Stati Uniti
Il mercato dell’editoria è da tempo in profonda trasformazione. L’avanzata di internet e il boom delle connessioni da mobile anche per quanto riguarda le notizie, hanno resto necessaria una rivisitazione dei tradizionali modelli e se a questo aggiungiamo la crisi economica del cartaceo, i costi sono presto fatti. Gli Stati Uniti sono da sempre il luogo dove avvengono i maggiori cambiamenti. Vediamo cosa accade.
Oggigiorno le tensioni del cambiamento nel business delle news sono sempre intense ma spesso sotterranee. E ciò vale ancor più per un ecosistema ampio e diversificato come quello a stelle e strisce – oltre che tra i gruppi editoriali più blasonati.
Per esempio, a un anno dall’acquisto da parte di Jeff Bezos, si prevedono forse mosse ‘rivoluzionarie’ per il Washington Post? E chi si farà avanti per rilevare le decine di testate locali che la Digital First Media sta per mettere all’asta?
Su questo ventaglio di questioni, arriva puntale la sintesi delle ‘pulizie di primavera’ in corso, firmata da Ken Doctor del Nieman Lab. Dove si segnala, fra l’altro, l’irreversibile caduta delle agenzie-stampa, quelle ‘supplementari’ all’indiscusso re Associated Press.
#eJournalism è una rubrica settimanale promossa da Key4biz e LSDI (Libertà di stampa, diritto all’informazione).
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Ciò è dovuto per lo più alla loro pervicace propensione per il cartaceo, “mentre oggi i giornali sono diventati sempre più locali tagliando quasi del tutto le edizioni la stampa, riducendo quindi drasticamente lo spazio per i dispacci d’ agenzia”.
Invece nel digitale tira forte la ‘syndication’, grazie soprattutto a innovatori come NewsCred con i suoi “nuovi modelli di licenza per un pubblico variegato e centrata sul content marketing”, senza contare la recente raccolta di 15 milioni di dollari per puntare ancora più in alto. In altri termini, “le agenzie-stampa stanno finendo nei testi di storia”.
Quanto al Washington Post, va notata l’espansione del suo ‘network plan’. Si tratta cioè di offrire agli abbonati delle testate partner l’accesso gratuito ai contenuti premium del quotidiano, che ne guadagna così in occhi per le inserzioni, pur senza ricavarne contanti. Il programma è pronto per l’espansione, puntando a raggiungere una buona fetta dei circa 30 milioni di abbonati ai quotidiani locali sul territorio nazionale – con le potenzialità di “integrare qualcosa di simile a iTunes nell’esperienza delle news, provando a leggere il pensiero di Bezos”.
C’è poi la crisi perdurante del gruppo News Corp: meno 9% nel segmento dell’informazione, con entrate in calo costante sia per le inserzioni che per le vendite. Anche se i “problemi arrivano da tutti e tre i continenti coperti (Australia, UK e Usa), è il confronto diretto con il New York Times che infastidisce di più Rupert Murdoch”. Pur con i recenti grattacapi, la testata della Grande Mela continua infatti a registrare modesti ma regolari crescite delle entrate, sia per la pubblicità che in edicola.
Proprio rispetto ai piani a breve termine per Murdoch, va infine segnalato il prossimo consolidamento di Sky TV tramite il gigante cinematografico della stessa scuderia, 21st Century Fox. Senza dimenticare la che la News Corp “è il gruppo con il gruzzolo più cospicuo del pianeta, e il recente caos al Dow Jones e i relativi problemi economici (Wall Street Journal incluso) possono rivelarsi null’altro che semplici strisce anti-velocità sulla lunga strada futura di Murdoch”.