Aleandri).
Continua l’ex Ad di Via Tuscolana, nella sua lettera a “Dagospia”: “basta quindi leggere i numeri per comprendere il ruolo cruciale che Fremantle e questo accordo hanno avuto nel rilancio degli Studi di Cinecittà, consentendo alla società pubblica non solo di tornare in utile, ma di posizionarsi nuovamente nel panorama internazionale. Fremantle ha riportato a Cinecittà non solo molto fatturato (come nessun altro cliente nella storia degli studi) ma straordinario prestigio, grazie ai film e alle serie di registi come Ronald Emmerich, Joe Wright, Luca Guadagnino, Saverio Costanzo, Paola Cortellesi, solo per citarne alcuni. Infine, è quindi piuttosto chiaro che la realtà dei fatti e della relazione tra Cinecittà e Fremantle, renderebbero compatibile il nuovo incarico con il mio percorso professionale precedente, non avendo Cinecittà esercitato alcun potere sulla stessa Fremantle”.
Oggi “il Fatto Quotidiano” lancia la notizia in prima pagina e commenta compiaciuto: “Dopo lo scoop del ‘Fatto’, l’Anac apre un’istruttoria su Maccanico jr., passato da Cinecittà al cliente-amico Fremantle. E lui rinuncia. A questo serve un giornale”.
Possibile che Fremantle Italia avesse dimenticato l’esistenza di una norma di legge che impedisce per tre anni ad un amministratore pubblico di assumere incarichi in società private con cui ha avuto rapporti?
Peccato che Nicola Maccanico ometta un dettaglio, ovvero quel che prevede la italica legge, per ridurre giustappunto il rischio di abuso delle “sliding doors”, ovvero il divieto di “pantouflage”.
La pratica del “pantouflage”, per cui pubblici dipendenti che negli ultimi 3 anni di servizio hanno esercitato poteri autoritativi o negoziali per le pubbliche amministrazioni, vengono poi assunti dagli stessi soggetti privati destinatari dei provvedimenti, è proibita dalla legge italiana.
Il decreto legislativo n.165 del 30 marzo 2001 stabilisce infatti che nei tre anni successivi alla cessazione del rapporto di lavoro, i dipendenti pubblici non possono essere assunti o svolgere incarichi per gli stessi privati, oggetto dei loro precedenti provvedimenti.
Ieri, su queste stesse colonne scrivevamo che probabilmente il contratto di Nicola Maccanico con Cinecittà prevedeva una clausola che cerca di derogare, ma in verità Anac ovvero l’ Autorità Nazionale Anticorruzione conferma che i contratti conclusi e gli incarichi eventualmente conferiti in violazione della norma sono nulli. Certo, si potrebbe obiettare che Maccanico non era un “dipendente pubblico”, ma qui si entrerebbe in questioni di lana caprina: la logica della norma è evidente, ed abbiamo ragione di ritenere che si applichi anche all’amministratore di una società pubblica, qual è giustappunto Cinecittà…
Insomma, è fatto divieto ai soggetti privati che li hanno conclusi o conferiti di contrattare con le pubbliche amministrazioni per i successivi tre anni con obbligo di restituzione dei compensi eventualmente percepiti…
Il termine “pantouflage” è stato importato in Italia dal diritto amministrativo francese: la deriva dal verbo “pantoufler” ovvero “smettere di prestare servizio per lo Stato per entrare nel settore privato”, a sua volta da “pantoufle” (propriamente “pantofola”), nell’accezione gergale di “situazione per cui un militare o un funzionario formatosi all’École Polytechnique o, più in generale, in un’alta scuola statale, smesso il proprio servizio per lo Stato, entra nel settore privato”.
La domanda è: possibile che Fremantle Italia e lo stesso Maccanico non fossero a conoscenza di questa norma di legge? C’è dell’altro, che sfugge alla nostra attenzione (e finanche de “il Fatto Quotidiano” e del “Domani”)?
Sarà forse che il “caso Boccia-Sangiuliano” possa andare presto ad accompagnarsi al “caso Maccanico-Fremantle-Cinecittà”?
Ulteriori nubi si stanno forse per addensare nei confronti del Governo guidato da Giorgia Meloni, dal rutilante (sofferente quanto effervescente) mondo del cinema e dell’audiovisivo???
Alla prossima puntata…
(*) Angelo Zaccone Teodosi è Presidente dell’Istituto italiano per l’Industria Culturale – IsICult (www.isicult.it) e curatore della rubrica IsICult “ilprincipenudo” per “Key4biz” (ragionamenti eterodossi di politica culturale e economia mediale).