Serve un ‘Patto per la Sanità Digitale’

di di Paolo Colli Franzone (NetSquare - Osservatorio Netics) |

Necessario provare con un ‘Patto per la Sanità Digitale’, mettendo insieme i tre elementi chiave dell’ecosistema: i regolatori, la domanda e l’offerta.

#PAdigitale è una rubrica settimanale a cura di Paolo Colli Franzone promossa da Key4biz e NetSquare – Osservatorio Netics.
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Italia


Paolo Colli Franzone

Il tema della sostenibilità del servizio sanitario universale ha avuto una posizione centrale nell’ambito degli “Stati Generali della Salute“, la kermesse di due giorni voluta dal Ministro Beatrice Lorenzin che ha riunito tutti gli stakeholder al massimo livello di rappresentanza.

In quelle stesse ore, si giocava la spietata lotteria del DEF: col rischio che, ancora una volta, la scure dei tagli più o meno lineari si abbattesse anche sulla sanità.

E’ evidente che il mantenimento della caratteristica di universalità del nostro servizio sanitario nazionale sconta un problema non banale: il suo costo. Ma, al tempo stesso, rappresenta un valore non negoziabile se non a discapito del “patto” fra Stato e cittadini sancito in Costituzione anche per quanto riguarda il diritto alla salute.
 

 

L’equivoco di fondo, alimentato forse anche dalla “fretta” con la quale i media titolano ogni qual volta si parla di spending review associata al mondo della sanità, è dato dalla natura e dalla tipologia degli interventi. Di fronte a un titolo come “imminenti nuovi tagli per la Sanità“, il lettore medio si immagina una minore quantità di servizi disponibili.

Ma non è necessariamente così.

 

Che il servizio sanitario nazionale sia un “posto” dove abbondano gli sprechi, non è un mistero. Dalla ormai “famigerata” siringa di Reggio Calabria ai piccoli e grandi crack di qualche Regione italiana, siamo pieni di storie di pessimo impiego delle risorse pubbliche.

E il tema è proprio questo: le risorse. Che dovremo sforzarci a considerare “finite” (nel senso di “quantitativamente non illimitate”) e da utilizzare al meglio.

Le grandi sfide del sistema sanitario per i prossimi anni sono queste: la razionalizzazione della spesa, il consolidamento dei servizi, la trasformazione della professione di medico di medicina generale e la presa di coscienza – da parte di tutti gli assistiti – delle modalità di fruizione dei servizi.

Il tutto si traduce in una sola parola: innovazione.

Che è, soprattutto, innovazione di processo. Ridisegnando completamente il servizio sanitario a partire dai suoi “punti d’ingresso”: i medici di famiglia, i servizi territoriali, la  rete di emergenza.

 

Questo ridisegno complessivo non può non essere effettuato se non a partire dal come, dove, e quanto le tecnologie dell’informazione e della comunicazione debbano essere considerate strategiche rispetto a un qualsiasi “nuovo modello di sanità”.

Il che non significa assolutamente, come dicono i paladini della conservazione, “sostituire i medici con Internet e/o coi robot“.

Significa, molto più semplicemente, utilizzare al meglio le ICT per affiancare tutti gli operatori della sanità (ma anche quelli che lavorano nei servizi socio-assistenziali) nel loro lavoro quotidiano.

 

Ad oggi, la sanità italiana non brilla certo per quantità e qualità di digitalizzazione: siamo undicesimi nella classifica della spesa IT per abitante relativa alla sanità pubblica e privata; 19 Euro all’anno, contro una media UE che si attesta intorno ai 33 .

Non ha aiutato e non aiuta, un modello di governance multilivello dove Regioni e ASL (che pure sono “di proprietà” delle Regioni) faticano a trovare un momento di coordinamento e di unitarietà di strategie di intervento.

La storia dell’informatizzazione in sanità è una storia di migliaia di iniziative progettuali, migliaia di applicazioni software presenti (e molto faticosamente dialoganti tra loro). Migliaia di server e centinaia di più o meno piccoli data center, persino.

Dove, paradossalmente, “tutti hanno perso”: le aziende sanitarie e ospedaliere, ma anche i vendor IT. I quali fanno fatica a tenere sotto controllo elementi chiave quali il cash flow e la profittabilità.

 

Si tratta, quindi, di “cambiare verso” anche qui.

Provando a dar vita a un “patto per la sanità digitale”, mettendo insieme i tre elementi chiave dell’ecosistema: i regolatori, la domanda e l’offerta.

L’obiettivo è quello di innescare un circuito virtuoso finanziario e progettuale, attivando tutto laddove possibile (e “realmente” sostenibile) forme di partenariato pubblico-privato attraverso un modello di “performance based contracting“.

 

Questo modello, mutuato dal settore dell’energia dove è piuttosto largamente utilizzato per interventi di efficientamento e di conduzione energetica di edifici e/o interi patrimoni immobiliari, ben si presta a fungere da volano in un ambito quale quello sanitario, dove l’efficientamento derivante da interventi di innovazione di processo attraverso la digitalizzazione è capace di “ripagare” in tempi anche brevi un investimento effettuato da operatori privati che vengono remunerati condividendo le economie gestionali realizzate.

Si tratta di dar vita a un insieme di investimenti quantificabile in circa 4 miliardi in tre anni. Con l’obiettivo di realizzare un risparmio strutturale non inferiore ai 5 miliardi di Euro all’anno a partire dal terzo anno.

 

Avviando un modello “win-win”: vincono tutti.

Il servizio sanitario nazionale, il quale riesce a razionalizzare la propria spesa non intaccando la quantità e qualità di prestazioni erogate ai cittadini; l’insieme degli assistiti, ai quali viene “offerta” la possibilità di risparmiare tempo (e denaro) nell’espletamento delle sue pratiche; i vendor IT, i quali possono beneficiare di un mercato “risvegliato” dopo troppi anni di stasi.

Si tratta di passare dalla teoria alla pratica, producendo e validando modelli econometrici di validazione delle operazioni di partenariato e attivando – laddove possibile – meccanismi di cofinanziamento pubblico a valere sui fondi strutturali e su auspicabili interventi di finanza pubblica.

 

 

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